Gli archi trionfali dell’antica Roma celebravano le vittorie ottenute in guerra ed erano realizzati in travertino, durevole e candido materiale che si trovava nel Lazio. Erano strutture monumentali cariche di simbolismo.
Nelle Marche di fine Settecento nei dintorni di Tolentino ne furono realizzati tre non per celebrare una vittoria bellica ma per onorare il passaggio di Papa Pio VI, che ritornava dal lungo viaggio fatto in Austria per incontrare l’Imperatore Francesco Giuseppe. Non tornava, il Papa, vittorioso dalla missione diplomatica ma, tant’è, una dimostrazione di affetto i potenti locali gliela volevano dare. E lo fecero erigendo lungo il percorso i tre archi (poco) trionfali e costruiti con il materiale locale, non travertino, ma il mattone in cotto dal caldo colore, dal duttile ed economico utilizzo.
Chiaramente erano un segno che il “treno” (non pensate al mezzo sferragliante bensì a un codazzo di carrozze scortate da armati a cavallo) papale doveva vedere passandogli accanto, per magari fermarsi e benedire i presenti; cosa che in verità ha fatto stando al diario tenuto dal Prefetto che lo accompagnava.
L’autore del libro “Aldilà degli Archi” edito da Edizioni Simple, il noto chef del castello di Vestignano, non nuovo a simili imprese avendo al suo attivo già un’altra pubblicazione, incuriosito da queste tre porte che non portano da alcuna parte, quella di Belforte del Chienti è posta addirittura in mezzo a un campo, sola soletta, oggi visibile dalla superstrada essendo stata ripulita dalla vegetazione che la nascondeva, si è attivato in una paziente e testarda ricerca riuscendo infine a dirimere il mistero dei tre manufatti solatìi.
Silvano Scalzini, durante il suo peregrinare investigativo, racconta i personaggi incontrati, siano essi dei tempi passati che ben più attuali; incontri, con questi ultimi, tesi a ricostruire le memorie verbali, i racconti degli anziani del posto. Un lavoro, questo di Silvano, che ha portato anche a un bel risultato insperato e trasversale all’opera che si era prefisso: la riscoperta dell’antica e ormai dimenticata “Osteria dell’Arancia”, prossima al castello della Rancia dal quale ha ereditato l’assonanza.
È lì, nelle vicinanze, un solido edificio abbandonato con ancora le inferriate alle finestre e l’asta riccioluta, in ferro battuto, adattata per reggere un lampione ma che reggeva in origine l’insegna dell’osteria, simile a quella della Locanda San Giorgio a Valcimarra, anch’essa ancora visibile. Onestamente ringrazia per una dritta di anni fa l’architetto maceratese Gabor Bonifazi, oggi non più tra noi e che noi de La rucola, ricordiamo con piacere avendoci onorato spesso con i suoi articoli.
Nella sua “peregrinatio” lo Scalzini era accompagnato, in modo virtuale, da una “mappa” (virgolettata perché in effetti è una litografia) che lo fatto un po’ ammattire. Su questa è raffigurato lo scenario che dava vita e significato all’arco che stava di fronte al castello della Rancia: la trionfale arcata immetteva a un favoloso scenario che faceva da sfondo a una accogliente tavolata. Trovarne i resti, non della tavolata ma delle costruzioni, non è stato possibile perché, probabilmente, realizzate in legno. Comunque, alla fine, c’è riuscito mettendo insieme tanti particolari, degno erede di Hercule Poirot o di Sherlock Holmes, fate voi.
Fernando Pallocchini
7 febbraio 2022