La famiglia di mia madre era composta dai tre fratelli anziani, nonno Cesare morto molto giovane, zio Pippo, farmacista ed erborista, e zio Alfonso che, alla morte del fratello, era diventato capofamiglia.
Famiglia numerosa – Nonno Cesare e nonna Tullia, romana della Garbatella, avevano avuto cinque figli, mamma, due sorelle e due fratelli che, a loro volta, avevano messo su famiglia ed eravamo nati noi nipoti, due maschi e due femmine per cui quando, spesso, eravamo tutti insieme la famiglia era davvero numerosa e zio Alfonso ne era il capo assoluto.
La casa – La nostra casa, nella quale ottant’anni fa sono nato (a quei tempi non si veniva al mondo in ospedale) era il palazzo dove oggi è l’hotel Camerlengo. Nel retro c’era una costruzione con le cantine che chiudeva un grande spazio, sul lato destro un ampio giardino; dietro zio Pippo aveva fatto organizzare un frutteto con tutte le piante da frutto della nostra regione e, siccome non si era sposato, diceva che quelle erano le sue “creature” e le faceva curare dagli operai con grande amore e molta costanza. Lui diceva che ne erano trecento!
Zio Alfonso – Zio Alfonso era alto un metro e ottanta occhi scuri, capelli neri, una voce profonda e potente, sempre vestito con abiti di sartoria di colore scuro e sul capo, quando usciva, aveva sempre la bombetta. Noi gli volevamo un gran bene anche se a noi nipoti incuteva un certo timore. Adesso, con alcuni episodi, tento di far capire chi e come era veramente.
Il sacchetto con i ceci – Un’ampia scala, a doppia rampa, intervallata da un grande pianerottolo, portava al primo piano e lui amava, a volte, sedere su una poltrona di vimini per osservare il frutteto, poi vi spiegherò il perché. Io, in cima alle scale, giocavo canterellando e facendo roteare un sacchetto che conteneva un paio di chili di ceci. Lui mi guardò e mi disse: “Cesarino – mi chiamava così – il sacchetto non è robustissimo smettila perché si può sfondare”. Io invece seguitai e lui, a voce più alta, intimò l’ultimatum: “Se si romperà ti farò raccogliere tutti i ceci uno per uno!” Erano circa le undici e tre quarti e a casa nostra si mangiava a mezzodì preciso. Lui sedeva a capotavola, dopo tutti noi prendevamo posto e questa era una regola quasi inderogabile. Quel giorno il sacchetto si ruppe e i ceci si disseminarono lungo le scale sino alla sala d’ingresso. Le donne, (avevamo due di colf e una cuoca) e mamma e le zie si precipitarono per aiutarmi ma lui le fermò con un ordine secco e perentorio: finii di raccogliere l’ultimo cece all’una e mezza!
Il rispetto verso gli anziani – Oltre le donne avevamo anche due uomini che davano una mano nei avori più pesanti. Un giorno, non ricordo perché, maltrattai uno di loro dicendogli un sacco di parolacce; appena zio lo seppe riunì tutti quelli che erano stati presenti al fatto e davanti a tutti mi disse: “Adesso gli chiedi scusa e ti impegni a non fare più una cosa del genere”. Ribattei: “Ma lui è un dipendente!” E Zio, alzando un po’ la voce per farmi capire l’importanza di quello che diceva, replicò: “Sì! Ma è più anziano di te e come tale ha il sacrosanto diritto al tuo rispetto. Ricordalo sempre!” Quella lezione non l’ho dimenticata e, da allora, il rispetto per la gente più grande di me, per me, è diventato un preciso dovere.
Il frutteto – Vi dicevo che lui, ogni tanto, amava stare seduto sulla poltrona e guardare dalla finestra il frutteto. Lo faceva per osservare i ragazzini, quelli poveri del paese, che aperto un varco nella rete entravano per rubare la frutta. Quando uno degli uomini addetti al frutteto veniva e gli diceva se avesse dovuto chiudere il buco, lui chiedeva: “Il buco è grande abbastanza? Non è che i bambini per entrare si potrebbero far male?” Alla risposta negativa sorrideva dicendo: “Allora lasciateli fare. Li rimprovererete solo se, per raccoglier la frutta, dovessero rovinare gli alberi”. Poi rivolto a me: “Vedi Cesarino tu di frutta ne hai quanta ne vuoi, anzi più di quanta tu ne possa desiderare. Loro possono mangiarla solo facendo così!”
Gujè de la loffa – Oltre i bambini ad approfittarsi del buco c’era anche un simpatico ubriacone soprannominato “Gujè de la loffa” che era assiduo a provare tutte le primizie del frutteto. Un giorno zio parlava con un amico il quale, fra le altre cose gli chiese: “Che primizie ci sono nel frutteto?” E lui: “Non lo chiedere a me, chiedilo a Gujè de la loffa!”
Le ciabatte – Ogni quindici giorni mi chiamava e mi diceva: “Cesarino vai dalla tale persona e ordina le ciabatte per tutti!” Questo uomo era un operaio che, ammalatosi, non era più in grado di lavorare e allora per mantenere la famiglia, che era composta da moglie e tre figli, raccoglieva in giro i ritagli di stoffa e i vestiti non più usabili. Poi con grande bravura ci realizzava delle pantofole. Chiesi a mio zio: “Ma perché mi fai sempre ordinare le pantofole: nonna non sa più a chi regalarle. Non gli potresti dare direttamente i soldi se lo vuoi aiutare?” E lui: “Vedi caro… se così facessi lo umilierei davanti alla moglie e ai figli facendolo sembrare ai loro occhi un accattone invece così lui è un artigiano che lavora e guadagna e nonna si diverte a regalare pantofole!” Altra grande lezione di vita.
La bombetta nella botte – Nel suo simpatico siparietto, riportato su “La Rucola”, il mio grande amico Claudio Principi ha fatto un piccolo errore, zio Alfonso non era il direttore della fornace ma, insieme con il fratello Pippo, ne era il padrone. L’opificio era su un enorme piano sul quale erano messi ad asciugare i mattoni e poco più in alto, sulla collina dove avevano prelevato la terra per fare i laterizi, c’era una spianata con una enorme pianta sotto la quale era stato messo un grosso tino. Questo ogni mattina veniva riempito di acqua, che sarebbe servita agli operai, accaldati, per dissetarsi usando un ramaiolo appeso a un ramo per attingere l’acqua. Zio aveva fatto mettere una poltrona di vimini vicino alla botte e da lì, facendo finta di dormire, controllava tutta la fornace. Quando arrivava si toglieva la bombetta e la appendeva a un ramo proprio sopra alla botte. Un giorno, durante l’intervallo, tre operai si divertivano, certi che lui fosse assopito, a tirare sassi per far cadere il cappello nella botte. Quando suonò la sirena della ripresa del lavoro costoro continuarono. Lui, fatti passare un paio di minuti, allungò la mano mettendo la bombetta in acqua e dicendo con voce tonante: “Adesso il gioco è finito. Tornate a lavorare!”
A Roma – Zio Alfonso aveva anche un incarico nel Governo De Nicola e quando andava a Roma lui si pagava, in treno, il biglietto in prima classe, l’albergo e i pasti perché diceva: “Non posso far pagare le cose mie a quelli che versano le tasse”. Queste sono situazioni relativamente piccole ma poi lui ha fatto cose ben più grandi.
L’Enaoli – Seguiva da sempre l’istituto Enaoli, che era la scuola degli orfani degli operai morti sul lavoro, e quando seppe che lo Stato, non avendo più fondi lo voleva chiudere, disse: “No!” e per tre anni, vendendo tre dei suoi numerosi terreni, si sobbarcò l’onere del costo della gestione della scuola. Quando la sede dell’Enaoli, situata a quel tempo al centro del paese, risultò essere troppo piccola lui, che aveva proprio sotto al nostro palazzo un ampio tratto di terreno, che era area fabbricabile, lo propose al direttore il quale disse subito che andava bene ma che loro non avevano i milioni necessari per comperare l’area. Zio andò dal notaio e, siccome era contrario a fare l’elemosina che sarebbe stata umiliante per chi la riceveva, fece scrivere sull’atto notarile che lui vendeva l’area per due lire. Per dovere di cronaca, devo aggiungere che lui le due lire le volle e le teneva sempre nel taschino del suo gilè perché diceva che quelle, per lui, erano una cosa preziosa.
Zio Alfonso Commendatore – Ecco perché poi è stato nominato Commendatore al merito della Repubblica e gli è stata conferita una medaglia d’oro. Tuttavia per lui la cosa più importante di tutta la sua vita è stata quella, essendo ricco, di poter aiutare chi aveva bisogno ma senza mai farglielo pesare e questo era il suo vero fiore all’occhiello. Zio Alfonso un uomo all’apparenza altero ma sempre pronto ad aiutare chi aveva bisogno, nascondendo la sua straordinaria bontà dietro un sipario che lo faceva, invece, sembrare austero e autoritario.
Cesare Angeletti alias Cisirino
22 giugno 2021