Qualche decennio fa, bambina non ancora battezzata disegnai l’arca di Noè. Mi ero impegnata oltremisura per raffigurare i quattordici oblò da dove spuntavano le quattordici specie animali che volevo salvare dal diluvio ma nessuno sembrava accorgersi dell’importanza del mio lavoro.
Giunta al quattordicesimo oblò, offesa e delusa, dimenticai di colorare quello che sembrerebbe essere una foca, un tricheco o una tartaruga. Piansi perché per quell’ultima finestra non avevo i colori giusti, i colori veri e vivi della poesia e della luce, i colori reali e smisurati dell’infanzia, quelli che gonfiano il sangue poi dimentichiamo, chissà perché diventano indecifrabili, sconosciuti. Inumani.
Oggi, a distanza di circa trent’anni termino il disegno dell’arca di me bambina, dell’arca in mezzo all’azzurro, di questo strano animale primigenio e della sua interminabile traversata nell’oceano della creazione.
Parla.no.entra / è un’altra notte questa prima degli occhi / il giorno che qualcosa incatenò il cielo / il giorno che qualcosa iniziò dalla fine / come un adagio perfetto di ritorno / dalle stanze della luce dalle fessure / di questa musica gli occhi bucano, ci piove dentro. / Dio, destino, casualità / il giorno in cui vidi meglio / avevo la bocca di un giocoliere / e le mani grandi, c’era una meridiana e la bambina / chiamava forte la sua città, il nome / azzurro azzurro azzurro.
Martina Luce Piermarini
1 aprile 2022