Virus ucciso dalle bombe! Ossia la guerra secondo i poeti antichi e la stampa moderna

Ogni riferimento all’attuale situazione politico/militare che assilla il nostro pianeta deve essere considerato puramente casuale: gli autori citati sono vissuti nei secoli passati, quando la civiltà non era così evoluta come nel ventunesimo secolo.

Da sempre le pestilenze si sono manifestate durante e/o dopo guerre e invasioni. Questa volta il coronavirus ha dato grande prova della sua deleteria presenza con molto anticipo, in tutto il mondo. Gli organi d’informazione hanno cavalcato l’evento con lussurioso entusiasmo in tutti i continenti. Non è rimasto alcun trafiletto sulla incidenza delle manifestazioni epidemiche tra i popoli belligeranti: scarsamente vaccinati, costretti a subire frequenti bombardamenti, tra macerie e fosse comuni, senza mascherine, senza distanziamento, intensamente ammassati (in sotterranei improvvisati, senza servizi…), senza ricambi d’aria, senza acqua, luce e riscaldamenti (in un clima siberiano).

In queste pessime condizioni (tutte favorevoli alla diffusione del virus) anche la vita dei carristi non dovrebbe essere molto agevole. Ma la stampa non fornisce notizie su piccoli o grandi focolai di epidemia. Speriamo che, per ovviare alle loro omissioni, non ci costringano a credere  che il Virus sia stato messo in fuga dal rumore delle esplosioni, se non sterminato dalle armi intelligenti, dai missili, dalle bombe a grappolo e anche per la inagibilità delle abitazioni civili…

Così potrebbe essere accaduto al Green Pass, sublime invenzione, che dopo una costante escalation da “normale” fino a “super”, rinforzato da tamponi nasali e mascherine, in certe nazioni è scomparso ucciso dalle bombe, e da qui la gente arriva senza e… sana. 

Gli storici, da Omero in poi, per necessità o per calcolo, si sono sempre schierati con i vincitori, abbandonando i vinti alla loro sorte nefasta. E ci hanno anche  fatto credere che la guerra di Troja (equivalente a una prima guerra mondiale) possa essere stata scatenata per Elena, moglie di Menelao Re Greco, rapita da (o fuggita con?!) Paride figlio di Priamo re Troiano. Sarà pur vero che era la più bella del mondo ma… una guerra?! Da quei tempi in poi si è sempre trovata una scusa per un fatto d’armi.

Alessandro Manzoni –  I Promessi sposi – capitolo XXVII

“La corte di Madrid, che voleva a ogni patto … escludere da que’ due feudi il nuovo principe, e per escluderlo aveva bisogno d’una ragione perché le guerre fatte senza una ragione sarebbero ingiuste”.

Trilussa – Ninna nanna de la guerra

“Ninna nanna, nanna ninna, / er pupetto vò la zinna: / dormi, dormi, cocco bello, / sennò chiamo Farfarello (il diavolo) / Farfarello e Gujermone (Guglielmo II) / che se mette a pecorone, / Gujermone e Ceccopeppe / che se regge co’ le zeppe, / co’ le zeppe d’un impero / mezzo giallo e mezzo nero. / Ninna nanna, pija sonno / ché se dormi nun vedrai / tante infamie e tanti guai / che succedeno nér monno / fra le spade e li fucili / de li popoli civili. / Ninna nanna, tu nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che se scanna / per un matto che commanna; / che se scanna e che s’ammazza / a vantaggio de la razza / o a vantaggio d’una fede / per un Dio che nun se vede, / ma che serve da riparo / ar Sovrano macellaro. / Ché quer covo d’assassini / che c’insanguina la terra / sa benone che la guerra / è un gran giro de quatrini / che prepara le risorse / pe li ladri de le Borse. / Fa la ninna, cocco bello, / finché dura sto macello: / fa la ninna, ché domani / rivedremo li sovrani / che se scambieno la stima / boni amichi come prima. / Sò cuggini e fra parenti / nun se fanno comprimenti: / torneranno più cordiali / li rapporti personali. / E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!”

Trilussa – Er nano diplomatico

Re Bomba era severo, ma in compenso / quanno vedeva Picchiabbò er buffone, / un vecchio Nano pieno de bon senso / e sincero secondo l’occasione, / incominciava a ride e er bon umore / riusciva sempre a intenerije er core. / Er Re, una notte, propio sur più bello / che s’era scatenato un temporale / strillava: “Qua finisce in un macello! / in un acciaccapisto generale! / A me la spada! A me er cimiero! Alé! / La corazza, lo scudo! Tutto a me!” / Ammalappena Picchiabbò s’accorse / che discoreva solo come un matto, / je chiese: “Sire, a che ripensi? forse / a quer discorso storico ch’hai fatto / quanno li cortiggiani hanno saputo / che un sorcio ha rosicato lo Statuto?” / “Ma che Statuto! La questione è seria: / se tratta invece d’affrontà er nemmico!” / disse er Sovrano: e doppo un’improperia / se dette una tirata ar pappafico; / ché er Re faceva sempre quela mossa / quanno capiva de sparalla grossa. / “Sappi -je disse poi – che stammatina / un’Ape ch’era entrata ne la serra / ha dato un bacio in bocca a la Regina! / Nun c’è gnente da fa’: ce vô la guerra! / Vojo che tutte l’Ape a mille a mille / venghino trapassate da le spille. / Purché nun piova troppo o tiri vento / domani stesso parlerò a la folla / su la portata de l’avvenimento / e la farò scattà come una molla! / L’ora è solenne: è bene ch’er Paese / s’armi, combatta, vendichi l’offese!” / La prima idea che venne in mente ar Nano / fu quella de parlaje chiaramente; / voleva dije: “Sire, vacce piano: / guardamo se c’è tutto l’occorente, / ché spesso nun se pensa e nun s’abbada / che li nemmichi crescheno pe’ strada. / L’Ape so’ tante, più de quer che pare / e se domani fanno un’alleanza / co’ le Mosche, le Vespe e le Zanzare, / un’incursione sola basta e avanza; / ché tra pizzichi e mozzichi in du’ botte / ce fanno un grugno come un’or’ de notte. / Eppoi ce stanno le materie prime: / perché se l’Ape nun ce manna er miele / chi fa li pasticcetti der reggime? / E se manca la cera? Addio candele! / Er popolo rimane de sicuro / a bocca asciutta e perdeppiù a lo scuro. / Tu, che studi le cose a tavolino / e vedi tutto chiaro e tutto tonno, / piji l’abbonamento cór destino / spalanchi la finestra e parli ar monno, / ma appena la richiudi e te ritiri / cominceno li lagni e li sospiri”. / Er Nano, invece, se ne stette zitto, / e da bon diplomatico com’era / je disse: “Sire, sei ner tu’ diritto. / Nun te scordà, però, che a primavera, / se l’Ape vede un fiore, je va addosso / e lo succhia e lo lecca a più nun posso. / E dove c’ ‘na rosa profumata / mejo de la Reggina? nu’ la senti / che quanno passa lascia la passata / da fa’ scombussolà li sentimenti? / L’Ape ch’avrà sentito quel’odore / ha pijato la bocca per un fiore”. / A ‘st’uscita Re Bomba perse er fiato, / e queli stessi muscoli der viso / che prima lo teneveno inciurmato / spianarono le rughe a l’improviso, / e fu in quer gioco de fisonomia / che ritornò la pace e l’allegria. / “Sta vorta tanto, ne faremo a meno…”. / disse il Sovrano e s’affacciò a la loggia / guardò per aria: er celo era sereno. / La luna, rinfrescata da la pioggia, / rideva più der solito e le stelle / pareveno più limpide e più belle. /

Giacomo Leopardi – Ultimo canto di Saffo

Riportato parzialmente. Vi si possono leggere i problemi dei singoli e le ansie procurate da fatti esterni (tempeste, fulmini e le varie difficoltà della vita) guerra compresa.

Placida notte, e verecondo raggio / della cadente luna; e tu che spunti / fra la tacita selva in su la rupe, / nunzio del giorno; oh dilettose e care / mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, / sembianze agli occhi miei; già non arride / spettacol molle ai disperati affetti. / Noi l’insueto allor gaudio ravviva / quando per l’etra liquido si volve / e per li campi trepidanti il flutto / polveroso de’ Noti e quando il carro, / grave carro di Giove a noi sul capo, / tonando, il tenebroso aere divide. / Noi per le balze e le profonde valli / natar giova tra’ nembi, e noi la vasta / fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto / fiume alla dubbia sponda / il suono e la vittrice ira dell’onda. / … Negletta prole / nascemmo al pianto, e la ragione in grembo / de’ celesti si posa…

Trilussa – Un re umanitario, 1904

Er giorno che Re Chiodo fu costretto / de dichiarà la guerra a un Re vicino / je scrisse: “Mio carissimo cuggino, / quello che leggi è l’urtimo bijetto; / semo nemmichi: da domani in poi / bisogna sbudellasse fra de noi. / La guerra, come vedi, è necessaria: / ma, date l’esiggenze der progresso, / bisognerà che unisca ar tempo istesso / la civirtà moderna e la barbaria, / in modo che l’assieme der macello / me riesca più nobbile e più bello. / D’accordo cór dottore pensai bene / de fa’ sterilizzà le bajonette / perché er sordato venga fatto a fette / a norma de le regole d’iggene, / e a l’occasione ciabbia un lavativo / pieno de subblimato corosivo. / Pe’ fa’ in maniera ch’ogni schioppettata / se porti appresso la disinfezzione / ho fatto mette ne la munizzione / un pezzo de bambace fenicata: / così, cór necessario de la cura, / la palla sbucia e la bambace attura. / Fra l’antri innummerevoli vantaggi, / come sistema de riscallamento / ho stabbilito ch’ogni reggimento / procuri de da’ foco a li villaggi. / Incomincia a fa’ freddo e capirai / che un po’ d’umanità nun guasta mai. / La polizzia scentifica ha già prese / l’impronte diggitali a tutti quanti / pe’ distingue l’eroi da li briganti / che fanno l’aggressione ner paese; / sarebbe un’ingiustizzia e quer ch’è peggio / nun se saprebbe più chi fa er saccheggio. / Ho pensato a la fede. Ogni matina / un vecchio cappellano amico mio / dirà una messa e pregherà er bon Dio / perché protegga la carneficina. / Così, se perdo, invece der governo / rimane compromesso er Padre Eterno. / Ah! nun pôi crede quanto me dispiace / de stracinà ‘sto popolo a la guerra, / lui che per anni lavorò la terra / co’ la speranza de godé la pace; / oggi, per un capriccio che me pija, / addio campi, addio casa, addio famija! / Un giorno, appena tornerà er lavoro, / in queli stessi campi de battaja / indove ha fatto stragge la mitraja / rivedremo ondeggià le spighe d’oro: / ma er grano sarà rosso e darà un pane / insanguinato da le vite umane. / Ormai ce semo e quer ch’è fatto è fatto: / vedremo infine chi ciavrà rimesso. / Addio, caro cuggino; per adesso, / co’ la speranza che sarai disfatto / te, co’ tutto l’esercito, me dico / er tuo affezzionatissimo nemmico.

Nazzareno Graziosi

24 giugno 2022

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti