In un suo manuale scolastico Gillo Dorfles scrive: “Vanno segnalati i recenti studi italiani (G. Carnevale) che si spingono, persino, a ipotizzare che fu San Claudio in val di Chienti, e non quella di Aquisgrana, la Cappella Palatina nella quale venne sepolto Carlo Magno” (Dorfles, Ragazzi, Civiltà d’arte, vol. 2 2014, Atlas).
Andreas Schaub, il 18 maggio del 2010, ha affermato all’Adnkronos/dpa, (dichiarazione ripresa il giorno dopo da molti giornali italiani): “La tomba originaria di Carlo Magno non si trova sull’atrio della cattedrale di Aquisgrana come si era finora pensato. A smentire la popolare teoria è stato un team di archeologi che per tre anni ha cercato invano tracce della sepoltura dell’imperatore. Malgrado le ricerche, le tracce più antiche trovate nel sottosuolo dell’atrio risalgono al 13esimo secolo, 400 anni dopo la morte di Carlo Magno”.
Furio Cappelli, nell’ambito del convegno tenuto il 19 novembre 2022 all’Abbadia di Fiastra , con un titolo provocatorio: “Una pieve in Val di Chienti, tra storia, metastoria e magia”, ha affrontato l’argomento “San Claudio”, senza però informare i 29 presenti per quale motivo venga considerato un esperto dell’architettura di San Claudio.
Chi è dunque Furio Cappelli? È il curatore del saggio, edito nel 2006 in lingua italiana, di Hildegard Sahler “San Claudio al Chienti e le chiese a croce greca iscritta nelle Marche”, come risulta da pagina 6 a pagina 10 del volume. Dell’azione depistante di questa brava studiosa tedesca ho scritto sui numeri 227, 272, 274, 276, 277 de “La Rucola”. La prima volta che ho letto il suo libro, preso in prestito al Dipartimento di Storia dell’Università di Macerata, era Edizione Cappelli. Poi l’editore è diventato LAMUSA. Difatti, a p. 3 del volume, troviamo scritto: “SAGGI LAMUSA Collana diretta da Furio Cappelli 2”. Gli amministratori di “LAMUSA – Piccola Società Cooperativa” risultano Flavia e Furio Cappelli (e Patrizia Dragoni), come si evince da un altro titolo: “La cattedrale di Ascoli nel Medioevo”, del 2000.
Sulla rivista “Italia Medievale” (marzo 2014) Furio Cappelli afferma: “Grazie all’approfondita analisi svolta da Hildegard Sahler è ormai comprovato che San Claudio fu realizzata nel secolo XI”. All’apertura del dibattito del 19 novembre all’Abbazia di Fiastra ho domandato a Cappelli: “Quale documento ha esibito la Sahler per far scrivere a lei, Cappelli, che San Claudio fu realizzata nell’XI secolo? Per quale motivo la Sahler invece scrive a p. 237 ‘verso il 1030’ ma a p. 235, in inglese, ‘probably around 1030’? Non avendo comprovato ma solo ipotizzato che San Claudio fu realizzata nell’XI secolo, non essendoci documenti che attestino il periodo della costruzione di San Claudio, per quale motivo lei ha scritto che la Sahler “ha comprovato” che San Claudio fu realizzata nel secolo XI?” Il relatore Furio Cappelli non è stato in grado di rispondere ad alcuna delle mie domande!
Nel medesimo articolo del 2014 (su Italia Medievale) Cappelli scrive: “La stessa Sahler ha dimostrato che la struttura a due piani era proprio in ossequio alla duplice funzione di San Claudio. La chiesa inferiore era aperta al pubblico dei fedeli della zona, vista la qualifica di ‘pieve’ che l’istituzione allora rivestiva. La chiesa superiore era una vera e propria cappella privata al servizio del vescovo”. Il perentorio ‘ha dimostrato’ di Cappelli è smentito a p. 63 dalla Sahler che dice invece: “Sopra la chiesa inferiore, che probabilmente svolgeva funzione di pieve, si trova forse la cappella privata del vescovo” (Hildegard Sahler “San Claudio al Chienti e le chiese a croce greca iscritta nelle Marche”, 2006, ed. LAMUSA).
Nel 1998 Hildegard Sahler aveva pubblicato un volume (“San Claudio al Chienti Und die Romanischen Kirchen des Vierstutzentyps in den Marken”) in lingua tedesca, ma presenta anche in chiusura un breve sommario in lingua italiana. A p. 54, in lingua tedesca si afferma che la chiesa di San Claudio è documentata solo a partire dal 1092 e, poiché per ragioni stilistiche la chiesa è anteriore a tale data, per collocarla correttamente nel tempo occorre valutare con attenzione le circostanze in cui San Claudio e gli altri edifici similari furono costruiti.
Ancora a p. 45 l’Autrice si esprime in questi termini: “Nei pressi di Pausulae, antica città e già sede episcopale, il vescovo di Fermo fondò con molta probabilità la pieve di San Claudio come decisa affermazione dei suoi diritti sulla diocesi”. Il ‘con molta probabilità’ dà all’affermazione della Sahler il valore non di un effettivo dato di fatto, ma di un suo personale orientamento storiografico. A p. 243 del sommario in italiano l’Autrice afferma invece: “Il Vescovo Uberto si fece costruire in un posto strategicamente importante, verso il 1030, la chiesa a due piani di San Claudio”. È inaccettabile il perentorio ‘si fece costruire’, perché qui non si può parlare di particolare orientamento storiografico dato che si afferma, senza mezzi termini, che San Claudio fu costruita verso il 1030 dal vescovo Uberto; l’Autrice non adduce prove documentarie né potrebbe addurle perché già a p. 54 aveva affermato che le prime notizie di un “ministerium” di San Claudio datano dal 1089 e quelle di una chiesa di San Claudio dal 1092. Nella redazione italiana del suo sommario la Sahler calca la mano e induce l’incauto lettore italiano a credere che: sia la data, che il vescovo costruttore siano dati di fatto e non sue illazioni o congetture (G. Carnevale, La scoperta di Aquisgrana in Val di Chienti, p. 233,1999). Quando nel 2006 ha pubblicato l’identico volume in italiano (con un sommario in inglese) ha ripetuto la stessa operazione depistante fatta nel 1998 usando, appunto, a p. 235, nel sommario in inglese “probabilmente è stata costruita intorno al 1030”, mentre a p. 237, nel sommario in italiano, scompare il dubbio e in modo categorico afferma “è stata costruita intorno al 1030”. Perché la Sahler quando scrive in inglese e tedesco è cauta, ma quando scrive in italiano è categorica?
A p. 10 dell’edizione italiana il curatore Furio Cappelli, per irridere Giovanni Carnevale, pur senza nominarlo, scrive: “Non sono mancati né mancheranno i tentativi di costruire teorie storiche avventate sulla base di presupposti puramente soggettivi, con il solo risultato di avvilire il pubblico e le istituzioni coinvolte, trasformando i temi affrontati in materia di facezie al semplice scopo di esibire presunte verità nascoste”.
Il 13 agosto 2020 sul blog Beafor Chartre Furio Cappelli sembrava, invece, avesse aperto la mente a un ragionamento complesso, quando scrive al gestore del blog riguardo ad Aquisgrana in San Claudio: “Le tesi ‘carolingie’ partono da un elemento veritiero, cioè dall’appartenenza della chiesa a un filone dell’architettura aulica che fa capo proprio ad Aquisgrana. Posso citarti vari contributi specialistici che entrano onestamente nel merito, ammettendo questo nesso, senza ovviamente condividere l’idea che questa sia la ‘vera’ Aquisgrana”.
Non sono in grado di comprendere per quale motivo, al Convegno del 19 novembre 2022 all’Abbadia di Fiastra, Cappelli abbia di nuovo cambiato idea, facendo una relazione basata su una sintesi rozza e superficiale dello studio della Sahler, peraltro citata una sola volta. Per prendere in giro gli studiosi che contestano il saggio della ricercatrice tedesca, ha concluso dicendo che il Taj Mahal ha copiato dall’architettura di San Claudio. Forse perché il 7 luglio 2019 un “anonimo” aveva messo su wikimedia, subito ripreso da wikipedia in lingua tedesca, una falsa piantina della chiesa carolingia di Germigny-des-Prés? È stato quest’anonimo a convincere Cappelli a tornare sulle sue precedenti convinzioni? Per motivi di spazio non scrivo di questa chiesa francese: ne ho parlato ampiamente anche sul n° 282 de La Rucola.
Sono, invece, obbligato a rimarcare che l’UNESCO aveva riconosciuto la chiesa di Aachen, tra le prime al mondo, come patrimonio dell’umanità: ora, però, ha richiesto una ulteriore documentazione per accertarne l’origine carolingia, dal momento che la costruzione è datata 400 anni dopo la morte di Carlo Magno.
Intanto nella premessa all’edizione italiana (p.16) Hildegard Sahler scriveva: “Nel 1999 l’edizione tedesca del presente libro è stata premiata dalla Fondazione Salimbeni per le arti figurative, di San Severino Marche, con Menzione speciale del Premio Salimbeni per la storia e la critica d’arte. La mia gratitudine va a Furio Cappelli per l’iniziativa e la revisione editoriale del libro”. Cosa vuol dire questo? Perché Cappelli si è attivato presso la Fondazione Salimbeni, presieduta da Miklos Boskovits? E quali sono i nomi e i cognomi di tutti i componenti la commissione? Sarebbe interessante conoscerli e scoprire che hanno capito del lavoro depistante della studiosa e soprattutto delle contraddizioni che vi si scoprono. Non dimentichiamo che il volume in italiano della Sahler è venduto già dal 2006 a ben 75 €: visto che Furio Cappelli è anche amministratore della casa editrice LAMUSA può dirci quale delle tante università italiane, statali, non lo ha comprato?
Le immagini
Albino Gobbi
9 giugno 2023