In occasione della festa di San Giuseppe si fa un gran parlare delle “Zeppole” dolce tipico la cui origine è contesa tra Campania e Toscana. Pochi sanno, però, che le Marche hanno qualcosa da dire in merito: da noi si fanno i “Bignè”, un dolce analogo che è conosciuto nell’entroterra col nome tipico di “Mignè”.
La storia accredita le zeppole sia alle suore di San Gregorio Armeno (NA) sia a quelle della Croce di Lucca. Qualcuno, libro alla mano, è pronto a sostenere che l’origine delle zeppole fritte di San Giuseppe nasce storicamente a Napoli: la prima ricetta ufficiale viene trovata nel Trattato di Cucina Teorico-Pratico di Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino nel 1837.
Che c’entra San Giuseppe? I narratori sostengono che le zeppole vogliono ricordare San Giuseppe che non trovando lavoro come falegname durante la fuga in Egitto con il bambino Gesù, per guadagnare qualcosa si fosse messo a friggere e vendere dei dolcetti. Oggi, però, dopo aver doverosamente reso omaggio alle zeppole, mi permetto di calare l’ASSO marchigiano: “La sega di San Giuseppe”.
Chi la conosce? Chi sa cos’è? Per saperlo dobbiamo parlare di “Quaresima”. Il dolce marchigiano, di cui vi parlo, è poco noto ma è saldamente nel cuore degli appassionati di tradizioni storiche: parlo della “sega vecchia” che vanta una tradizione centenaria. La sega, è un dolce che ha la forma di una sega, ma qualcuno la cambia con una forma a scaletta in legno: due strumenti del falegname. La sega di San Giuseppe è un dolcetto a forma di sega perché taglia simbolicamente a metà la Quaresima e, infatti, viene impastato e cotto circa 20 giorni dopo il mercoledì delle Ceneri.
La Quaresima però è rappresentata anche da una scala che simboleggia i 40 giorni verso la Pasqua e la Resurrezione. La zona in cui la tradizione è più radicata è l’anconetano, e vanta una storia centenaria. Detta anche “Sega vecchia” è un dolce tipico molto semplice nei suoi ingredienti. Ora si fa con l’impasto della ciambella pasqualina, mentre tanti anni fa si usava la pasta del pane. Simboleggia il taglio che si deve dare con i vizi, per vivere un tempo di privazioni e sacrifici. “Segarla”, però, è anche un motivo per interrompere a metà i quaranta giorni di digiuno e di astinenza, per concedersi qualche licenza nel mangiare.
Alberto Maria Marziali
29 giugno 2022