Non è facile parlare di malattia. O meglio, non è facile farsi ascoltare. Nessuno vorrebbe mai soffrire o veder soffrire una persona cara, ed evitare l’ascolto del dolore altrui è come una scaramanzia, un tenere lontano il male. Ecco perché le famiglie si trovano spesso in silenzio, all’interno delle proprie mura domestiche ad affrontare in riservatezza e solitudine le proprie malattie.
Come quella di cui parla questo libro, “Zero” di Claudio Montesi, edito da Edizioni Simple. Si tratta dell’Alzheimer: una malattia terribile, che condanna chi ne è colpito a diventare uno zero. E forse peggio ancora, condanna chi ha cura di queste persone a vederne giorno dopo giorno il decadimento, impotente: una indipendenza volatilizzata nel nulla, senza ritorno. “Zero” è un diario, il racconto della malattia della madre dell’autore, dai primi sintomi, alla diagnosi, e fino all’inevitabile epilogo, un percorso dettagliato di sacrifici, di accortezze, di osservazione della malata, curata e accudita nella propria casa. È un libro di tenerezza, di rispetto per la vita di una madre che non smette mai, agli occhi dei due figli, di essere persona. Quella madre una volta attiva e precisa, che tanto si adoperò, finché le fu possibile, ad avere cura di loro, ora semplicemente ha bisogno di essere ancora considerata tale, con i suoi nuovi bisogni a dispetto di chi, in modo crudo, dimentica questo semplice concetto: “persona”. Anche se non prova dolore, non è più autosufficiente, non è in grado di comunicare, è sempre “persona” e non merita di essere lasciata morire senza applicare gli strumenti a disposizione, come un semplice sondino per l’alimentazione, o senza il calore dei suoi cari. Anche se le apparecchiature dicono il contrario, chi sa dire dove sia la coscienza di una persona che non comunica più? Veramente è svanita insieme alle cellule distrutte del cervello? O semplicemente non è più in grado di connettersi al corpo e comunicare? O aleggia per la stanza tristemente agganciata al corpo con un filo invisibile? Chi può dirlo veramente?
Se il paziente non ha scelto in tal senso, nessuno ha diritto di fare “l’angelo della morte”, ma ha il dovere di accompagnare il paziente evitandone la sofferenza e l’abbandono. Anche la burocrazia ha il suo peso, mettendo spesso in difficoltà chi è già provato. La vicenda ha inizio nel 2000, e finisce nel 2017, era il periodo in cui della malattia zero si cominciava a parlare. Nel tempo la patologia si è rivelata sempre più diffusa, e questo ha portato associazioni e operatori a una maggiore preparazione e specializzazione, e a un maggiore supporto alle famiglie, sia operativo che psicologico. Quest’ultimo è necessario anche quando si debbono prendere decisioni difficili, come l’affido a una struttura, nei casi non gestibili a domicilio. In verità, sarebbe utile, invece di sprecare il tempo dei giovani in inutili alternanze scuola lavoro, programmare attività di soccorso, riconoscimento e accudimento base per le patologie più diffuse, per non trovarsi impreparati, per stimolare la capacità del saper fare e scoprire un sentimento importantissimo e difficile: l’empatia.
Simonetta Borgiani
16 aprile 2023