Fino alla metà del ‘900, per circa XIV secoli, i mulini sono stati risorsa e ricchezza per la nostra economia. Nelle Marche i mulini erano mossi dall’acqua e detti anche a palmenti, a indicare le due grosse macine: quella inferiore fissa, l’altra mobile. Era necessario l’accumulo di acqua in un bacino perché i corsi d’acqua marchigiani avevano una portata d’acqua ridotta. Da alcuni decenni il fenomeno si è acuito: molti fiumi, per lo sfruttamento umano, hanno una portata di acqua notevolmente diminuita, che si avvicina a grandi passi al regime torrentizio. Gli argini del vallato (o rifolta), il bacino di accumulo dell’acqua, erano rafforzati da alberi d’alto fusto e cespugli. Lo Stato controllava l’esattezza di pesi e misure anche del macinato; erano previste pene e sanzioni per chi danneggiava i corsi d’acqua. Parimenti si vigilava anche su fonti e abbeveratoi, indispensabili per gli uomini e gli animali da lavoro e di passaggio. Nella seconda metà degli anni ’50 del ‘900 i mugnai dovevano tenere un registro dove si annotavano nomi e cognomi dei clienti e la quantità del macinato, in stretto rapporto con il numero dei componenti il nucleo familiare. Dirigeva l’Intendenza di Finanza, i finanzieri controllavano la corretta tenuta e l’aggiornamento del registro. Nel 1869 la tassa veniva calcolata in base al numero dei giri delle macine registrati da un contatore applicato sul palo. Per i mulini che ne erano sprovvisti l’agente finanziario era incaricato di riscuotere la tassa controllando il bollettario dove dovevano essere annotati i quintali del macinato e i nomi dei clienti. Il 26 dicembre 1869 fu promulgato il Regio Decreto che approvò il Regolamento per l’esecuzione dell’art. 4 della legge 23 dicembre 1869 relativo alla riscossione della tassa sulla macinazione dei cereali. Da notare che nel 1870 presso il Ministero delle Finanze, dipendente dal Segretariato Generale, c’era l’Ufficio del Macinato. Nei testi scolastici italiani non è mancata questa famigerata “tassa sul macinato”, così qualcuno la ricorda. Essa fu motivo di sciopero anche per i mugnai. Una ordinanza del Sotto Prefetto del Circondario di Camerino, datata 11 gennaio 1870, li precettò, facendoli riaprire per motivi di ordine pubblico. Quella sul macinato non era una tassa nuova. Nel 1630 il papa Urbano VIII l’aveva istituita e riscuoteva un giulio per ogni rubbio di grano macinato. Insieme con quella sul sale, era l’entrata più redditizia. Nella Marca di Camerino, nel 1775, il mugnaio Domenico Magliani e il cliente Domenico Santalucia, per l’opposizione alla tassa sul macinato, finirono in prigione. In seguito, furono liberati per grazia del cardinale Guglielmo Pallotta, in visita alla Camera Apostolica di Camerino. Questo contributo frammentario riguarda solo alcuni mulini e frantoi delle vallate maceratesi e dintorni. Il periodo esaminato va dal 1818 al 1865-70, attingendo da estratti di documenti originali (formato manifesto) dove in alto c’è la dicitura “Notificazione”. Essi furono fatti stampare a Roma a cura della Reverenda Camera Apostolica. Tali documenti, in formato gigante, invitavano la popolazione a partecipare alla vendita e/o all’enfiteusi, mediante pubblico incanto, per la vendita di terreni, mulini e abitazioni. Dati più recenti sono stati tratti da una statistica industriale della Camera di Commercio di Macerata del 1865, e altri documenti conservati dal maestro Fernando Mattioni che, cresciuto in un mulino, è da sempre affezionato a quegli opifici.
Sarnano (1865): vi erano 5 mulini, con 12 macine, per una quantità di farina di grano annua q 605, granoturco 1400, altri cereali q 12. Vi lavoravano 8 uomini e 3 fanciulli. C’era anche un mulino a olio (frantoio) con un torchio, una macina e un lavorante.
Monte San Martino (1818), mulino a due macine con una valca sul fiume Tenna, contrada Molini (Distretto di San Severino, Delegazione di Macerata), affittato al già citato Domenico Ciaffoni fino alla fine di agosto 1818. L’atto notarile, rogato il 30 ottobre 1817, fu poi prorogato di un altro anno. Valore: 2200 scudi. Esisteva un frantoio con quattro torchi.
Penna San Giovanni (1818). Due mulini a grano sul fiume Tennacola. Uno era chiamato “molino vecchio”, in contrada Colle, al civico 358, con un terreno annesso di due modioli. L’altro, sempre a due macine, detto “molino nuovo”, in contrada Biordi, al civico 690, con un terreno di circa 5 modioli affittati a Domenico Ciaffoni, a tutto agosto 1818; quella locazione fu prorogata per un anno. Valore: 5.000 scudi. Nel 1865 vi erano 4 mulini con 8 macine; si lavoravano 3.600 q annui di grano, 3.600 di mais, con 4 uomini. Il frantoio aveva 4 torchi e 4 macine, produceva ogni anno 55 hl d’olio, impiegava 8 operai.
Gualdo (1823). Un mulino a grano con due macine con valca (una macchina che batteva i panni) sotto la Delegazione di Fermo. L’opificio si trovava sulla riva del fiume Tennacola, in contrada Massignano, distante 3 miglia dal centro. Il valore era stabilito in 1200 scudi. Nel 1865 la situazione era la seguente: 3 mulini, 4 macine di cavalli idraulici 6, si produceva 800 q di farina di grano, 1200 q di farina di mais, vi lavoravano 5 uomini. Era sulla riva sinistra del Tennacola e di proprietà del Comune. Nell’agosto 1514 i sarnanesi invasero il territorio per abbattere il mulino fortificato (in pietra arenaria). Arrivarono i fermani in aiuto a Gualdo. Il mulino restò attivo fino al 1996. A Gualdo vi era anche un frantoio con un torchio e una macina; due operai producevano 10 hl di olio annuali.
Sant’Angelo in Pontano (1821). C’erano 2 mulini a una macina ciascuno, in contrada Fiastra. Nel 1865 ancora 2 mulini, le macine furono portate a 4, potenza di 14 HP idraulici 870 q di farina di grano, 1000 di granturco, 15 di altri cereali. Vi lavoravano 3 uomini.
Loro Piceno (1865). Due mulini, 4 macine della potenza complessiva di 12 cavalli idraulici; producevano 1750 q di farina di cui 2300 di mais e 35 di cereali vari. Vi lavoravano 5 uomini. Quando passò all’elettricità disponeva di 15 HP elettrici e occupava un operaio. Vi era anche un frantoio, con due torchi e due macine, che produceva 150 ettolitri, con 10 operai.
Colmurano (1821). Il mulino a una macina sul fiume Chiento con terreni annessi. Nel 1865 le macine furono portate a due con produzione di 116 q di farina di grano, 73 di granoturco, vi lavorava una persona.
Caldarola (1821). Due mulini uno sul Chienti, con due macine, l’altro chiamato il “molinetto delle Conce”, a una macina. Caldarola (1823). Due mulini a grano (Delegazione di Fermo), uno a due macine, a sinistra del fiume Chienti, in Contrada Molino, al civico 320 con annesso piccolo orto. Altro a una macina chiamato il “Molinello delle Conce”, a destra del fosso detto Rio delle Conce. Valore 2.500 scudi. Caldarola (1865). Tre mulini con otto macine (cavalli idraulici 62), farina di grano 1057 q, mais 1748 q, altri cereali 310 q; 4 operai e un fanciullo. A Caldarola, nel 1865, vi erano 10 frantoi con altrettanti torchi e macine; con produzione di 250 hl; impiegati 30 uomini. Si ritiene che l’invaso artificiale di Caccamo, entrato in funzione nel 1954, abbia cambiato il microclima della zona. Notare che 89 anni prima del lago a Caldarola vi era già una cospicua produzione olivicola.
Civitanova Marche (1865). Due mulini con sei macine produceva 11.450 q di farina di grano, 2.870 di mais, 250 di altri cerali; vi lavorano sei persone. Poi con l’energia elettrica, aveva 20 HP elettrici, vi lavoravano due operai.
La manutenzione delle pietre molari era periodica, settimanale, al massimo quindicinale: dopo aver sollevato la macina mobile con un paranco, il mugnaio le “batteva” con una apposita martellina, per mantenerne l’efficienza. Il motore idraulico del mulino era molto costoso, poteva raggiungere il prezzo di circa otto volte l’edificio; essendo parte in movimento, era anche soggetto a guasti. Nella prima metà dell’Ottocento le pietre per le macine provenivano dalle cave site nel Friuli, nel Bellunese e nel Bergamasco.
La valca o valchiera (gualchiera) era un robusto congegno in legno di quercia che, mediante una ruota e dei magli, batteva i tessuti; si trovava in molti mulini. La stoffa così battuta assumeva la consistenza del feltro. A Pievebovigliana (oggi Valfornace), mossa dall’acqua del torrente La Valle, c’era una gualchiera con annessa tintoria per colorare i tessuti. Nella caldaia si macerava anche la corteccia di noce.
Il mugnaio era un artigiano rispettato e considerato, anche se molte dicerie circolavano sulla sua onestà. L’importanza del suo lavoro non gli impediva di ammalarsi della cosiddetta asma del panificatore.
Mulini fortificati – La signora Lorenza Ionni, studiosa di Urbisaglia, che ha condotto ricerche sull’argomento, ricorda i mulini fortificati che seguono. Sono con un’alta torre con merli o senza, e feritoie, tipici di una fortezza, per difendere le macine, il relativo motore idraulico e il corso d’acqua che forniva energia anche ad altri opifici. Montefortino, sulla sponda destra del Tenna, aggregava anche una gualchiera, una tintoria e un maglio. Molino, a Gualdo, sul Tennacola, Passo di Treia sul Potenza, e sul versante opposto sotto il Comune di Pollenza, a Villa Potenza, e a Santa Maria Apparente di Civitanova Marche. Di mulini coinvolti direttamente in fatti durante l’occupazione tedesca ne accenno solo due in questa sede. Il mulino Canestrari di Morrovalle fu dato alle fiamme dai tedeschi in ritirata. Domenica 18 giugno 1944: mentre i guastatori tedeschi si apprestavano a far saltare il Molinaccio di Pian di Pieca si scontrarono con una squadra di partigiani del gruppo “Vera” di San Ginesio. Cadde il ventunenne marinaio Vinicio Bertoni. In seguito, alcuni mulini furono riconvertiti a energia elettrica, ricavata dalla stessa forza motrice idraulica. Alcuni di essi sono: di Fausto Barboni, a Gelagna Bassa (Serravalle di Chienti), a Pollenza un mulino sul Potenza è diventato la centralina idroelettrica di Montefranco, a Torre del Parco (Camerino), e quello di Mario Nicola Capponi, a Morrovalle. I mulini e centraline da visitare sono: Montefortino, Gelagna Bassa, mulino di Fiume, dependance del Museo della Nostra terra di Pieve Torina, il mulino di Andrea Bravi a Cingoli, e il mulino di Enzo Battaglioni a Gualdo.
Eno Santecchia
12 maggio 2021