Podere Sabbioni, una piccola realtà vitivinicola di successo affidata, per la parte legata alla vigna, a Massimo Carletti, contitolare con Maria Grazia Sagretti dell’azienda maceratese con vigneti nella zona dell’Abbadia di Fiastra. Ultimo risultato l’invito e la partecipazione al Vinitaly nella sezione Micro Mega Wine curata da Ian D’Agata.
Intervista a Massimo Carletti
Quali risultati dalla partecipazione a Vinitaly? – “Per Podere Sabbioni era il primo Vinitaly ed ero piuttosto preoccupato. Voglio dire, il mondo del vino è difficile, ci sono grandissimi interpreti, il livello è alto. Bisogna avere rispetto. Ero – e, forse, lo sarò sempre – in soggezione. Invece io e Maria Grazia ce la siamo cavata, siamo stati considerati autentici e quindi credibili. Questo è un grande risultato. I nostri vini sono stati apprezzati, abbiamo avuto molti contatti soprattutto esteri, stiamo pian piano costruendo la nostra rete di relazioni. Ma il fatto di essere all’altezza degli interlocutori competenti e preparati che abbiamo incontrato non era scontato. Ci siamo riusciti e siamo felici”.
Piccola realtà, quella di Podere Sabbioni. Piccolo è bello o la logica e i numeri del mercato tendono a far considerare solo i grandi vini e i grandi produttori? Per capirsi, Marche = Verdicchio o, appunto, c’è molto altro su cui puntare e da valorizzare? – “Non sono in grado e non mi spetta fare una valutazione su questa edizione del Vinitaly. Posso dire che il padiglione bio, nella quale era presente il nostro stand, ha funzionato bene. C’era una bella atmosfera, merito degli organizzatori e dei produttori scelti, per la maggior parte piccole realtà condotte in modo artigianale e familiare, con grande attenzione alle tematiche ambientali. Ian D’Agata, che ha avuto da Veronafiere la responsabilità della realizzazione del nuovo spazio Micro Mega Wines, è da vent’anni strenuo promotore dell’unicità dei vitigni autoctoni italiani. Da quello che ho potuto constatare, c’è grande interesse su questo tema, sia da parte del pubblico nazionale che internazionale. Certo, il Verdicchio ha dalla sua l’area vasta di produzione e la notorietà, ma Ribona, Pecorino, Passerina, Garofanata, Rosso Conero, Rosso Piceno destano sempre più interesse”.
Spentisi i riflettori del Vinitaly, quali saranno le prossime mosse di Podere Sabbioni? Innovazione di prodotto, consolidamento dell’esistente, investimenti? – “La nostra proposta è basata sulla cura, sul presidio e sulla sperimentazione. Tentiamo di fare la differenza, mettendo sul tavolo il nostro tempo e la passione. E dal momento che cominciamo a essere notati da esercenti qualificati, sentiamo l’esigenza di cercare di produrre vini sempre più puliti, precisi, snelli. Pur avendo una capacità produttiva maggiore, non aumenteremo il numero di bottiglie prodotte, per concentrarci sulla qualità, insistendo su Ribona e Rosso Piceno. Quest’anno investiremo in due direzioni: da una parte nella linea di ricezione, per trattare l’uva in maniera più delicata, e dall’altra in contenitori in materiali innovativi e nello stoccaggio, per farci aiutare dal tempo nell’affinamento. Inoltre abbiamo deciso di farci promotori di un progetto legato alla cultura e al vino inteso quale modo per valorizzare un territorio di origine. In questo senso sta per essere pubblicata una piccola guida turistica tematica, legata al mondo degli antichi piceni. Attraverso di essa confidiamo di attirare l’attenzione delle persone curiose di conoscere la nostra gente dai piccoli musei diffusi qui intorno a noi, piccoli scrigni di altissimo valore culturale, legati ai segni che la storia di questo popolo antichissimo ha lasciato sul nostro territorio”.
Quando ha iniziato il suo percorso da vignaiolo aveva già ben chiari gli obiettivi o qualcosa si è meglio definito sul terreno, vendemmia dopo vendemmia, vino dopo vino? – “Alessandro Torcoli (Civiltà del Bere) nel suo ultimo libro In Vino Veritas dice che una persona che decide di impiantare un vigneto e produrre vino deve prendere circa cinquemila decisioni. Anche per me è stato così. Inoltre questo non era il mio settore di origine, la mia famiglia non è da secoli nel vino, non siamo in un distretto vitivinicolo di rilievo. Per cui ci sta che quando sono partito avevo una visione diversa, soprattutto sui vitigni da impiantare. Volevo fare solo vino rosso e non avrei mai immaginato che il Ribona sarebbe stato il primo nostro vettore di interesse. Rimangono però ferme le basi sulle quali Maria Grazia ed io abbiamo fondato questo progetto: la coltivazione di vitigni autoctoni, perché desideriamo parlare del nostro territorio attraverso il vino, la conduzione in bio, perché al di là degli aspetti etici garantisce a nostro avviso una maggiore affidabilità nella costituzione di un ecosistema stabile, la piccola dimensione, quattro ettari in tutto, perché è il massimo che riusciamo a gestire da soli e la sostenibilità, intesa anche come strumento per valorizzare e rendere resiliente la comunità in cui siamo inseriti”.
23 aprile 2022