Franco rimase in contatto con l’uomo che incontrò nel suo primo giorno d’impiego. Così apprendiamo le vicissitudini di un personaggio non certo qualsiasi: Alfred Kurti. Costui raccontò a Franco di essere giunto ventenne in Italia, dopo l’occupazione dell’Albania (12 aprile 1939). Erano dei giovani albanesi, tra cui un cugino, facenti parte della “Guardia Reale Albanese” che prestava servizio d’onore al re Vittorio Emanuele III, come i Corazzieri: d’altronde il nome era stato cambiato in “Regno d’Italia e d’Albania”.
Dopo la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 Alfred fu mandato a combattere sul fronte francese. Con l’armistizio dell’8 settembre, sbandatosi e ritornato nel Maceratese, si aggregò a un minuscolo reparto partigiano a Pievebovigliana (non alla conosciuta banda Ferri). Ritenendo che la vita alla macchia, col rischio di essere catturati dai nazifascisti, fosse troppo scomoda, approfittò di una conoscenza e si rifugiò in una casa isolata, nei pressi di un castagneto. Convisse alcuni mesi con due-tre anziani, e Luisa, la loro giovane nipote.
Durante la Liberazione nel 1944, agli americani dell’OSS (Office of Strategic Services) non passò inosservata la sua nazionalità albanese. A un certo punto Luisa trovò lavoro come portiera e stiratrice presso l’istituto Fiorelli. Alfred andrà a convivere con lei in una piccola casa vicina al posto di lavoro. Nel tempo libero Franco incontrò spesso l’albanese, anche a passeggio, che gli raccontò le sue peripezie dopo la liberazione delle Marche nel 1944. Alfred era stato fedele a re Zogu I, ma all’annessione formale dell’Italia nell’aprile 1939 il sovrano fu esiliato. Il 29 novembre 1944, con il ritiro delle truppe di occupazione, in Albania andarono al potere i comunisti.
Dopo l’incontro nel Maceratese coi servizi americani, furono ingaggiati lui e il cugino, per operazioni segrete, al fine di sapere di più sulla situazione politica interna dell’Albania. Da un aereo americano, decollato dall’Italia, Alfred e altri 8 furono paracadutati di notte in piena campagna albanese. Come dei veri commandos bene addestrati, toccato il suolo, sotterravano i paracadute e nascondevano con cura le armi, che poi avrebbero ripreso per valicare clandestinamente il confine con la Grecia. Vestiti da contadini parlavano con la gente del luogo per sapere se ci fosse dissenso interno al nuovo regime.
Alfred ricordava: “Se ci avessero scoperto ce la saremmo passata malissimo”. Dopo un paio di settimane in giro con documenti falsi a raccogliere notizie, infiltrati nel loro stesso Paese, riprese le armi nascoste, attraversavano di notte il confine con la Grecia. Durante quella fase temevano seriamente di venire catturati dalle guardie di frontiera albanesi, tant’è che Alfred ripeteva di essere stato disposto a tutto, compreso uno scontro a fuoco, per riguadagnare la libertà in Grecia dicendo: “O noi o loro!”.
In Grecia venivano rifocillati e avevano un mese e mezzo libero prima del lancio successivo; Alfred raccontava di godersi le belle ragazze greche. In tutto fece tre lanci notturni in zone diverse. Era importante sapere se la popolazione fosse favorevole o meno al regime comunista, per organizzare eventuali sobillazioni. Loro riuscirono ad acquisire informazioni sulla situazione interna albanese e le passarono ai servizi segreti statunitensi. Forse i lanci riacutizzarono l’ulcera di Alfred, che fu ricoverato in un ospedale greco. Ascoltando radio Tirana capì che il suo nome era nell’elenco delle spie ricercate dalla polizia albanese. Per motivi di salute Alfred non poté continuare i lanci.
Dato il breve periodo, per i servigi resi agli Alleati percepiva un limitatissimo vitalizio. Così lo troviamo a Visso, dove viveva con la ragazza che aveva conosciuto a Pievebovigliana. Un paio di volte Alfred e Franco si incontrarono sul pullman per Roma. Alfred si recava a ritirare un “pacco” presso una “delegazione” americana. Scesi dal pullman presero un taxi. Naturalmente Alfred non precisò bene il contenuto dell’imballo, disse solo che conteneva viveri a lunga conservazione. Portò Franco a mangiare dalle suore, dove vi erano due lavoranti laiche che aveva conosciuto in precedenza. Passati in via dei Serpenti mentre giravano in via Cimarra e via dei Capocci (nel rione Monti) Alfred fece capire che amava il gentil sesso. Aveva una buona conoscenza delle case di appuntamento, visitandone brevemente quattro, solo per salutare la maitresse e mostrarle a Franco!
Per il tempo trascorso al bar, a Visso Alfred era detto “il re della briscola”, abile in giochi di prestigio con le carte. Aveva addestrato un cane pastore tedesco, con cui si vedeva in giro. Sorridendo Franco ricorda che Alfred lavorò solo un paio di volte: a un rimboschimento, dove doveva solo ricoprire di terra piantine messe a dimora; fu assunto come guardiano notturno al Park Hotel (oggi demolito) ma restò lì meno di un mese! “Perché hai smesso?” Rispondeva: “Franco, la notte voglio dormire!” Dopo 40 anni di totale isolamento, alla morte di Enver Hoxha, avvenuta nel 1985, l’Albania era economicamente in ginocchio: uno dei Paesi più poveri del mondo e il più arretrato d’Europa. Neanche alla caduta di quel duro regime Alfred pensò mai di rientrare in Albania: preferì restare nelle Marche, sua patria adottiva.
Eno Santecchia
21 marzo 2023