Penso che solo qualche vecchio centenario possa ricordare i birocciai del Tenna o del Chienti e del Potenza. Erano i lavoratori che trasportavano ciò che il fiume offriva: sabbia, breccia, legno. Una volta i fiumi erano fonte di lavoro e sostentamento per tante famiglie e dopo le piene il lavoro di prelevamento diveniva ancora più consistente: sabbia, sassi, un misto di sabbia e sassolini insieme, erano merce richiesta per imbrecciare strade e per costruire case. Non c’era paese lungo il corso dei fiumi ghiaiosi che non avesse avuto dei lavoranti come scavatori di ghiaia e sabbia, spaccapietre o birocciai addetti al trasporto.
Quanto duro lavoro, per uomini e bestie. Era la fatica del carico e scarico a mano, non c’erano i ribaltabili e si doveva procedere con la pala, che appoggiata sulla coscia aiutava a dare la spinta per impalare il carico o per farlo scendere dal carro, questa tecnica evitava di sfruttare solo le braccia che a lungo andare ne avrebbero risentito; il classico errore che oggi alcuni ragazzi, anche palestrati, commettono nell’usare la stancante pala.
Una risorsa per i più poveri, era anche il recupero della legna portata dal fiume, come viene raccontato ne “Il mulino del Po”. Non era un danno per i fiumi, questi prelievi avvenivano soprattutto dopo le “piene”, che trasportavano a valle molto materiale e i renaioli contribuivano semmai a mantenere sgombro il corso dell’acqua. Il guaio, per molti fiumi, cominciò negli anni ‘60 con la forte richiesta dell’edilizia e con l’impianto sciagurato di draghe che non aspettavano certo le fiumane ma scavavano tutto l’anno senza posa. Qualcuno, per il sopraggiungere di piene improvvise rischiò grosso ma lo scampato pericolo servì anche a insegnare, a chi aveva rischiato di annegare, che col fiume non si scherza.
In estate il lavoro aumentava grazie alle secche. I cavalli indossavano un cappuccio bianco sulla testa e poi, attraversato il corso d’acqua su apposite piastre di ferro, per non far affondare le ruote del carro, si fermavano in attesa che il carico fosse completato. Poi via per anche 10 km a servire il cliente. In giro per Porto Civitanova, ancora negli anni ‘60 si potevano vedere i possenti cavalli da tiro trainare i pesanti carichi di sabbia.
Vita dura, inimmaginabile. Io, da ragazzino, l’ho vista e con i piedi nell’acqua del fiume accarezzavo le froge dei cavalli. Amo i cavalli per la loro fatica passata e se il Tenna o il Chienti potessero raccontare potrebbero testimoniare. Succedeva che le mogli o le madri, talvolta seguissero i mariti renaiuoli e pregassero il rosario affinché non venissero mai a mancare le forze e la salute per caricare ghiaia.
Alberto Maria Marziali
11 settembre 2022