Signore, salvaci dalla plastica! Sta accadendo una terribile devastazione planetaria

Su natura e ambiente se ne scrive e parla, ma volendo lasciare un pianeta vivibile alle future generazioni bisogna prendere delle decisioni coraggiose, prima che sia troppo tardi. Far cambiare rotta a chi è al timone non è facile né immediato, come abbiamo visto nel gennaio 2012 con la Costa Concordia, naufragata nei pressi dell’isola del Giglio. Dai bollettini di Greenpeace, del WWF e da altre ricerche estraggo alcune notizie e curiosità poco conosciute.

Meno plastica più energie rinnovabili – Occorre ridurre l’inquinamento ridando qualità a fiumi, laghi e oceani, diminuendo la produzione e il consumo di plastica usa e getta, investendo nel riuso e in sistemi alternativi al packaging monouso. È ormai palese che il cambiamento climatico dipenda dall’uso di fonti energetiche fossili (petrolio, gas e carbone), quindi si devono implementare le energie rinnovabili.

Altissimi costi umani – Secondo il report dell’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) di Ginevra, nel 2020 gli eventi climatici avversi hanno generato il triplo di sfollati rispetto alle guerre. Secondo il rapporto “Il costo umano delle catastrofi 2000-2019”, presentato dall’ONU e dal Centro di Ricerca sull’epidemiologia della catastrofi dell’Università di Lovanio, negli ultimi vent’anni sono stati registrati 7.348 disastri naturali che hanno condotto alla morte 1,23 milioni e coinvolto oltre quattro miliardi di persone. Sembra che la situazione sia destinata a peggiorare.

La plastica liquida – Bisogna impegnarsi per ridurre la deforestazione che incenerisce la biodiversità, come in Amazzonia e Australia. Spesso le foreste sono incendiate per far posto a pascoli e piantagioni industriali: soia, palma da olio e cacao. Gli allevamenti intensivi sono devastanti per svariati motivi, tra cui le proibitive condizioni di vita degli animali e l’abuso di antibiotici. Qualcuno ritiene quegli allevamenti incubatrici di virus. Pochi sanno che i produttori di detersivi usano come componente la plastica liquida, semisolida o solubile, contaminando poi l’ambiente attraverso gli scarichi domestici. Sembra che le aziende produttrici abbiano già trovato un escamotage per aggirare la proposta europea che vieterà l’uso di microplastiche solide in diversi prodotti.

Il plasmix – Il plasmix è un insieme di plastiche eterogenee di scarso valore che finiscono come scarto della raccolta differenziata, perché è impossibile, non conveniente o non si ha interesse a riciclarlo. Le investigazioni di Greenpeace hanno trovato questo genere di rifiuti abbandonati in Polonia e Turchia. Bisogna vietarne il commercio per non vanificare gli sforzi di chi separa correttamente i rifiuti. L’entrata in vigore di nuovi emendamenti alla convenzione di Basilea ha disciplinato le spedizioni internazionali di rifiuti pericolosi. Tra questi rientrano le plastiche miste, sporche e non riciclabili.

La spedizione dei rifiuti – Nel 2019 circa la metà dei rifiuti plastici italiani erano diretti illegalmente in Malesia. Si stima che circa il 25% delle spedizioni di rifiuti in Africa e in Asia sia irregolare. Dei primi mesi del 2021 è lo scandalo dei rifiuti prodotti da 16 comuni del Cilento esportati nel porto della bella cittadina di Sousse, che hanno condotto all’arresto del ministro dell’Ambiente tunisino e di altri dirigenti. Esportare rifiuti verso Paesi in via di sviluppo, che non possiedono tecnologie idonee al recupero di quei materiali, non è la soluzione risolutiva.

Micro e nanoplastiche – Ricordiamo che una bottiglia di plastica in mare si degrada in 450 anni e che ogni anno nel mondo ne vengono prodotte 500 miliardi. In acqua le microplastiche (al di sotto dei 5 mm) e nanoplastiche (meno di 0,1 millesimi di millimetro) sono ingerite da pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli, con immaginabili conseguenze. Bisognerebbe dire basta al circolo vizioso secondo il quale più rifiuti si producono e più gira l’economia. Anche chi fa la spesa fa la differenza, usando attenzione e meno contenitori plastici, evitando quelli difficilmente riciclabili, privilegiando lo sfuso, le ricariche e il riutilizzo dei contenitori.

“Il trucco c’è ma non si vede” – La recentissima inchiesta “Il trucco c’è ma non si vede” di Greenpeace ha accertato che nei prodotti per il trucco è stata riscontrata la presenza di materie plastiche in 11 marche di mascara, rossetti, lucidalabbra, fondotinta, cipria e smalto per le unghie. L’uso di quegli ingredienti non è essenziale. In quell’inchiesta Greenpeace si è impegnata a battersi per far vietare l’uso delle microplastiche nei detergenti, nei fertilizzanti, nei trucchi, ecc.

“Difendiamo il mare” – Nella spedizione “Difendiamo il mare” nel mar Tirreno di Greenpeace, nel 2019, sono state rivelate alte concentrazioni di microplastiche in aree inquinate come la foce del Tevere e il porto di Olbia, ma anche nei pressi dell’isola di Capraia: pesci e invertebrati ne risultano contaminati. Sembra incredibile, ma anche il sale da cucina contiene microplastiche!

La impollinazione è a rischio – Non possiamo dimenticare le api e altri impollinatori selvatici (farfalle, sirfidi e coleotteri) che soffrono per l’uso di insetticidi, per l’alterazione dell’habitat dovuto all’agricoltura intensiva, per malattie e parassiti come l’acaro Varroa destructor e per i cambiamenti climatici. È bene ricordare che un terzo del nostro cibo dipende direttamente dall’impollinazione degli insetti (in Europa oltre 4mila tipi di verdure). Anche il WWF ha attivato una recente campagna per salvare gli impollinatori con pressioni verso governi, aziende e istituzioni, informazione e mobilitazione, impegno a livello locale, ricerca e conservazione sul campo.  Il progetto “Bee safe”, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, interessa 9 Comuni della Provincia di Ancona e l’oasi “Ripa Bianca di Jesi”.

Eno Santecchia

Oceano Pacifico – Isola formata da rifiuti plastici

26 agosto 2021

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