Per secoli è stata la regina della casa in campagna e in città: c’era una volta la màttera

Sì, c’era una volta in tutte le case di campagna e di città, sia di operai che di artigiani, “la màttera” (in italiano la madia). Era un mobile in legno le cui misure cambiavano a seconda della composizione della famiglia, più gente màttera più grande, meno persone màttera più piccola. In campagna la composizione della famiglia era data dagli ettari di terra del terreno perché un ettaro dava quello che serviva per  vivere a una persona adulta e a un animale di grossa taglia, bue o mucca. Motivo per cui se la famiglia fosse aumentata (matrimoni), o fosse diminuita (funerali) non sarebbe potuta restare sul terreno ma ne avrebbe dovuto trovare un altro a sua misura. Il cambio avveniva nel periodo lavorativo morto, ossia l’11 novembre San Martino, tanto che poi anche a Macerata “Fare San Martino!” era diventato un modo per dire che si cambiava casa.

Ma torniamo alla nostra màttera. Era un parallelepipedo di legno di circa un metro e mezzo di lunghezza, un metro di larghezza e un metro di altezza. Sopra aveva un coperchio di circa trenta centimetri di altezza che permetteva di tenere qualcosa sul piano pur chiudendolo. Il piano era una tavola di pero, legno senza sapore e odore, facilmente rimovibile: era la “spianatora” che serviva anche, messa sul tavolo, per stenderci sopra la polenta. Sotto c’era un contenitore della forma di mezza sfera grande come tutta la màttera, e, sotto ancora, due cassetti abbastanza ampi.

La tavola era il piano di lavoro della donna: tagliatelle, tacchetti e altri formati di pasta sino ai quadrati per fare i vincisgrassi, nascevano sulla màttera. Ma anche dolci vari tra cui i più frequenti erano crostate, ciambellotti e poi squisite creazioni per ogni ricorrenza: le pizze di Pasqua, dolci e  salate, le sfrappe e gli scroccafusi durante il carnevale e altre prelibatezze come lu frustengu a Natale. Il più importante che, letteralmente, nasceva lì era il pane. Su questo argomento torneremo in seguito, ma l’impasto del pane e poi  la levitazione, per dodici ore, nella pancia della màttera era importante.

E qui permettetemi di fare una divagazione… la massa del pane era fatta crescere dal lievito e l’aumento si vedeva. Quando un bambino, piccolo, non cresceva come sarebbe dovuto lo si metteva nella pancia della màttera vicino alla massa del pane perché, credevano i nostri  nonni, se cresce bene il pane deve anche stimolare la crescita del bambino. La famiglia si metteva intorno alla màttera  a semicerchio e, guidata dal vergaro, recitava le litanie alla Madonna. Al bambino veniva messo al collo, legato con un cordoncino, un sacchettino con un pezzetto di massa del pane, sempre per stimolarne la crescita e tenere lontano il malocchio. Modi di credere un po’ strani che però erano radicati da generazioni nella mente della nostra gente.

Sui due contenitori sotto c’erano, in uno, i setacci (li stàcci) che servivano per raffinare la farina, e nell’altro i sacchetti con le due farine la bianca di grano e la gialla di mais. Questi contenitori di stoffa erano fatti recuperando vecchie federe, che venivano accuratamente lavate e disinfettate con acqua bollente, e poi gli si rinforzavano i bordi, tranne quello superiore, per renderli più robusti e quindi più sicuri. D’inverno, la vergara, se aveva ancora una chioccia che covava, per non far morire i pulcini al freddo, toglieva gli stacci e la metteva nel cassetto della màttera e quindi così era al caldo non lontano dal camino.

Una piccola curiosità lo staccio era il regalo che il marito faceva alla moglie in occasione della fiera di San Giuliano e lui riceveva da  lei, in cambio, il coltello da tasca che il nostro contadino portava sempre con sé perché gli era utile a tavola per tagliare il pane per tutta la famiglia e in molte altre occasioni. Questa tradizione, con un piccolo coltellino da pochi centimetri, la seguo ancora oggi e ce l’ho sempre in tasca. La màttera è stata, per secoli, il centro operativo della nostra cucina e su di essa sono nati quei manicaretti che hanno poi reso famosa la cucina maceratese in Italia e, grazie ai nostri migranti, anche in molte parti del mondo.

Cesare Angeletti “Cisirino”

11 agosto 2022

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