Dopo la scoperta, gli europei accolsero i prodotti alimentari portati dalle Americhe con curiosità mista a una forte diffidenza. Inizialmente alcuni ortaggi furono utilizzati come foraggio per gli animali, poi passarono all’alimentazione umana, arricchendo le tavole.
L’agronomo francese Antoine Parmentier (1737-1813) dedicò un trattato alla patata e utilizzò un curioso escamotage per diffonderne l’uso tra i contadini. Dall’alba al tramonto, mise degli uomini armati a guardia di alcuni campi di patate. Gli agricoltori vicini, credendo si trattasse di una pianta pregiata, di notte iniziarono a rubarle, cuocerle e mangiarle, diffondendone l’uso. Si diffusero anche: granoturco (nella seconda metà del XVI sec.), peperoni rossi e verdi (XVII sec.), pomodori, alcune varietà di fagioli senza occhi, zucche turchesche, e il cacao “cibo degli dèi”. Arrivò anche il tacchino considerato “una grande gallina simile al pavone” e, purtroppo, anche il tabacco, dal sud America.
Il pomodoro, ritenuto afrodisiaco sotto il regno di Luigi XIV, entrò sulla tavola di tutti solo nell’800 a partire dal sud Italia dove il clima era migliore. La prima ricetta di pasta condita con “salsa di pomodoro” venne pubblicata a Napoli nel 1839. Con la patata (Solanum tuberosum), inizialmente chiamata “tartufo bianco”, oltre a fare gli gnocchi si tentò di fare il pane; essa fece quasi scomparire l’uso della rapa. Originaria del Perù, Bolivia e Messico, giunse in Europa nella tarda metà del 1500, in Marche e Umbria vi arrivò verso la metà del 1700. Sembra che all’inizio qualcuno provasse a mangiare le foglie, poi si apprese che era edibile solo il tubero.
Si diffuse in Europa anche nei climi più settentrionali e freddi sfamando milioni di persone, tanto che, in seguito, la sua mancanza causò gravi carestie. A differenza di altri ortaggi come la cipolla, l’aglio, le rape, le carote, che crescono anch’essi sottoterra, le patate devono essere consumate cotte, crude sono rifiutate anche dai maiali domestici.
A Fonte delle Mattinate, dove si trova la sorgente del fiume Chienti, inizia il fertile ma freddo altipiano di Colfiorito, chiamato anche dei Plestini. A Colfiorito fino agli anni Cinquanta le patate erano solo a buccia chiara, oggi quelle varietà sono in disuso, rimpiazzate da quella a buccia rossa che s’iniziò a commercializzare dal 1963. Nel 2015 il Ministero delle Politiche Agricole l’ha fatta iscrivere nel registro europeo delle Denominazioni di Origine Protette e delle Indicazioni Geografiche protette con il nome di “Patata Rossa di Colfiorito”.
La sua buccia è di colore carminio, la pasta giallo chiaro, è un tubero dalla massa soda e croccante, particolarmente adatto alla frittura e ottimo per gli gnocchi. Anche questa cultivar viene da lontano: è una selezione della Desirèe coltivata in Olanda e poi ben acclimatata sull’altipiano posto a circa 900 metri sul livello del mare. Agli inizi degli anni Sessanta vi erano pochi ettari coltivati, oggi sono circa trenta le aziende interessate. La patata rossa si mette a dimora a fine di aprile, metà maggio; quando fiorisce la valle si copre di fiori bianchi e violetti; la raccolta avviene a settembre-ottobre. Esistono anche varietà precoci pronte ad agosto, mese durante il quale si svolge la sagra.
Essa ha una elevata resistenza ai parassiti, quindi richiede meno trattamenti antiparassitari; oggi è ben apprezzata sul mercato. Erede della fiera di Plestia, le cui origini risalgono al XVI secolo, la prima Mostra Mercato della patata Rossa si svolse i primi di ottobre del 1978 sui prati attorno la chiesa di Santa Maria di Plestia (VIDEO: https://www.larucola.org/2017/08/24/basilica-di-s-maria-in-plestia/) e che si trova proprio sul confine tra Umbria e Marche. In seguito per ragioni tecnico-logistiche fu trasferita a Colfiorito e anticipata a metà agosto. Ogni sagra comprendeva spettacoli canori, manifestazioni e altre attrazioni con l’afflusso di numerosi visitatori dalle due Regioni.
I presidenti del comitato organizzatore de “La sagra della patata rossa” fecero stampare delle brochure e poi alcuni volumi di contenuti vari su Colfiorito e dintorni, curati dal compianto don Mario Sensi (1939-2015) parroco di Colfiorito docente e storico con all’attivo svariate pubblicazioni. Oggi l’ubertoso altopiano è un fiore all’occhiello dell’agricoltura umbro/marchigiana, con produzione di latticini, formaggi, cereali, tra cui il farro, saporiti legumi (fagioli, ceci, lenticchie e cicerchia) e altri prodotti tipici. Con piccole produzioni si cerca di conservare la biodiversità e la tipicità dell’agricoltura di montagna. Molte aziende agricole si stanno orientando verso le coltivazioni biologiche.
A Colfiorito passava anche la via della Spina di frequente usata per il transito di truppe, in ultimo utilizzata per la transumanza delle pecore. I viaggiatori del Grand Tour di passaggio sulla via Lauretana (Roma – Loreto – Ancona), artisti e i fotografi degli ultimi 180 anni hanno fissato Colfiorito tra i migliori ricordi per i panorami, la flora, la fauna e per l’ambiente acquatico. Purtroppo, nei secoli, tanti hanno cercato di prosciugare la palude di Colfiorito, ma essa è sopravvissuta, pur ridotta, grazie pure al botanico Franco Pedrotti. Dal 1969 è una riserva naturale, dal 1977 è stata inclusa tra le zone umide d’interesse internazionale in base alla convenzione di Ramsar.
La palude di Colfiorito, posta a 756 m s. l. m., dal 1995 è all’interno del Parco Regionale (di circa 338 ha) gestito dal Comune di Foligno. È ricca di biodiversità con specie vegetali, uccelli stanziali e migratori, anfibi, mammiferi e pesci. Il parco dispone di un buon centro informativo nei locali delle ex casermette. Invito il turista a soffermarsi ad ammirare le bellezze naturalistiche e paesaggistiche di questo luogo stupendo e ricco di canneti, ninfee e uccelli, come il tarabuso e persino una rarissima pianta carnivora, la Utricolaria vulgaris, visibile d’estate.
È presente un museo naturalistico a ingresso libero, da visitare anche il museo Archeologico di Colfiorito (MAC), ricco di reperti archeologici che sono risalenti al Neolitico, alla età del bronzo, piceni e punici (VIDEO: https://www.larucola.org/2017/08/24/il-mac-museo-archeoligico-di-colfiorito/). Sì, perché nel 217 a. C. (durante la seconda guerra punica, circa tre giorni dopo la disfatta del Trasimeno del 27 aprile) a Plestia si verificò la battaglia tra la cavalleria cartaginese al comando di Maarbale e quella romana guidata da Gaio Centenio, forte di 4.000 unità. I romani, sembra presi alle spalle di notte, furono sconfitti.
Ritornando al versante Adriatico è bene soffermarsi presso il palazzo municipale di Serravalle di Chienti (opera dell’ing. Pier Luigi Nervi) e visitare il Museo Paleontologico Archeologico (MUPA) con interessanti resti di ippopotami, mammut, elefanti e rinoceronti preistorici datati tra i 900mila e i 700mila anni fa, rinvenuti in varie campagne di scavo, dal 1987 al 2012, promosse dalla Soprintendenza delle Marche, da Unicam e dal Comune in località Cesi e Colle Curti.
Eno Santecchia
15 febbraio 2022