Dopo la sconfitta dell’Italia e la fine della seconda guerra mondiale, la Libia passò sotto il controllo della Gran Bretagna (Cirenaica e Tripolitania) e della Francia (Fezzan). Il 24 dicembre 1951, in applicazione a risoluzione ONU, fu proclamata l’indipendenza della Libia sotto la sovranità di re Idris.
L’accordo – Con l’accordo bilaterale del 1956, l’Italia riconosceva alla Libia una somma di denaro quale risarcimento dei danni di guerra. Inoltre, tutte le proprietà demaniali italiane passavano alla Libia, in cambio agli Italiani lì residenti era riconosciuta la proprietà dei loro beni legalmente acquisiti.
Il colpo di stato – Ma il 1° settembre del 1969, il capitano Muammar Gheddafi, Gialud e altri colleghi ufficiali dell’esercito, approfittando della grave malattia di re Idris che stava in Grecia per cure termali, misero in atto un colpo di stato incruento. La Libia divenne una repubblica. Gheddafi poi si autoproclamò colonnello.
Confisca dei beni ed espulsione – Nonostante che il petrolio si era già incominciato a estrarre da oltre dieci anni, l’economia era ancora in buona parte in mano agli Italiani e agli Ebrei. Da quel momento però iniziò la fuga dei nostri connazionali dalla “quarta sponda”. Nel giro di soli undici mesi 4.000 di essi lasciarono l’ex colonia. Il 9 luglio 1970 Gheddafi, nel discorso di Misurata annunciò la confisca di tutti i beni dei cittadini italiani ancora residenti, decretandone poi l’espulsione (21 luglio 1970) senza corrispondere loro alcun indennizzo.
Tutto andò perduto – Il valore dei beni degli Italiani fu allora quantificato in 400 miliardi di lire. In meno di tre mesi altri 14.000 italiani dovettero forzatamente rimpatriare. Andarono persi case, terreni, negozi, conti bancari e persino i contributi di lavoro Inps. Gheddafi fece anche espellere tutti i resti mortali dei nostri soldati sepolti nel cimitero Hammagi di Tripoli che furono trasferiti dal nostro governo al Sacrario dei Caduti d’Oltremare di Bari.
Un comportamento arbitrario – Non vi furono incidenti diplomatici, né di altro genere, a giustificare le drastiche decisioni di Gheddafi, fu un comportamento arbitrario che non considerò il legittimo accordo internazionale precedente. Per Gheddafi il colonialismo italiano aveva causato alla Libia danni ben maggiori di quelli già risarciti nel suddetto trattato. Il dittatore seguì l’esempio di Nasser in Egitto per acquisire prestigio internazionale, a costo di rinunciare all’apporto italiano all’economia e allo sviluppo tecnologico libico.
Cacciati, con una sola valigia d’indumenti – Questo provvedimento contribuì però a precipitare la Libia in un lungo isolamento diplomatico ed economico. L’ing. Francesco Prestopino, consigliere di AIRL (Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia), una Onlus di Roma, mi scrisse che le modalità di sgombero degli Italiani furono incivili, ingiustificate e brutali: dovettero lasciare tutti i loro beni e portarsi dietro solo limitate somme di denaro, qualche altro sostiene “con una sola valigia d’indumenti”.
Debolezza del governo italiano – Il governo libico fece sostituire le scritte in alfabeto latino con quelle in arabo e instaurò un rigido proibizionismo alcolico. I governi italiani fecero ben poco per tutelare gli interessi e la dignità dei connazionali, dimostrando eccessiva arrendevolezza iniziale, che fu presa da Gheddafi per debolezza.
Il ritorno dei tecnici italiani – In pratica tutti gli Italiani lasciarono la Libia, anche se poco dopo migliaia di nostri tecnici e operatori economici poterono entrarvi con regolari contratti stipulati con le autorità libiche per realizzare gran parte delle più importanti infrastrutture, attività commerciali e industrie, negli anni ‘70 e ‘80.
Per quanto concerne gli “Italiani di Libia” (cioè quelli nati in Libia) c’è dal 1970 il divieto di ritorno per loro. A essi non è concesso il visto sul passaporto perché ritenuti fascisti e colonialisti. Negli anni Venti la Libia era un paese povero, mancava l’acqua e l’agricoltura era ancora primordiale. Quando gli Italiani rimpatriarono, essa era diventata una delle colonie più progredite del Mediterraneo, vi erano città che non avevano nulla da invidiare a quelle italiane.
Eno Santecchia
23 aprile 2021