Storia marchigiana di emigrazione interna: dai pascoli alla penna, un girotondo di paesi

Questa semplice storia d’emigrazione in ambito nazionale e di crescita sociale si dipana tra le colline maceratesi e la campagna romana. La studiosa Pia Settimi di Manziana (RM) è amica di penna da un paio di decenni. In questo breve articolo ricostruiamo un po’ delle migrazioni dei suoi antenati di origini marchigiane. Una progressione socioculturale negli ultimi due secoli attraverso Marche, Lazio ed Emilia-Romagna.

Il suo antenato Nicola Settimi, nato il 28 luglio 1802 a Sant’Angelo in Pontano, era un pastore transumante: d’inverno muoveva con le sue greggi verso la piana laziale, in primavera tornava nelle Marche, sempre all’interno dei confini dello Stato Pontificio. Nel 1823 decise di trasferirsi nel Lazio. Ad Anguillara Sabazia, conobbe Lucia Aloisi, figlia di un agricoltore, la sposò e andò ad abitare presso la famiglia di lei, dove c’era bisogno di altre due braccia da lavoro.

Ebbero due figli, il primo Francesco nato il 28 ottobre 1832, da lui ebbe origine il ramo che Pia definisce dei Settimi benestanti, oggi hanno un mobilificio, un allevamento di cavalli, un maneggio e altro. Qualcuno di loro ricoprì cariche amministrative in paese. Il secondo, Domenico, nato ad Anguillara Sabazia il 17 settembre 1836,  sposò Azzema Sforza di Spoleto e si trasferì a Roma. Nella città in via d’espansione, che sarebbe diventata capitale del Regno d’Italia nel 1871, serviva manovalanza edile come lui falegname e carpentiere.

Pia conserva un mobiletto con tre cassetti due in basso e uno in alto, con al centro una ribaltina adatta per scrivere. Le fu detto che era stato costruito da Domenico, bravo ebanista. Forse qualche anno dopo il matrimonio, nel 1865 la coppia ebbe l’unico figlio Benvenuto. Da grande trovò impiego alle Regie Poste Italiane, durante la grande guerra fu mobilitato e addetto al servizio postale militare. Ebbe due figli, Renato lavorava alla Stefer (oggi Cotral), la società di trasporti extraurbani di Roma. Mario, il secondo figlio, nato nel 1899 si diplomò ragioniere; Pia trovò un suo libro che le fu utile quando lei frequentò l’Istituto Tecnico Commerciale.

Anche Mario fu chiamato alle armi ma, abitando nei pressi della caserma, aveva trovato uno stratagemma per dormire a casa, almeno qualche volta. Quando vedeva il reparto sfilare lungo viale Castro Pretorio (dove oggi c’è il capolinea dei pullman per le Marche) s’infilava tra le righe, per risultare presente al successivo appello. Poco dopo finì la guerra. Mario trovò lavoro come receptionist presso il prestigioso hotel Excelsior posto alla fine di via Veneto.

Di notte seguitò a studiare (anche l’inglese) avvolto da una coperta, scaldandosi le mani con la flebile fiamma della candela che gli consentiva anche di leggere, con quei sacrifici riuscì a laurearsi in Economia e Commercio. Dopo il corso accademico fu chiamato a lavorare a Bologna presso l’hotel Diana di via Indipendenza, forse anche per la sua precedente esperienza. In seguito, entrò in una banca locale, successivamente assorbita dal Credito Italiano. A Bologna s’innamorò della giovane Cesarina, la sposò ed ebbe due figlie. Fu soggetto a vari trasferimenti, ma fece una buona carriera.

Durante la seconda guerra mondiale, nel 1941, fu mandato a prestare servizio in una filiale della sua banca a Spalato, capoluogo della Dalmazia, allora considerato un lembo d’Italia. La famiglia restò a Rimini. Pia è la più piccola delle figlie, vive a Manziana, ultimo paese della Provincia di Roma lungo la Braccianese (antica via Clodia), è ricercatrice sulla cultura ebraica e autrice di alcuni volumi.

A Manziana, territorio di origine vulcanica, ho avuto il piacere di ammirare una sorgente di acqua solfurea davvero affascinante, la Caldara, con una polla centrale ove l’acqua solfurea gorgoglia a 20° C. È un autentico monumento naturale incorniciato da uno splendido ambiente ripariale con bianche betulle (Betulla pedula), specie che solitamente vive ad altitudini maggiori, ontani comuni (Alnus glutinosa), noccioli (Corylus avellana) e castagni (Castanea sativa) con sottobosco di biancospini  (Crategus monogyna) e tante altre specie vegetali e una ricca fauna.

Fuori dal paese, confinante con la Caldara, si trova quello che viene comunemente chiamato “il Bosco” (sulla mappa chiamato Macchia Grande) con esemplari secolari di olmi, lecci, pini marittimi e un ricco sottobosco. Durante l’ultimo conflitto mondiale, in una grande radura interna chiamata prato Camillo i soldati tedeschi montarono le tende e vi si accamparono, quasi sicuramente per nascondersi, in parte, dalla ricognizione aerea alleata. In una abitazione del paese due ragazze bionde (forse slave addette al lavoro coatto) “lavavano tanti panni”, questo ricordava una vicina di Pia, all’epoca bambina.

Eno Santecchia

La Caldara di Manziana

17 aprile 2022

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