Domenico Bernetti, non nuovo sulle pagine de “La rucola” essendo stati da noi recensiti tutti i suoi libri, ormai pensionato ha lasciato l’Arma dei Carabinieri con il grado di Luogotenente e, dopo aver prestato la sua opera presso la Procura della Repubblica, da volontario, per altri cinque anni, ha prodotto il suo ultimo lavoro letterario con la pubblicazione del libro “Storie di fatiche professionali (tra soddisfazioni e antipatie, vita di un carabiniere)”, edito dalla maceratese “Edizioni Simple”.
C’è da dire che, ormai Bernetti fuori da tutti i “giochi” (e che “giochi”!), si è tolto tutti i sassolini che aveva nelle scarpe… e non erano pochi. Essere Carabiniere non è stato facile per uno con il suo carattere: fermo, ligio al dovere e ai regolamenti, incorruttibile nonché efficiente, sensibile alle difficoltà del prossimo e pronto ad aiutare. Tutti pregi che, spesso, anche nel suo ambiente lavorativo, non sempre vengono apprezzati per il loro reale valore.
Ecco allora che nelle pagine del libro, capitolo per capitolo, scorrono i personaggi più vari dal classico “lei non sa chi sono io!”, alla donna maltrattata, all’avvocato offeso per essere stato scavalcato, ai malviventi che ti sparano addosso e che ti spaccano le gomme della macchina solo perché stai facendo il tuo dovere; ma il peggio è quando sbatti con i colleghi di lavoro (pochi per fortuna) che chiedono la classica “cortesia” per un amico… cancellare qualche verbale.
Anche quando ha lavorato in Tribunale non ha avuto la vita facile: stimatissimo da pochi, ostacolato da altri. Le cause? Gelosia, invidia, prepotenza. Sono sempre gli stessi motivi che inficiano la convivenza pacifica delle persone in ogni tempo e in ogni ambito sociale.
Comunque le pagine scritte da Domenico Bernetti sono dei siparietti gustosi, che si lasciano leggere con piacere e, perché no, con curiosità. Tanto per capire i contenuti del libro, i relativi personaggi, loro comportamenti compresi, trascrivo una piccola parte di una vicenda che a suo tempo, qualche decennio fa, fece scalpore in una città (Bernetti non la cita ma ci prendiamo la libertà di scrivere… Macerata).
Ci fu un incendio nel centro storico, in un antico palazzo nobiliare e Bernetti fu uno dei primi a giungere sul posto. Questa è la sua descrizione del locale: …superai una specie di separè ed entrai in una grande stanza, che aveva come pavimentazione un grande tappeto di moquette verde e sulla sinistra alcune finestre protette da grosse tende scure. Anche la stanza era rivestita da tendaggi scuri; in mezzo alla stanza simboli di morte, una bara con sopra un teschio umano, candele ai margini e ovunque sciabole, candelabri e altri oggetti, ai lati vi erano delle sedie, in fondo alcuni candelabri e altri segni rituali…”.
Questo il luogo, una loggia massonica, poi un personaggio: “… decisi di far intervenire il Procuratore della Repubblica … il Magistrato, giunto al centro della stanza, dette uno sguardo fugace poi si girò subito verso la porta, invitandomi a riportarlo a casa … lungo la strada alle mie insistenze di poter aprire quell’armadio, per avere eventuali registri degli iscritti, non rispose mai. Sotto casa scese velocemente e imboccò il portone frettolosamente, senza nemmeno rispondere al saluto…”.
Ma non finisce qui: “… pensai che da solo non sarei riuscito a completare il lavoro, per cui cercai i miei superiori diretti ma non trovai nessuno: si erano come volatilizzati”. Autorizzato dal Pretore Penale completò il sopralluogo con relativo sequestro, poi andando verso la vicina caserma: “… due, ben vestiti, si diressero verso di me … sembravano una coppia di testimoni di Geova … capii che erano due avvocati … uno mi disse che avevano influenza in alto … per me pronto trasferimento a Palermo…”.
Fernando Pallocchini
15 ottobre 2021