Kazakistan – Dopo le vicende della frontiera Russa siamo finalmente in Kazakistan. Per tutti noi, meno Beppe, è la prima volta che veniamo in questo paese ed è grande la nostra curiosità. È una delle repubbliche democratiche dell’Asia Centrale, diventate indipendenti dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Durante il nostro viaggio ci accorgeremo che la definizione di democratiche è alquanto distante dal concetto di democrazia che abbiamo noi. I mandati presidenziali, i parlamenti, i poteri della polizia, gli obblighi dei cittadini hanno ancora bisogno di tempo per raggiungere il livello delle grandi democrazie storiche. Il confine politico è anche il confine tra i boschi di betulle e la steppa. Dopo la barra di confine le ultime betulle e inizia la steppa. Solo rari ciuffi di erba già ingiallita dall’autunno incipiente. La strada corre nel nulla, si perde all’orizzonte, rari i villaggi a distanza di chilometri. Però i telefoni funzionano regolarmente. È una sensazione strana poter parlare con casa mentre siamo in questo deserto stepposo. Si vedono i primi cimiteri mussulmani, donne con i capelli coperti e uomini con il caratteristico zuccotto. Ai lati della strada, a intervalli regolari, quello che resta delle fattorie collettive che avrebbero dovuto trasformare terreni desertici in terreni produttivi e allevamenti. Trattori arrugginiti, fabbricati cadenti, recinti divelti. Denaro e sudore speso inutilmente.
Smog e detriti – All’improvviso si profilano all’orizzonte ciminiere fumanti e lo smog vela il cielo. Siamo a Pavlodar, città industriale, fonderie e i tristi condomini dell’inconfondibile stile sovietico di quando questa e altre città del Kazakistan furono trasformate da piccoli borghi in città industriali. Si profilano all’orizzonte colline dal profilo piatto, sono i detriti delle miniere di carbone di cui la regione è ricca, carbone che ne ha decretato lo sviluppo industriale. Queste montagne di detriti vanno avanti per chilometri, è impressionante pensare che a queste montagne corrispondano altrettante voragini scavate nel terreno per estrarre minerali e carbone. E poi ancora steppa fino a un’altra città industriale, è Karaganda, nata dal nulla negli anni ‘20 come centro per l’estrazione del carbone. La triste fama di Karaganda, per la quale fu creato l’appellativo di “Karlag”, deriva dall’essere stata il centro di campi di lavoro di deportati, utilizzati nelle miniere. I distributori di carburante non accettano le carte di credito, bisogna sempre pagare in contanti e il carburante viene dato solo dopo aver pagato il quantitativo richiesto. Ancora steppa fino a Balkas, altra città industriale sulle rive dell’omonimo lago. Alte ciminiere e una striscia di fumo nero che si allunga nel cielo per chilometri. Il problema ambientale sembra essere ancora del tutto ignorato, non solo dalle autorità ma pure dalle singole persone, basta vedere i rifiuti, le bottiglie di plastica, abbandonati ai lati delle strade.
Finisce la steppa e c’è Almaty – La strada corre lungo il lago, ogni tanto industrie, un cementificio in costruzione, solo l’indicazione di un centro turistico. Alcune stazioni radar, la Cina è vicina, il suo fiato è ancora pesante dopo le dispute politiche e territoriali con l’Unione Sovietica. Ai lati lunghi treni merci viaggiano in continuazione. Lungo la strada venditori di pesce affumicato offrono i loro prodotti agli automobilisti di passaggio. Il paesaggio non cambia, sempre steppa solo a volte oltre all’erba piccoli cespugli. Fa sempre caldo, classico clima di deserto, strano per noi dopo il freddo degli ultimi giorni in Siberia. Branchi di cammelli e un guardiano che ci saluta con l’espressione araba: “Salam alekum”. I paesi segnati sulla carta sono solo dei piccoli punti di sosta, con distributori, negozietti e ristorantini. All’improvviso un albero, isolato, unico nel deserto della steppa, ci porta alla mente il celebre albero del Ténéré. Dopo tanta steppa cominciamo a vedere nuovamente vegetazione, alberi, campi coltivati. All’orizzonte il profilo di montagne innevate, stiamo arrivando ad Almaty. Vedere, se pur in lontananza, della neve ci trasporta in un altro mondo. Almaty, la vecchia capitale del Kazakistan, oggi centro commerciale e culturale dopo che la capitale è stata trasportata ad Astana, più vicina alla Russia e all’Occidente. Una città verde, solo viali alberati, parchi. Palazzi moderni stanno sostituendo i vecchi casermoni anche se molti sopravvivono ancora. Negozi, ristoranti, locali notturni di stile occidentale sorgono ovunque. Tutte le grandi marche sono presenti, vetture lussuose percorrono i suoi viali. In periferia è tutto nuovo mentre in centro vecchio e nuovo coesistono. Ci attende ancora una conferenza stampa organizzata dai nostri sponsor della Gasprom, che avviene in un elegante ristorante adiacente al complesso delle Torri di Almaty, che ricordano in parte le più tristemente famose torri di New York. Accanto a queste strutture si trova un Kartodromo coperto dove i giornalisti e noi tutti del team di Overland siamo invitati non solamente per uno spuntino ma anche per partecipare a una entusiasmante gara di Kart. Concludiamo così in bellezza la nostra sosta ad Almaty. Manco a dirlo vince Marco, terzo Valerio dietro a un giornalista kazako.
Esplosioni atomiche – Abbiamo percorso più di duemila chilometri in Kazakistan ma quasi tutti nel deserto della steppa. Gran parte del Kazakistan è desertico e non sorprende che sia stato scelto per gli esperimenti nucleari, 460 atomiche esplose nel poligono di Semy e per installare il poligono spaziale di Baykonur. Alcuni aspetti del Kazakistan sono simili a quelli visti in Russia. Né poteva essere diversamente dopo decenni di unione politica, militare ed economica. Giacciono inutilizzati i vecchi posti di controllo fissi della polizia che controllavano tutti i viaggiatore ma il potere della polizia è ancora forte, la sua presenza sulla strada è ancora notevole come la pressione esercitata sui cittadini. Anche noi siamo stati fermati diverse volte anche con richieste di denaro, ma tutte si sono concluse felicemente. Naturalmente abbiamo sempre il problema della lingua, parlano il russo e il kazako, e come i russi parlano imperterriti senza gesticolare e senza la minima mimica per cercare di far comprendere qualcosa all’interlocutore. Cerchiamo di destreggiarci alla meglio.
Verso la frontiera cinese – Lasciamo Almaty per raggiungere la frontiera cinese. La strada è nuova, costruita di recente, all’inizio è una superstrada in un terreno fertile con campi coltivati e tanti alberi anche ai lati della strada. Decisamente Almaty è un’isola felice. La strada segue un percorso diverso dalla vecchia, più breve e agevole. Man mano che ci allontaniamo da Almaty la strada diventa normale e diminuisce la vegetazione, il terreno ritorna desertico. Dopo Shelek ritroviamo la vegetazione e ritornano gli alberi. Si entra poi in una zona montuosa e si percorrono le Gorge di Kolpek, tra pareti scoscese. Sorprendente dopo tanta steppa pianeggiante. Dopo le Gorge di nuovo solo steppa, la strada corre diritta per chilometri senza una curva. A un certo punto si allarga apparentemente senza motivo, forse una pista d’atterraggio di emergenza o per qualche campo di ricerca ora abbandonato. Come in Finlandia ove le strade servono anche da piste di emergenza per gli aerei. A Kontal la nuova strada si ricongiunge alla vecchia e si entra in una valle larga, fertile, con abitati frequenti e vasti campi coltivati a granturco. La valle sale lentamente e prosegue oltre il confine con la Cina. Ci fermiamo davanti alla sbarra di confine. Oggi 8 ottobre il confine è chiuso, la Cina è in festa dal primo ottobre per la ricorrenza della proclamazione della repubblica. Tutti a casa o alle celebrazioni e un cancello chiuso sbarra fisicamente il confine. Notiamo che il confine è reale, anche sul terreno, doppia fila di reticolati con suolo senza vegetazione e spianato in mezzo. Resti delle vecchie dispute ideologiche e territoriali tra Cina e Unione Sovietica?
Una registrazione imprevista – Una fila chilometrica di camion aspetta come noi la riapertura della dogana. Superiamo la colonna di camion e ci mettiamo pazientemente in attesa per essere i primi domattina. L’indomani una brutta sorpresa. Ad alcuni di noi manca la registrazione presso le autorità di polizia della presenza in Kazakistan, registrazione che deve essere fatta entro cinque giorni (avvertenza importante per chi va in Kazakistan, non basta la schedatura in frontiera) e non possiamo uscire dal paese. Dobbiamo tornare ad Almaty per compiere questa formalità. Prendiamo due camper e torniamo ad Almaty. All’Ufficio Visti e Registrazioni compiamo questa formalità, pagando la relativa multa, e con un giorno di ritardo ci mettiamo nuovamente in coda alla frontiera. Con i documenti in regola l’uscita dal Kazakistan è veloce, i controlli dei veicoli rapidi. Non c’è dubbio, se si rispettano le regole tutto scorre più facilmente. La burocrazia in Kazakistan non ha paragoni con quella sovietica. continua
Gianni Carnevale
9 dicembre 2022
Puntata 4 – https://www.larucola.org/2022/12/05/94515/