Origine di Filottrano e anno 1177: la storia avvalora la centralità del territorio Piceno

Premessa della redazione – L’autore parte dagli studi del professor Carnevale e in molti passi dello scritto che segue questo è facilmente riconoscibile, ma ne varia alcuni punti importanti, spostando alcune collocazioni di avvenimenti dal maceratese a località dell’anconetano. La ricostruzione risulta credibile anche in questa versione, sicuramente più della classica ambientazione oltralpe. Siamo certi che il lettore coglierà questa interpretazione come occasione di un confronto e stimolo per perfezionare la ricostruzione della storia cancellata della nostra Regione. Anche partendo da un punto di vista territoriale diverso le conclusioni in senso generale sono molto simili, avvalorando la centralità storica del Piceno.

I Sassoni nel Piceno – Nei primi giorni di dicembre del 1177 l’imperatore Federico Barbarossa cavalcava pensieroso nei pressi di Tornazzano di Filottrano. Per cercare di capire il perché è necessario fare riferimenti a un passato lontano anche per quei tempi… Per prima cosa penso che sia importante escludere la presenza dei Sassoni durante i primi quattro secoli del medioevo, nella zona fra il fiume Musone e il Fiumicello, in un’area immediatamente a Sud del confine dei loro stanziamenti. Ormai sembra più che verosimile, se non accertato, che gruppi di Sassoni, provenienti dal nord-est della Germania, siano trasmigrati in Italia al seguito dei Longobardi nel 568. Erano 20.000 circa e si stabilirono negli spazi semivuoti delle Marche centro-settentrionali, nella parte sud del territorio bizanti-no, dipendente dall’Arcivescovo di Ravenna. Si mescolarono alle altre popolazioni già residenti, residuati di etnie sull’orlo della scomparsa e ben presto, soprattutto a opera dei monaci benedettini, si convertirono al Cristianesimo. L’ultimo confine dei loro insediamenti verso sud era il fiume Musone (che precedentemente veniva chiamato Misco), infatti il lemma MU, nelle lingue celtiche, significava proprio confine. La presenza di Sassoni, quindi, anche appena al Sud del Musone, è improbabile, almeno fino al trasferimento del Regno dei Franchi nel Piceno. In maniera ancora ipotetica, considerata l’esiguità degli indizi, più che sufficienti comunque per proseguire la ricerca, illustrerò come ciò sia avvenuto, grazie all’opera del Re dei Franchi Pipino il Breve e di suo figlio, l’imperatore Carlo Magno. Il Monastero benedettino di Corbie, situato in Piccardia, in territorio franco, ma vicinissimo alla Sassonia del Nord, sorse nel 659, grazie all’opera della Regina Batilde, vedova del Re franco Clodoveo II. I monaci, alcuni dei quali di origine sassone, conoscevano benissimo la lingua e le tradizioni di tale popolo. La vitalità di questo centro si può arguire dai tanti atti papali che lo riguardarono e dalla sua “espansione” con la creazione di altri monasteri minori collegati. Famoso, forse ingiustamente, diventò quello in Germania sul fiume Weser, che venne chiamato Corvey. Il re franco Pipino il Breve, durante una delle sue veloci incursioni nel nord Europa, recò con sé, nella Francia Picena, alcuni monaci del monastero di Corbie e, ai confini Nord del suo regno, che aveva per Capitale Ponticone (oggi Sant’Angelo in Pontano), per loro fondò un piccolo monastero Corbie (detto  anche Corbaja). La zona intorno, dove pian piano sorgerà un Castello, venne chiamata Corviliano, poi corrotto in Coriliano, Corelliano, Corolliano. (probabilmente non Corbiliano a causa della pronuncia locale). Prima di proseguire voglio chiarire un po’ le nuove convinzioni su come fosse la situazione nelle Marche durante l’alto medioevo, realtà che tanti non vogliono accettare nemmeno come punti di partenza per nuove ricerche, che comunque trovano prove e riscontri sempre più convincenti lasciando intravvedere una nuova lettura dei cosiddetti secoli bui. Non è cosa da poco perché va a incidere profondamente sulla conoscenza delle origini di Filottrano, ma non solo. Sembra una favola, ma non lo è! All’inizio del medioevo la situazione andò sempre peggiorando, in particolare nel Piceno. Nel V secolo le varie invasioni barbariche arrecarono danni consistenti, ancora maggiori, all’inizio del VI secolo con la Guerra Gotica, al termine della quale vastissimi territori, non più coltivati, diventarono impraticabili. Subito di seguito la peste che, unita alla fame, portò alla scomparsa di vita associata in comprensori interi. Arrivarono i Longobardi, ma erano pochi; vasti territori alla fine del VI secolo erano ancora disabitati e la boscaglia aveva preso il sopravvento. C’erano spazi grandissimi a disposizione, in particolare nelle vicinanze della via Salaria e in tutto il Piceno. In quel periodo secondo la leggenda, il franco Tommaso di Morienna fondò l’abbazia di Farfa, nel Lazio; cominciarono ad arrivare i primi Franchi, furono ben accolti e si sistemarono nei pressi del Monastero. Gli arabi avevano conquistato la Spagna e premevano verso il territorio dei Franchi; da lì questi cominciarono a fuggire, a migrare verso l’Abbazia di Farfa, poi nei grandi spazi ormai disabitati lungo la via Salaria, nell’Ascolano, Fermano e Maceratese. Pian piano diventarono l’etnia più numerosa in tale zona, tanto è vero che venne chiamata Francia, terra dei Franchi. Nell’VIII secolo il regno dei franchi si posizionò proprio nel Piceno. Il primo re franco a trasferirvi la sua capitale fu Pipino il Breve, questa si chiamò Ponticone (attuale Sant’Angelo in Pontano) e la sua chiesa ufficiale fu San Dionigi, situata a San Ginesio, retta dai Monaci Parisii. Nell’anno 754  il re, come accennato, condusse con sé alcuni monaci provenienti dall’Abbazia di Corbie, costruì per loro un piccolo convento Corbie (o Corbaja), dipendente dai monaci Parisii di San Ginesio, con una chiesa attaccata per custodire i resti di San Vito, portati da Roma per opera di Fulrado, abate di Saint Denis, vicino Parigi. Il Monastero fondato da Pipino si trovava vicino i confini nord della Francia Picena, a ridosso del Musone, e quindi delle località abitate dai sassoni arrivati al seguito dei Longobardi. A questo proposito, ho potuto notare che la prima parte della “Translactio Sancti Viti” è molto vaga e autorizza a pensare che il luogo della prima sistemazione delle spoglie del santo bambino potrebbe essere stato ovunque, mentre nella seconda parte, sicuramente inventata successivamente, i particolari abbondano e la precisione è massima. Il fatto che nelle Marche ancora si trovino reliquie importanti del Santo, ci dice che  in un primo momento furono portate nella Francia Picena e non nelle vicinanze di Parigi, come si sostiene ancora. Certamente queste ora nelle Marche non ci sarebbero se in un primo momento fossero state portate nelle vicinanze di Parigi e poi addirittura in Germania nel Monastero Corvey sul Weser e, in ultimo, pure a Praga! Le prove per questa affermazione non ci sono, ma i diversi indizi che portano in questa direzione sono più che sufficienti  per comprendere l’esigenza di approfondimenti accurati. Tornando alla presente ricerca il piccolo monastero benedettino Corbie (Corbaja), a cui era stato assegnato da Pipino pure un piccolo territorio circostante, ebbe il suo “pago”, come avveniva di solito. I contadini costruirono le loro umili case nelle vicinanze (interessante riuscire a sapere da dove provenissero). Sorse così il piccolo villaggio di Corviliano, vicinissimo alla chiesa e al convento, diventato successivamente castello.

L’ubicazione di Corviliano (Corolliano) – Nelle carte del Cristianopulo del XVIII secolo, è segnato con un asterisco come castello non più esistente, diversi però hanno pensato a un errore. Questo asterisco è posto vicino Tornazzano, sulla collinetta oggi chiamata Villanova, a qualche centinaio di metri da via Morolo. In altri testi, in particolare nel Codice Bavaro, viene individuato il confine est di Cerlongo (S. Ignazio) che tocca quello del Castello di Corilliano (Corviliano). Per alcuni le due cose: la posizione dell’asterisco e il Confine est di Cerlongo, sono errati. Si pensa invece che ciò sia stato possibile: il Castello (o Villa) era sorto ben prima di Tornazzano, sulla collina contigua, nelle adiacenze del piccolo monastero in cui si conservavano le spoglie del martire Vito. Proprio in quel luogo, in via Morolo, ancora resiste un piccolo muro semicircolare largo circa tre metri, forse quello che resta di un’abside di una chiesa antica: quella eretta dal re Pipino? Sarebbe utile la datazione del rudere. Il muretto, costruito in opus caementicium (opera cementizia) manca del paramento esterno e presenta due peculiarità da sottolineare: a) la direzione di circa 22/ 24 gradi nord-ovest è compatibile con un’abside  laterale di una chiesa alto medioevale. b) I caementa, differentemente dai muri romani ancora esistenti in zona, sono costituiti da pezzetti di mattoni omogenei e molto piccoli. Sembra che siano stati preparati appositamente. Questa particolarità suggerisce l’esigenza di una precisa datazione e, successivamente, l’esame delle fondazioni del muro e dell’edificio al quale apparteneva. Il Castello Corviliano, dove era il  Monastero Corbaia (Corbie) aveva un piccolo territorio incuneato fra quelli di Cerlongo, di Casarolo e di Storaco (considerato che questo aveva la “curte  di Maiano” con diversi fondi a sud di Filottrano). Quando Pipino il Breve morì fu seppellito, come usavano i Franchi, sotto l’ingresso (il vecchio ingresso) della Chiesa Collegiata di San Ginesio, come poi sarà per la moglie Berta. Suo figlio, Carlo Magno Imperatore, costruì una nuova capitale, Aquisgrana, situata precisamente a San Claudio al Chienti, dove ancora resta l’antica Cappella, la chiesa così chiamata perché vi si conservava la Cappa, la mantella di San Martino, il santo patrono dei Franchi. Questi, al ritorno delle campagne militari, lo festeggiavano portando in testa il loro elmo munito di corna, da cui il detto locale: San Martino è la festa dei cornuti. Carlo Magno, all’inizio del IX secolo, vedendo vani i suoi sforzi, le sue battaglie, le uccisioni di massa, per fare convertire al Cristianesimo tutte le tribù dei Sassoni, non gettò del tutto la spugna, fece un ultimo tentativo, ma cambiò strategia. Deportò comunità intere, villaggi completi, ma non li abbandonò a casaccio qua e là in Francia, come lasciano intendere Eginardo e i vari autori degli Annales Regni Francorum, bensì vicino a presenze cristiane, che si potessero occupare con calma della loro conversione. Nel nostro caso sul colle semi abbandonato adiacente quel piccolo monastero Corbie (Corbaja), fondato da suo padre Pipino, in cui c’erano pure monaci di origine sassone, che custodivano i resti di San Vito; cenobio che presto, secondo alcuni, ospiterà pure il re Longobardo Desiderio, relegatovi dal vittorioso Carlo Magno. Lui con le cattive non era riuscito a convertirli, forse ci sarebbero riusciti i monaci benedettini, della stessa provenienza e lingua. Il monastero chiamato Corbaja durerà poco, dopo appena 80 anni, nell’836, per custodire le reliquie di San Vito ne sarà costruito uno nuovo più a nord, nella località chiamata Monte San Pietro, diocesi di Senigallia che, molto più tardi, verrà denominata Monte San Vito: la Nuova Corbaja. Questo fu motivato dal fatto che, al tempo dell’imperatore Ludovico il Pio, si erano intensificate le incursioni degli arabi, in particolare nel sud del Piceno. Avvenivano quasi tutte con la risalita dei fiumi, al sud di Ancona, con la distruzione di monasteri e centri abitati e la deportazione degli abitanti per il mercato degli schiavi. Non avvennero mai al nord di Ancona, forse perché nel porto stazionava la forte flotta bizantina e perciò quei luoghi erano giustamente ritenuti più sicuri. Per poter valutare personalmente gli indizi su cui poggia questa “ lettura dei fatti” propongo un salto temporale in avanti di 400 anni, ricordando che Carlo Magno esiliò molti sassoni nell’anno 804, probabilmente un gruppo anche sulla collina della futura Filottrano.                            

Giustino Falasconi

11 gennaio 2022

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