Da Capo de Roca a Kiev – Il viaggio di Overland 4 dall’Atlantico al Pacifico è la prima parte di un viaggio di andata e ritorno attraverso l’Europa e l’Asia alla fine del secondo millennio per chiudersi a Roma con l’apertura dell’Anno Santo. Siamo alla fine di Marzo del 1999, i nostri camion sono a Torino, in Iveco dove hanno subito un po’ di manutenzione e qualche riparazione, in casa, dopo i tre viaggi sempre all’estero. Due sono a posto ma due hanno bisogno ancora di qualche intervento.
Però Beppe vuol partire e il viaggio deve iniziare dall’estremità occidentale dell’Europa, Capo de Roca in Portogallo, ove c’è la Torre del Belem e il monumento ai navigatori che guardano l’Atlantico in tono di sfida. Così da Torino andiamo in Portogallo per dare inizio a questa nuova avventura, ma con solo due camion. Partiamo da Capo de Roca il 29 Marzo. Lisbona, Madrid, Toledo dove compro un bellissimo coltello, Barcellona, Nimes, Chambery, la Camargue, Torino. C’è poco di avventura in questo tratto, ma tanta storia, dai meravigliosi palazzi costruiti durante la dominazione araba, agli anfiteatri romani, all’acquedotto di Pont de Gard, 23mila metri cubi d’acqua al giorno, ma a quei tempi non c’erano i partiti politici e le relative tangenti. Un bel pranzo a Chateauneuf ben innaffiato con il famoso vino, poi l’Abbazia di Altacomba con le tombe di 42 nobili di Casa Savoia e dell’ultimo Re d’Italia Umberto II. A Chambery ci svuotano l’auto degli operatori rubando cineprese e macchine fotografiche. Tutto il mondo è paese. Unica nota comica gli errori di Beppe che vuol guidare la colonna ma, mentre non sbaglia mai una pista in Amazzonia o in Nepal nelle autostrade non imbocca mai un bivio giusto.
A Torino, in piazza San Carlo, ci riuniamo agli altri due camion che nel frattempo hanno terminato le riparazioni. A salutarci le autorità cittadine e regionali, i vertici Iveco, stampa, tanti curiosi, parenti e amici. Un giro per la città e partiamo verso l’Austria con tappa a Bolzano, nello stabilimento Iveco che ha costruito i nostri mezzi. A noi si aggiungono Mimmo e Giovanni alla guida dei due camion recuperati a Torino. La nostra carovana è composta dai mitici quattro camion, mensa, officina, dormitorio, cisterna e da due torpedo 4×4 di derivazione militare per gli operatori.
Al Brennero nevica e fa freddo. Dopo la notte a Innsbruck siamo a Vienna. Un giornata turistica nella città con alcuni ospiti Iveco, visita in ambasciata. Cosa dire di Vienna? Stupenda. Ma non per tutti, qualche lavoro sui camion c’è sempre da fare. Da Vienna a Bratislava, entriamo in quello che fu l’Est Europeo. Siamo in Slovacchia. Bratislava, stupenda in centro, orrenda con casermoni da pianificazione socialista e fabbriche inquinanti in periferia. Poi Kosice, ma cambia nulla, casermoni e fabbriche. Cominciamo a vedere i monumenti che ricordano l’ultima guerra, statue e carri armati. Lasciamo la Slovacchia, superiamo i Carpazi per entrare nella pianura Ucraina. Un tempo il granaio d’Europa, poi dell’Urss ora un po’ meno, l’agricoltura sembra più trascurata a favore delle fabbriche, che dopo la caduta del Muro sembrano più malmesse. Sempre in funzione le centrali nucleari anche dopo Cernobyl ma non c’è alternativa, hanno bisogno di energia.
La prima tappa in Ucraina è Leopoli, telefono a una signora in Italia di Leopoli per qualche indicazione di cosa vedere, ma c’è poco, le ferite della guerra sono rimarginate, ma di storico è rimasto quasi nulla. Visitiamo una fabbrica di autobus. Poi Kiev la capitale. Il panorama non cambia, agricoltura stentata, poche fabbriche in funzione, strade mal curate. L’Ucraina è terra di confine tra Europa e Asia, terra di grandi tragedie nei secoli ma l’inno nazionale recita: Ucraina non è morta, è sempre viva. A Kiev debbo lasciare la carovana per rientrare in Italia per altri impegni. Il racconto del viaggio prosegue con le notizie dei miei amici presenti. Li raggiungerò di nuovo a Taskent in Uzbekistan.
Da Kiev a Bishkek – Partiamo da Kiev il 16 aprile per Cremenciuk, ancora fabbriche chiuse, siamo accolti con la cerimonia dell’offerta del pane e del sale. Poi a Zaporoje uno spettacolo di bambini che cantano e ballano. Siamo sul Dniepr, da qui partono le navi crociera sui grandi fiumi dell’Est. Vediamo i primi cosacchi. Tappa a Lugansk, e il primo dei tanti monumenti ai celebri caccia Mig.
Dopo Lugansk la frontiera con la Russia con la sua eterna asfissiante burocrazia. Più si va verso Est più rimane radicato il principio inculcato durante la Guerra Fredda: Straniero uguale nemico. Volgograd o, meglio, Stalingrado: qui tutto ricorda la famosa battaglia, un grande mausoleo, la enorme statua alla grande Madre Russia, il suono riprodotto dei rumori della battaglia. Non si può restare indifferenti.
Aggiriamo il Caspio e di fronte a noi si apre quello che un tempo era il Turkestan fino al 1920. Una regione di deserti e di campi coltivati e il massiccio del Pamir con i suoi valichi oltre i 4000 metri. Una regione con molte etnie, kazaki, uzbeki, tagiki, kirgisi, turkmeni. Nel 1920 fu divisa in cinque repubbliche, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan, Kirgizistan, Tagikistan con confini che non tenevano conto delle diverse etnie che si trovarono così mischiate. “Divide et impera” dai tempi dei romani valido sempre anche nel comunismo sovietico.
A Sud il confine con Iran e Afganistan segnato qui dall’Amu Darya il fiume che alimentava il lago d’Aral totalmente deviato per irrigare i nuovi campi di cotone del quale l’URSS aveva gran bisogno. Ora l’Aral, privato del suo emissario, si sta lentamente prosciugando. Passiamo per Nukus, Ashqabad, il sito archeologico di Margoush e Merv culla di una delle grandi civiltà del passato per arrivare a Boukhara. Bellissima, merita un viaggio. “Mentre dappertutto la luce si irradia dal cielo alla terra, nella santa Boukhara essa nasce dalla terra per illuminare il paradiso”, 466 monumenti storici molti in ristrutturazione grazie all’Unesco. Tra questi il mausoleo di Ismail Samani fondatore della dinastia dei Samanidi. La leggenda narra che sia stato ricoperto di terra per sottrarlo alla vista e alle razzie di Gengis Kan.
Da Boukhara a Samarcanda. Cantata, idealizzata, immaginata, nulla in confronto è Boukhara. Il mausoleo di Tamerlano, il mausoleo di Bibi Kanun la moglie preferita di Tamerlano e il più grande leggio con il più grande Corano al mondo con lettere leggibili dalla cima del minareto. Qui secondo la leggenda è nato lo chador delle donne per volere di Tamerlano. Siamo nella capitale dell’Uzbekistan, a Taskent. Qui mi ricongiungo alla carovana. Il mio viaggio è quasi fantozziano. Nei giorni scorsi un camion ha rotto una balestra. Nulla di più veloce e semplice che portarla con me. Ma non è da tutti i giorni vedere un viaggiatore che si presenta all’imbarco con una balestra come bagaglio. Stupore al banco e sguardi interrogativi da parte di tutti Il sovraprezzo bagagli da incubo. Non l’ho portata in cabina, me l’hanno messa nella stiva. Riparato il camion sostituendo la balestra rotta ripartiamo per affrontare il Massiccio del Pamir che si erge con vette oltre i 5000 metri.
Passiamo per il lago di Alessandro Magno, Iskander Kul dove la leggenda vuole abbia fondato una nuova Alexandria e sposato la bella Roxana, alcuni passi oltre i 3000 metri in un paesaggio da favola. Poi scendiamo di nuovo nella valle dell’Amu Darya che segna il confine con l’Afganistan. Sembra incredibile, di la del fiume ci sono campi verdi, villaggi tranquilli, pascoli e terreni coltivati. È questo il terribile Afganistan? A un tratto i resti di un carro distrutto, scendo per vederlo da vicino ma un grido mi blocca: Mine! Torno indietro sulle mie orme, in effetti c’è un cartello in arabo e cirillico, il terreno è minato, ecco il vero Afganistan. Risaliamo in quota, passi oltre i 4000 metri in un paesaggio fiabesco, vette innevate, neve ai bordi delle strade, il più alto il passo Akbaital è 4655 metri. Un camion dietro mi fa dei segnali, scendo di corsa per vedere cosa ha ma dopo pochi metri mi blocco, mi manca il fiato, non si corre a quattromila metri, dovrei saperlo!
Passiamo per la regione di Osh, celebre per i suoi tappeti, messi ovunque ad asciugare al sole. Qui sono quasi tutti seguaci dell’Aga Khanj che provvede con i fondi della sua fondazione a sviluppare il tenore di vita locale. Arriviamo a Bishkek la capitale del Kirghisistan. Qui lascio la carovana che raggiungerò nuovamente a Lhasa in Tibet. All’aeroporto un funzionario continua a guardare il mio passaporto. Sento una voce dietro di me, un italiano, che mi dice: se non metti qualche dollaro nel passaporto tu l’aereo non lo prendi. Mi faccio ridare il passaporto, torno indietro di un paio di posti e mi ripresento. Un veloce timbro e vado all’imbarco, ma i dollari non ci sono più. Continua
Gianni Carnevale
3 novembre 2021