I pericoli maggiori erano le mine antiuomo. Ricorda Tullio: “Potevi schiacciarla col piede, la mina sarebbe esplosa subito dopo che il piede che l’aveva calpestata veniva sollevato. Se ti trovavi al di fuori dell’angolo di 45° in cui si sviluppa l’esplosione delle schegge, potevi anche salvarti. Molto più pericolose erano le mine tipo ‘Claymore’. Quando con un piede inciampavi nel sottile filo di nailon mimetizzato, collegato con la mina, questa, dopo l’esplosione della piccola carica che la lanciava in aria fino a un metro e mezzo di altezza, esplodeva mandando schegge a raggiera per una decina di metri. Se ti trovavi acquattato per terra, magari non venivi colpito. Ma per chi era in piedi o in ginocchio era la fine”.
Lo scoppio della “Claymore” – Nell’aprile del 1966 il tenente Tullio Moneta fu ferito gravemente dallo scoppio di una mina. Era in pattuglia nella zona di Uvira, proprio dove termina a nord il lago Tanganika. Alcuni mercenari erano in avanguardia, seguiti da altri con le jeep sulla strada che costeggiava il lago. All’improvviso, scoppiò una “Claymore” e immediatamente dopo i Simba aprirono il fuoco da circa 150 metri dalla pattuglia. Una pallottola colpì al petto il sergente Hollys, un inglese di 26 anni che sedeva alle spalle di Tullio.
Una pallottola attraverso la Bibbia – La pallottola passò attraverso la Bibbia che Hollys portava sempre nel taschino sinistro della divisa e gli entrò nel petto. Che strano destino, quello di Hollys… Era un credente, fanatico nella lettura della Bibbia. Ce l’aveva sempre in mano, pure quando doveva pulire le armi, o quando si organizzavano le azioni di guerra… Ricorda Tullio: “A volte lo redarguivo per questa mania di stare sempre con la Bibbia in mano, con cui tentava pure di catechizzarci. Gli dicevamo che avrebbe fatto meglio a leggere meno la Bibbia e a pulire meglio il suo fucile mitragliatore. Ebbene, quel giorno avrebbe potuto essere colpito alla testa, oppure allo stomaco da quella pallottola… Invece, fu colpito proprio attraverso quella Bibbia che consultava ossessivamente”.
Il ferimento di Tullio – Un attimo prima che Hollys venisse colpito dalla pallottola di kalashnikov ci fu l’esplosione della mina Claymore, forse comandata a distanza, che straziò due mercenari appiedati che precedevano la jeep guidata da Tullio Moneta. Le schegge di ferro innaffiarono a 360 gradi, colpendo pure la jeep di Tullio. Il tenente Louis Van Heerden, di 26 anni, che era di fianco a Tullio, fu ferito a una gamba, mentre Tullio venne colpito da una scheggia che gli perforò lo stomaco e gli penetrò nel fegato. Il sergente Martin Dreyer, anch’egli sulla jeep dietro al tenente Van Heerden, rimase incolume. Tullio sentì come una sferzata allo stomaco, e cadde dalla jeep. Fu aiutato da Martin Dreyer, che lo sistemò di nuovo sul mezzo, sul sedile anteriore, a destra della guida. Tullio si comprimeva il ventre con le mani, guardando il sangue e le budella di colore roseo gli sfuggivano tra le dita. Incredibilmente non provava dolore. Solo nei film, per emozionare gli spettatori, i feriti urlano di dolore. Nella realtà non è così. Se si è colpiti alla testa e al cuore si muore all’istante, senza accorgersi di nulla. Le ferite in altre parti del corpo non fanno soffrire, poiché la parte colpita viene traumatizzata dal colpo e resa insensibile. Ci si accorge, magari, di non poter muovere un arto quando si è colpiti nelle articolazioni. Il dolore viene più tardi.
La corsa verso il campo base – – A Tullio compressero subito la ferita con delle garze, somministrandogli morfina per prevenire il dolore. Dreyer chiese a Tullio se fosse cristiano. “Prega, Dio ti aiuterà” gli disse. Tullio non pregò, perché era un agnostico. E tale è rimasto fino a oggi. Ammette un Creatore di tutto, che però non si intromette nelle cose umane. Sistemarono poi il sergente Hollys sulla parte posteriore della jeep e partirono, sostenuto da Van Heerden, alla volta del campo base di Baraka, a 30 kilometri da dove erano. Guidava Dreyer come un dannato, il più veloce possibile, con la jeep che sobbalzava su quella stradine in terra battuta, piena di buche. Tullio si chiese come mai Dreyer fosse così sollecito e umano verso di lui. Infatti Tullio era antipatico al sergente perché una volta lo aveva redarguito di fronte ai suoi subalterni.
Un paio di anfibi – Generalmente, Tullio godeva del rispetto e della stima dei subalterni. Per un comandante mercenario i suoi soldati sono come figli, o fratelli minori, alla cui vita tiene, come fosse la sua. Egli si interessava pure alle questioni secondarie e personali di ogni singolo soldato. A esempio, al mercenario italo-sudafricano della sua pattuglia, Eugenio Ciccocelli, si erano rotti gli anfibi. Un soldato senza divisa e privo soprattutto di idonee scarpe da combattimento perde la sua sicurezza psicologica. Ciccocelli voleva acquistare un paio di anfibi da Luigi “Gino” Tozzi che riforniva il Quinto Commando di indumenti militari, ma non aveva al momento i soldi necessari. Tozzi rifiutava di dargli gli anfibi. Tullio intervenne “convincendo” Tozzi con un tono a cui non si poteva dissentire. Disse a Tozzi che egli non poteva negare a un soldato ciò che chiedeva, pure perché con il Quinto Commando Tozzi aveva sempre fatto buoni affari. Tozzi consegnò gli anfibi a Ciccocelli, rivolgendosi a Tullio con voce tremolante da abruzzese: “Tullio, sei un cessaiuolo”.
“Sir”, il rispetto del grado – Pure i suoi amici più intimi rispettavano Tullio per il grado e si rivolgevano a lui, chiamandolo “Sir”. A esempio il sergente maggiore Alan Murphy, scozzese a cui Tullio doveva per l’addestramento ricevuto tutta la sua conoscenza di soldato, dava del “tu” a Tullio quando avevano lo stesso grado. Una volta che Tullio era divenuto tenente e poi capitano, il sergente maggiore Murphy si metteva sull’attenti dinanzi a Tullio e, facendo il saluto militare all’inglese, si rivolgeva a lui chiamandolo “Sir”. Tullio più di una volta aveva insistito con Murphy affinché gli desse del “tu”, almeno quando erano da soli. Murphy aveva continuato, invece, a mettersi sull’attenti e a salutare, chiamandolo “Sir”, pure quando erano da soli, testa a testa. Questo era il sistema della disciplina militare che vigeva nel Quinto Commando.
La “ruggine” tra Dreyer e Moneta – Mentre la jeep filava sobbalzando paurosamente su quei sentieri sconnessi, Tullio osservava Martin Dreyer chino sul volante. Perché Dreyer si stava adoperando così alacremente per portarlo all’infermeria della base? Eppure egli lo aveva pesantemente invalidato nell’esercizio delle sue funzioni di RSM, Regimental Sergeant Major, un grado che lo rendeva superiore addirittura ai colonnelli mentre addestrava la truppa. Cosa era accaduto tra Tullio e Dreyer? Un giorno che il sergente maggiore Dreyer stava dando ordini a un reparto in riga, offendendo pesantemente gli Italiani Piero Nebiolo e Perissinotto, il tenente Moneta intervenne dicendogli: “Questo non è un esercito militare, non è l’esercito inglese. Questo è un esercito mercenario… Qui, il rapporto tra graduati e truppa è alla pari. Tutti concorrono alla salvezza di tutti e tutti sono importanti. Qui siamo tutti per uno e uno per tutti”.
“Italiano fottuto” – Tullio aveva il dente avvelenato verso Dreyer, perché tiranneggiava in particolare Piero Nebiolo, soprattutto quando costui salutava e marciava alla “francese”, come aveva fatto per anni nella Legione Straniera, e non all’”inglese”. Dreyer gli urlava sempre: “Fucking Italian (Italiano fottuto)”. In particolare, Tullio non poteva permettere che un eccellente guerrigliero come Nebiolo fosse insultato, pure se da un sergente maggiore nell’esercizio delle sue funzioni. Ecco perché richiamò con veemenza il sergente maggiore Martin Dreyer di fronte alla truppa. Erano arrivati al punto dal dover risolvere la questione fra di loro.
Faccia a faccia – Allora, Tullio invitò Dreyer ad andare in riva al lago, ossia a poche decine di metri, perché la base militare di Baraka aveva le abitazioni quasi sulla riva del lago Tanganika. Giunti alla riva, Dreyer disse di non potersi battere con il tenente Moneta in quanto era di grado superiore al suo. “Niente paura. Adesso siamo alla pari…” – rispose Tullio, togliendosi la camicia con i gradi. Poi continuò: “Ti do due possibilità. O tu chiedi scusa di fronte a tutti gli uomini della truppa per come hai trattato Nebiolo e Perissinotto, oppure ti gonfio”. Tullio aveva notato con la coda dell’occhio che Nebiolo e Perissinotto stavano a pochi metri, pronti a intervenire qualora qualche altro della truppa avesse dato man forte a Dreyer. Nebiolo aveva in mano, nascosta dietro la schiena, una spranga di ferro, pronta all’uso. Dreyer chiese scusa ai due mercenari italiani. “Più forte! Non ho sentito” gl’intimò Tullio. Dreyer ripeté le scuse ad alta voce…
L’approvazione del Comandante – Il giorno dopo il comandante Colonello Peters, il 35enne successore del colonnello Mike Hoare, che proveniva dal corpo speciale inglese del SAS (Special Air Service), di fronte alla truppa schierata approvò il comportamento di Tullio, dicendo che il Quinto Commando era formato da mercenari di ogni nazionalità e non c’era alcuna differenza tra inglesi, italiani, sudafricani, rodesiani, francesi, polacchi, americani, eccetera. Tullio meditava su questa vicenda mentre Dreyer correva come un matto, rischiando la vita, per cercare di salvarlo. Questo era lo spirito di corpo nel Quinto Commando.
Hollys non ce la fa – Arrivarono a Baraka che stava imbrunendo. L’infermiere “Natty” Petersen cominciò a prestare le prime cure ai feriti. Hollys era pallidissimo. Sanguinava internamente. Il colonnello John Peters scosse la testa: non c’era più niente da fare. La pallottola aveva reciso l’aorta e Hollys si stava dissanguando all’interno del corpo. Pochi minuti dopo Hollys morì.
Tullio moribondo – Tullio fu imbottito di morfina. Si sentiva come un “pig in shit”, come un “maiale nella merda”. Forse se la sarebbe cavata, a patto che venisse trasportato immediatamente ad Albertville e operato per estrarre la scheggia, rimasta nel fegato. Via radio il Colonnello Peters chiese di venire con uno dei due elicotteri Bell dalla base aerea del Quinto Commando ad Albertville, a 300 chilometri da Baraka, dove stazionavano pure quattro aerei “Wigmo”, due T-28 e due B-26, pilotati da anticastristi. Risposero che di notte gli elicotteri non volavano. Per Tullio sarebbe stata morte sicura, data la gravità della ferita… Intanto, padre Palmiro Cima, missionario saveriano a Baraka, pregava per la vita di Tullio, onde ottenere la Grazia di salvarlo. Ed era pronto per l’Estrema Unzione, che Tullio, pur strafatto di morfina, non volle.
Missionari e Quinto Commando erano gli unici “dati stabili” di ordine morale e sociale su cui potevano contare quelle popolazioni in balìa degli umori pseudo rivoluzionari e pseudo comunisti dei Simba, che violentavano e ammazzavano. Perciò i congolesi guidavano i mercenari ai villaggi Simba per farli distruggere. Senza l’appoggio delle popolazioni congolesi i mercenari non avrebbero mai vinto i Simba. Il Quinto Commando manteneva pure l’ordine e la giustizia.
Il furto in chiesa – A esempio, dalla chiesa di padre Cima furono rubati calici, pissidi, ostensorio, candelabri, statue… Appena lo seppe, il tenente Moneta convocò di fronte a padre Cima il capo del villaggio e l’interprete congolese. Evidentemente, quest’ultimo trasmise al capo del villaggio la sensazione concreta che con l’ordine costituito dei mercenari non c’era da scherzare… Tullio fu così convincente che il giorno dopo tutto il maltolto fu fatto ritrovare a padre Cima davanti alla porta della chiesa.
Il rapporto con i missionari – La missione cattolica era a circa 200 metri dal campo base del Quinto Commando. Padre Cima andava spesso dai mercenari, in quanto almeno la metà erano credenti, tra cattolici, anglicani ed ebrei. Il missionario parlava volentieri con Tullio, poiché ambedue erano aperti alle discussioni. Tullio era formato culturalmente in quanto leggeva molti libri. Pure in attesa di un attacco o di una imboscata, quando poteva, apriva il libro che stava leggendo al campo e ne continuava la lettura. Malgrado Tullio non fosse un frequentatore di funzioni religiose, guai ancora oggi a dire male dei missionari. Aveva conosciuto in Sierra Leone padre Silvestro Volta che aveva costruito a Mokeni un ospedale nella foresta. Conosceva padre Cima, che si dedicava ad aiutare spiritualmente e materialmente i congolesi della sua missione. Tullio aveva visto come i missionari e le suore lavoravano per il bene dei congolesi e perciò ne aveva stima. Li considerava coraggiosi soldati senza le armi quanto lo erano i suoi soldati.
Arriva l’elicottero – Intanto, sempre con la radio, il colonnello Peters continuava a sollecitare l’intervento di un elicottero. Dall’aeroporto chiesero chi fosse il ferito. Appena udito il nome del tenente Tullio Moneta dissero che sarebbero partiti subito e di preparare le torce per individuare un campo di atterraggio a Baraka. Un elicottero si levò in volo e, costeggiando per orientarsi il lago Tanganika illuminato dalla luna, atterrò nel perimetro in cui erano state accese delle torce. Tullio fu legato a una barella che era fuori dell’elicottero per il trasporto dei feriti. Il pilota, un canadese del Quebec, accese la radio che mandava la canzone “Hit the road, Jack” di Ray Charles. Imbottito di morfina Tullio non sentiva dolore. Anzi, stava beato come in un “nirvana”. In un’ora e mezza furono coperti i 300 chilometri per Albertville.
Suor Annunziata – Una volta arrivato Tullio doveva essere ricoverato all’Ospedale Militare. Sapeva, per sentito dire, che avrebbe là dentro incontrato una sicura morte. Giunse invece suor Annunziata, un donnone di nazionalità belga, a cui il tenente Moneta aveva salvato dai Simba alcune consorelle. Afferrò Tullio di peso e insieme a un infermiere lo portò nella clinica del suo Ordine, dove poi sopraggiunse il dottor Deneuffe, medico chirurgo dell’ONU, che tolse la scheggia dal fegato di Tullio, gli asportò mezzo fegato e lo ricucì. Tullio si fece dare la scheggia, un pezzo di ferro di tre centimetri di diametro, con cui poi fece fare un braccialetto a Città del Capo dal gioielliere fiorentino Cosimo Del Piccolo.
Uscire dal corpo fisico – Sotto l’effetto di un potente antidolorifico, di cui Tullio ricorda il nome di “Dolcina” della Carlo Erba, e soprattutto sotto l’effetto dell’anestetico, egli “usciva” dal corpo e, osservava dall’alto il medico chino su di lui… Quando chiese spiegazioni della “visione”, gli dissero che erano gli effetti della droga contenuta nell’anestetico… Però quella “visione” poteva non essere un effetto del farmaco: come avveniva in altri casi di operazioni, di incidenti automobilistici. In uno stato di coma e di premorte, Tullio abbandonava il “corpo fisico” e “galleggiava” sopra di esso…
Una trasfusione molto… alcolica – Quando si sparse la notizia del grave ferimento di Tullio, diversi mercenari di Albertville andarono a trovarlo all’ospedale di suor Annunziata. Poiché aveva bisogno di sangue per una trasfusione a Tullio, il dottor Deneuffe chiese aiuto ai mercenari. Solo uno di costoro, un sudafricano piuttosto alticcio, aveva lo stesso gruppo sanguigno di Tullio. Per sicurezza il dottore mescolò un poco di quel sangue con del plasma. Ironicamente i mercenari dissero che quello dato dal mercenario non era sangue, ma alcol. Non appena donato il sangue, il mercenario svenne e batté la testa, tanto da doverlo ricoverare vicino a Tullio, il quale, svegliandosi il giorno dopo, vide il mercenario steso nel letto accanto, con la testa fasciata, che si lamentava, farfugliando qualcosa. Evidentemente ancora non aveva smaltito la sbornia.
Da un ospedale all’altro – Dopo quattro giorni, con un C130 americano, fatto venire apposta per lui su richiesta del colonnello Peters Tullio fu trasportato a Leopoldville e ricoverato nell’ospedale dell’ONU del dottor Martinez, peruviano. Due giorni dopo, con un aereo di linea della Sabena e accompagnato dal dottor Martinez, Tullio fu trasportato all’aeroporto di Johannesburg, dove era ad attenderlo una autoambulanza mandata dai “servizi” sudafricani, con i quali Tullio già collaborava, e trasportato all’Ospedale Generale, dove fu messo in una camera singola molto comoda. Fu preso in cura dal Professor Wilkinson e dal Primario Fleming, padre del capitano mercenario e dottore John Fleming del Quinto Commando, diventato successivamente un micro-chirurgo di fama internazionale. Anche qui a Johannesburg disperavano di salvarlo.
Miracolato – Il professore Wilkinson aveva detto a Tullio: “Noi abbiamo fatto tutto ciò che c’era da fare… Adesso sei tu che devi lottare per salvarti”. Con una pompa drenavano la bile: Tullio vedeva un vasetto che si riempiva di liquido verde scuro. Passavano i giorni e il liquido era sempre di colore verde scuro. Poi, lentamente, cominciò e diventare verde smeraldo. Quindi, diventò sempre più chiaro e sempre in minore quantità. Alla fine fu fuori pericolo e i medici dissero che era stato “miracolato”. Mentre era in ospedale, venne a trovarlo il tenente Van Heerden, che era stato ferito con lui, e posarono per una foto, la quale apparve su di un giornale sudafricano. Pure altri giornali sudafricani parlarono del ferimento del Tenente Tullio Moneta, molto conosciuto.
I due maceratesi… mercenari mancati – Durante la convalescenza, due anziane ebree vennero a trovarlo e gli portarono alcune riviste italiane di vecchia data, quasi a pezzi, scovate chissà dove. Tullio si commosse. Gli fece pure visita un addetto del consolato italiano, un certo dottor Pignatti, per offrirgli un aiuto finanziario di un centinaio di dollari. Tullio rifiutò, e dovette comunque sorbirsi una ramanzina per il fatto che, con la sua particolare scelta di vita, faceva soffrire sua madre. Al che Tullio lo cacciò dalla stanza e il dottor Pignatti non si fece vedere più. Tullio ricorda pure uno scherzo che i commilitoni gli fecero: inviarono una sua foto aitante, vestito in tuta mimetica, a un giornale sudafricano, che la pubblicò. Tullio fu poi inondato dalle lettere di donne sudafricane che volevano conoscerlo. E non riusciva a capire il motivo… Tanto per la cronaca, pure due maceratesi scrissero a Tullio chiedendogli cosa avrebbero dovuto fare per andare da lui e diventare mercenari. Uno addirittura gli chiese se avesse trovato in Congo “le donne e gli spaghetti”. I due maceratesi non si fecero mai vedere…
Giorgio Rapanelli
19 giugno 2021