Overland, l’incredibile avventura – IX puntata: il lungo viaggio da Pechino a Roma

Sbarchiamo a Madras, uno dei più importanti porti dell’India, sulla costa orientale. L’India è una repubblica federale, ma nella quale i vari stati hanno molta autonomia come purtroppo abbiamo visto nella vicenda dei nostri due marò. Questa autonomia porta anche molti inconvenienti, come le code nel passaggio tra uno stato e un altro per i dazi applicati alle merci. O come la recente norma valida in un solo stato sulla limitazione delle nascite per fermare la esplosione demografica. L’esplosione demografica è la prima impressione che si ha arrivando in India: folla ovunque, tante persone, tanta gente e poi le mucche nelle strade, indisturbate.

La prima tappa è Hosur vicino Bangalore nello stabilimento della AshorLeyland, poi proseguiamo per Hyderabat sull’altopiano del Deccan. Troviamo poco traffico perché i camionisti sono in sciopero, ma questa è la Silicon Valley dell’India, qui il regno dell’informatica. Passiamo per Nagpur e Rewa per raggiungere Varanasi. Il paesaggio non cambia, molto traffico, è finito lo sciopero, scarsa agricoltura poco meccanizzata, tante mucche, molte donne al lavoro impacciate nei loro sari, certamente non comodi.

Varanasi, la città sacra dell’induismo con le sue scalinate sul Gange, il fiume più inquinato del mondo nel quale viene scaricato di tutto ma nel quale i credenti fanno il bagno purificatore. E sulle scalinate ardono le pire per la cremazione dei credenti. Uno spettacolo che non può lasciare indifferenti. Da Varanasi tappa a Khajuraho, altra sorpresa con i suoi templi completamente ricoperti all’esterno di sculture erotiche, unico esempio non solo nell’India ma nel mondo.

Apprezziamo la rete ferroviaria indiana, eredità inglese, molto diffusa e ben tenuta. Da Khajuraho ad Agra, altra meraviglia, il monumento funebre certamente più bello al mondo. Poi Jaipur, siamo in quello che viene definito “il triangolo d’oro” dell’India, Agra, Jaipur, Delhi,  palazzi meravigliosi, una architettura che lascia esterrefatti ma anche un contrasto evidente con una diffusa povertà. Enormi ricchezze accanto a povertà totali, l’India è veramente il paese dei contrasti. Si vedono lavoratori sulle strade privi dei più elementari strumenti di lavoro, che portano il pietrisco con ceste sulla testa. Jaipur è il centro del Rajasthan la parte turisticamente più interessante dell’India. Veniamo raggiunti da ospiti e giornalisti invitati dall’Iveco che ci accompagnano per un tratto del nostro percorso.

Da Delhi ad Amritsar, finalmente delle autostrade, attività commerciali, agricoltura meccanizzata. Amritsar è il centro della religione Sikh con il tempio d’oro nel quale viene custodito il libro sacro con le massime della religione Sikh, edificato al centro di un laghetto nel quale i fedeli si immergono per purificarsi. Amritsar è al confine con il Pakistan, nella regione del Punjab, ora divisa tra India e Pakistan. Al momento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna scoppiò una devastante guerra civile tra induisti e mussulmani e al termine della quale furono creati due stati, l’India induista ed il Pakistan mussulmano con il Punjab che si trovò diviso in due. Per ricordare la loro unica origine ogni sera sulla linea di confine si svolge una cerimonia alla quale assistono migliaia di persone nella quale si incrociano le bandiere dei due stati, dopo di che il confine viene chiuso.

Al mattino le pratiche per entrare in Pakistan sono veloci. A questo punto la via più logica per raggiungere l’Europa è quella di passare per l’Afghanistan ma nel paese è in corso una guerra civile tra due fazioni, i Talebani al Sud ed i Mujaidin al Nord. Ci muoviamo tra Ravalpindi e Peshawar, la capitale, alla ricerca di una soluzione. Sembra difficile passare per Kabul, mentre sembra più possibile scendere verso Sud e passare per il Sud dell’Afghanistan. Il Pakistan dà la impressione di un maggior benessere, auto moderne, campi ben coltivati. Ma armi ovunque, quasi tutti gli uomini girano armati. Un contrasto abissale con le nostre limitazioni. Sembra più probabile che si possa passare a Sud e partiamo per Quetta.

Il terreno è inizialmente montuoso con strade molto strette sul ciglio di precipizi, poi l’area diventa predesertica, con cammelli, dromedari, e coltivazioni sperimentali per strappare terreno al deserto e renderlo coltivabile. A Quetta molti militari in giro ma le donne sono meno velate. Abbiamo un contatto con i rappresentanti dei talebani che ci danno il permesso di entrare in Afghanistan verso Qandahar. Molto traffico in frontiera con auto e camion di tutti i tipi. Vediamo la famosa ferrovia costruita dagli inglesi che doveva congiungere Singapore con Londra ma si ferma proprio al confine afgano. Alcuni tratti sono in discesa con vie di fuga in caso di emergenza. Del passaggio in Afghanistan ho parlato in un precedente riquadro, riporto solo una frase presa dai miei appunti di viaggio: “Lavorano le donne e i bambini, i talebani giocano a far la guerra e gli altri sopportano”.

In Iran, dopo una lunga frontiera con molti controlli, le strade migliorano molto rispetto alle disastrate afgane. Vediamo i famosi caravanserragli, luogo di sosta protetti per le carovane e dopo una tappa a Neishabur arriviamo a Teheran che è posta praticamente ai bordi del deserto. Dopo un giorno di sosta, il ricevimento in ambasciata (ci voleva!) e qualche riparazione ai camion presso il locale concessionario Iveco, riprendiamo la strada verso l’Iraq, verso Bagdad. Strade e autostrade belle, larghe, veloci. Le disastrate e affollate strade che abbiamo percorso sono ormai solo un ricordo. Facciamo 600 chilometri in un giorno nonostante alcune soste per il rifornimento perché agli stranieri non danno più di 300 litri di gasolio, per volta.

Scavalchiamo alcuni rilievi montuosi poi pianura con rimboschimenti per fermare il deserto. Impieghiamo due giorni da Teheran a Bagdad ma il secondo giorno siamo bloccati per 21 ore a causa della eterna frontiera irachena. I doganieri cercano bottiglie di alcolici e riviste pornografiche. Di queste non ne abbiamo, ma basta far trovare  una bottiglia e tutto passa abbastanza facilmente. Anche a Bagdad siamo ricevuti dalla nostra ambasciata, poi partiamo per la Giordania, per Amman. Ci stiamo dirigendo verso la zona più calda del Medio Oriente, non in termini di temperatura ma per i contrasti, anche conflitti armati tra Israele e gli stati arabi che lo circondano. Sono 1000 chilometri tutti nel deserto. Autostrada fino al confine giordano poi strada normale ma bella.

Sono due giorni e avremmo potuto farcela in un giorno ma le frontiere impongono i loro tempi. Da Amman puntiamo a Sud per entrare in Egitto da Aqaba. Qui sulla punta del golfo si affacciano tre stati: Egitto, Israele e Giordania. Sono tutte frontiere da superare con i loro tempi, e con orari limitati. Tutte chiuse la notte. Due notti sui camion, per fortuna qualche ristorantino ci accoglie. Il timbro di Israele sempre su un foglio a parte per evitare futuri inconvenienti con qualche paese arabo. Purtroppo un attimo di distrazione e sul mio passaporto viene posto il visto di Taba, entrata in Egitto. Me ne accorgerò dopo due anni quando chiedendo il visto per la Siria, mi verrà rifiutato: Hai il visto di Taba, quindi sei stato in Israele, sì per tre chilometri da Aqaba a Taba. Ma nulla da fare, contro la stupidità umana non c’è rimedio.

Partiamo per il Cairo, attraversiamo tutto il Sinai, sono 500 chilometri di deserto dove ogni tanto vediamo ancora relitti della guerra combattuta tra egiziani e israeliani, la famosa guerra dei sei giorni. A Porto Said, estremità meridionale del canale, non si scavalca il canale su un traghetto come un tempo ma si utilizza un tunnel scavato sotto il canale. Al Cairo, città sterminata, massiccia presenza militare ma caotica. Per un accordo con il nostro Ministero degli Esteri andiamo all’oasi di El Faiyon per visitare una oasi naturalistica realizzata dall’Italia. Poi ripercorriamo la stessa strada per entrare in Israele sempre da Taba.

Ancora un giorno in frontiera, ma ormai ci abbiamo fatto l’osso e aspettiamo con rassegnazione. Ci dirigiamo a Nord verso Gerusalemme, sosta a Timma Pilars, le famose miniere di Re Salomone, poi ancora a Mizpe Ramon. Da qui tagliamo a Est attraverso il deserto per raggiungere la splendida strada Nord/Sud che ci porta sul Mar Morto ad Hamme Zohar. Dopo l’esperienza di un tuffo nel Mar Morto, impossibile andare a fondo, l’acqua per la sua salinità ti tiene in superficie, arriviamo a Gerusalemme. Qui troviamo i rappresentanti dell’UNICEF per la quale facciamo promozione e un gruppo di giornalisti invitati dall’Iveco. Per parlare di Gerusalemme ci vorrebbe un libro intero. La capitale delle religioni monoteiste e rivendicata da cristiani, arabi, palestinesi, ebrei.

Da Gerusalemme al lago di Tiberiade a 212 metri sotto il livello del mare. Paesaggio moderno, ordine, efficienza, pulizia. Saliamo sulle alture del Golan, contese tra Giordania e Israele, con zone ancora interdette ed evidenti resti del conflitto che ha contrapposto i due paesi. Visitiamo un Kibbutz, tipica fattoria collettiva israeliana, poi una veloce puntata su Tel Aviv prima di raggiungere Haifa per  l’imbarco sul traghetto per la Grecia.

Sulla nave, tranquillo, ripenso a quello che ho visto in questo viaggio e una domanda sorge spontanea, prepotente: Perché non possiamo vivere in pace? Perché combatterci sempre? Per il Dio denaro? Non sempre e non solo. Forse più per il Dio nel quale gli uomini credono, guerre di religione anche più crudeli di quelle economiche. Di fronte al denaro si può anche ragionare, di fronte alla religione nasce il fanatismo e allora non si ragiona più.

Sbarchiamo al Pireo. Siamo di nuovo in Europa, mancano pochi giorni a Natale e abbiamo fretta di arrivare a casa. Lunga dogana in porto poi andiamo verso Nord, verso il confine con la Macedonia che attraversiamo rapidamente. Ci fermiamo a Pristina, dove è la sede del Contingente Italiano con i Carabinieri del Tuscania. Non sono molto evidenti le ferite del recente conflitto civile, se non fosse per la massiccia presenza militare sembrerebbe un paese normale. I Carabinieri ci accompagnano fino all’uscita dal Kosovo, ma appena nel territorio serbo, non più controllato da loro, veniamo arrestati, processati e ci viene imposto di lasciare la Serbia entro 24 ore. Di questo ho raccontato diffusamente in un precedente articolo.

Non possiamo passare da Serajevo, la strada è bloccata dalla neve. Ricordate le Olimpiadi invernali qui disputate? Puntiamo su Belgrado. In Ambasciata troviamo tre Carabinieri del Tuscania che hanno già viaggiato con noi. Per evitare problemi ci accompagnano fino al confine con la Croazia. Nevica in continuazione ma l’autostrada è pulita. Al confine con l’Italia nella terra di nessuno tra le due frontiere l’ultima foratura. Il dottore, che continuava a ripetere: “Non siamo ancora in Italia” viene accusato di essere uno iettatore e minacciato di linciaggio. Inizia una parata trionfale. Trieste, Padova, Verona, poi Brescia, Parma, Livorno, Orvieto. Ovunque curiosità, tanti amici, parenti, clienti Iveco che ci accolgono con simpatia. Infine parata per le vie di Roma e la banda dei Carabinieri che ci accoglie in piazza. Siamo arrivati, Overland 5 si è conclusa, un’altra avventura ci attende.

Gianni Carnevale

20 febbraio 2022

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