Anche se (per ora) virtuale, questa visita si prospetta assai intrigante, da far venire i brividi di piacere agli amanti di archeologia e antiche civiltà. Come è noto, da una decade in Siria infuria una guerra civile; ora, anche se la situazione sembra stabilizzarsi, viaggiare verso quelle belle terre ricche di storia non è consigliabile a tutti. Grazie all’impegno culturale del dottor Abdul Tarakji, che ha tradotto dei testi arabi, e a mie laboriose ricerche potremo visitare questa esposizione restando a casa.
Abdul è un medico impegnato su vari fronti sanitari durante questa pandemia, con pochissimo tempo libero. Possiamo vedere quanto è interessante e molto ben fornito il museo di Aleppo, città che ha sofferto molto per gli eventi bellici. Nato in Italia, da genitori siriani, Abdul dimostra notevole passione nel far conoscere e apprezzare la storia e la cultura della sua nazione e della città dei suoi genitori: Aleppo.
Il museo nazionale di Aleppo fu fondato nel 1931 e aveva la sede in un palazzo ottomano; esso custodisce i resti dell’antichissima città di Guzana (oggi Tell Halaf,) area Bit Bakhiani, nell’attuale Governatorato di Hassaké. Tell, in arabo cumulo o collina, indica un rilievo artificiale dovuto a una occupazione umana per lunghi periodi e, per convenzione, le rovine di antichi insediamenti nel Vicino e Medio Oriente. Nel 1966 fu abbattuto il vecchio palazzo e costruito un edificio più ampio e idoneo.
Questo museo contiene reperti archeologici esclusivamente trovati in Siria, al contrario di altri che custodiscono anche ritrovamenti di civiltà di Paesi diversi. Possiamo definirlo come una appendice di Tell Halaf (VI millennio a. C.) nel nord est, tanto è che all’esterno sono state poste alcune buone copie dei principali reperti di quel sito. È diviso in cinque dipartimenti disposti su due piani. Reperti preistorici, siriani antichi, risalenti all’epoca classica, di arte islamica e araba e di arte moderna.
La sezione più importante è quella dei resti siriani antichi, provenienti da scavi effettuati tra il 1937 al 1938 da alcuni archeologi siriani, con la collaborazione di equipe europee guidate dall’archeologo britannico Max Mallowan, marito della famosa “giallista” Agatha Cristie. La scrittrice seguiva il consorte durante le sue trasferte; alloggiavano presso il vicino hotel Baron, struttura ricettiva storica di cui parlerò in seguito, situata nella via omonima nelle immediate vicinanze del Museo.
Altre missioni archeologiche sono state compiute dal McDonald Institute for Archaeological Research dell’Università di Cambridge guidate da David e Joan Oates, che vi hanno lavorato per 14 campagne tra il 1976 e il 1993. Gli scavi hanno messo in luce abitati del periodo di Al Hubaid e il successivo periodo di Uruk, durante il quale fu costruito il tempio degli Occhi. Sono stati repertati i resti del palazzo di Naramsin, re di Akkad. Nel mondo antico l’aramaico (di origine semitica) era considerato una lingua internazionale.
Eno Santecchia
21 marzo 2022
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