Il romanzo storico, “La battaglia dei Campi Catalaunici” – XIV puntata

La mattina del giorno dopo Ezio fece schierare una folta rappresentanza di fanti e cavalieri ai suoi ordini nel principium (spazio del castrum per le adunate).

La confessione – Vitruvius, opportunamente torturato con sevizie di cui mostrava sanguinosi segni, alla fine aveva ammesso le sue responsabilità e in particolare di aver trasmesso, con le segnalazioni luminose, quanto appreso nel Campo e nel corso del colloquio che aveva intrattenuto con lo stesso Magister.  Erano, come sappiamo, utili informazioni sui piani di battaglia del Romano, mettendo così a rischio la riuscita degli stessi. L’odio avverso Ezio, che aveva maturato al tempo del suo servizio alle dipendenze di Bonifacio acerrimo avversario dello stesso; odio rafforzato dalla conoscenza all’epoca della sua milizia nella Gallia Narbonense di Lupus, l’ex Legatus legionis; il fortuito rapporto con Ruhr il burgundo e la sua innata cupidigia, alimentata dalla consapevolezza di poter unire alla vendetta l’utile rapinando l’oro destinato da Ezio ai Visigoti e agli Alani, lo avevano spinto a definire con gli altri due l’accordo criminoso, che aveva ispirato anche l’agguato al Soudé di qualche giorno prima. Vitruvius aveva approfittato del trasporto dell’oro, a lui affidato, per introdurre con facilità nell’accampamento lo specchio argentato, nascondendolo in una delle due cassapanche, in realtà due forzieri che Terenzio ed Elvio avevano visto nella sua tenda; forzieri per il trasporto con la carruca dei sesterzi aurei poi distribuiti a piene mani da Ezio.

La condanna – Non ci fu bisogno di processo, la condanna se l’era pronunziata da sé stesso. In un rigurgito di orgoglio Vitruvius reclamò l’antico diritto, come cittadino romano, di essere giustiziato mediante decapitazione. E fu accontentato perché, dopo pochi minuti la sua testa, spiccata dal busto, rotolava in terra dinanzi alla truppa schierata. Giustizia era fatta! Nessuno aveva provato alcun sentimento di disgusto, né di commiserazione per quella brutale esecuzione, tanta era stata la indignazione di aver appreso che un romano, anche se non più militare, aveva commesso azioni tanto riprovevoli e tali da aver posto a rischio la sicurezza e la stessa sopravvivenza di ciascuno di loro. Solo Terenzio, appartato in un angolo, si era fatto il segno della Croce meditando che, per quello che ormai appariva inevitabile, presto si sarebbero ritrovati tutti a far compagnia a Vitruvius, all’inferno…

La promozione – Ezio, che aveva molto apprezzato la capacità e la lealtà di Terenzio per il compimento con successo del delicato incarico che gli aveva affidato, lo promosse sul campo conferendogli il grado di Principalis e il relativo soprassoldo. Un riconoscimento davvero gratificante e di certo impegnativo, specie alla vigilia di una prova decisiva come quella imminente nei confronti degli Unni. Terenzio se ne sentì gratificato tanto da rinunziare a qualsiasi pur meritato riposo. Si mise quindi immediatamente a disposizione pur di dimostrare riconoscenza per quell’uomo che, nonostante il gravoso impegno di condurre l’eterogenea armata di romani e di poco affidabili foederati, si preoccupava anche della situazione di singoli suoi dipendenti.

La scelta dei volontari – Ezio  temeva in particolare per la tenuta in battaglia degli Alani e per questo, al fine di tenerli d’occhio, li aveva inseriti al centro dello schieramento, ma pensava soprattutto ad occupare per primo la boscosa collina imbottita di armi romane di riserva. Scelse dunque, all’interno delle sue Legioni, dieci turmae di cavalleria, composte da volontari, cui affidare questa impresa dall’esito della quale poteva dipendere quello dell’intera battaglia. Al comando delle turmae pose un Praefectus alae coadiuvato dal solito Centurione sul quale riponeva la massima fiducia, lo stesso della sera dell’agguato, ordinando di inserire fra gli arditi anche tutti i componenti del glorioso drappello -fra cui ovviamente il “nostro” Terenzio- che aveva partecipato alla missione di qualche giorno prima alla ricerca dei Visigoti.

I pensieri prima dello scontro – “Un maceratese ante litteram alla Battaglia dei Campi Catalaunici”, questo dovette pensare con orgoglio il novello Principalis, preparandosi ad assumere la nuova entusiasmante funzione. “Chissà, se lo sapesse, come sarebbe fiera e orgogliosa di me Lavinia! Lei mi ama ed io la voglio, come una parte di me. La più bella”. Col pensiero corse anche alla casa lontana, ripercorrendo in un attimo tutte le vicende che lo avevano portato lì: soldato, eroe, quasi Ufficiale, passato di grado e di conseguenza un po’ più benestante ma forse: presto anche morto… No, non ci stava, il suo io voleva vivere, voleva tornare a Ricina, voleva amare, avere figli, passare giorni felici e sereni, coltivare la terra, raccogliere i suoi frutti, dedicarsi alla pesca sul Potenza, raccontare ai nipoti le sue gesta e vederli sognare ad occhi aperti, pronti a ripercorrere la sua strada. “E Giunia?”. Non l’aveva più vista e la sapeva scontenta. Ma nulla poteva farci, lui aveva la sua vita e per nulla al mondo l’avrebbe voluta cambiare.

La preparazione – Lasciò cadere tutte queste farneticazioni. Non c’era più tempo e doveva prepararsi, cominciando a mettere ordine alle vesti e ad affilare le armi. Preparò anche due scritti: uno per Lavinia e uno per Pertinace. La Storia non narra il loro contenuto, ma credo sia facile immaginarlo: “Cara Lavinia, sono successe cose terribili, ma il tuo Terenzio è vivo più che mai. Domani saremo in battaglia, ma io tornerò. Sii orgogliosa di me; allora saprai, faremo festa e insieme dimenticheremo la dura lontananza. Ti amo”. “Caro Babbo, il tuo Terenzio si sta facendo onore. Ora sono un Principalis e domani combatteremo contro i barbari per la nostra Patria. Grazie per tutto quello che mi hai insegnato. Sono certo che mi aiuterà per poterci rivedere presto”. Ci pensò un po’ su e, ritenuto soddisfacente il contenuto dei due scritti, li sigillò con cera. Il servizio postale nell’accampamento, assicurato da appositi corrieri a cavallo che partivano carichi di plichi a servizio della gran massa di armati raccolti nel castrum, in quei giorni era sospeso per motivi di sicurezza degli stessi corrieri.

La ricompensa per Elvio – Terenzio, che voleva comunque lasciare un’ultima traccia di sé prima di andare in battaglia, avvalendosi del grado che ormai gli spettava fece cercare Elvio da un eques del suo reparto. L’amico, che pure aveva recitato una parte importante negli ultimi avvenimenti, non aveva ricevuto le ricompense e gli onori che erano spettati a Terenzio, ma gli era stato offerto, a titolo di riconoscimento per il ruolo svolto nella vicenda, di scegliere un posticino di secondo piano nell’accampamento, ove attendere l’esito dello scontro senza dover andare in prima linea. Elvio aveva scelto di buon grado di occuparsi dei rifornimenti alimentari, facendo servizio nelle cucine legionarie; d’altronde l’attiva partecipazione agli eventi precedenti gli aveva meritato un lungo riposo che si stava concedendo tutto. Tant’è che, per rintracciarlo, l’incaricato dovette sudare le proverbiali sette camicie.

Tu non sai chi sono io! – Trovatolo infine mentre dormiva saporitamente, cullandosi su una specie di amaca, dovette usare le maniere forti, rovesciando l’amaca, per ottenere udienza. Immaginate la reazione: “Come ti permetti? Tu non sai chi sono io. Farò rapporto al tuo comandante. Ho il permesso di riposarmi e non accetto di venire disturbato in questo modo”. “Ti vuole d’urgenza il Principalis Terenzio!”. “Ancora?”. Ma poi, ammorbidito dal fatto di essere desiderato dall’amico: “Vengo, vengo, fammi almeno vestire!”. Terenzio lo aspettava ormai con ansia. Era suonata la tromba per il “Raduno Ufficiali” e non voleva perdersi il momento in cui Ezio avrebbe manifestato il suo pensiero anche ai graduati, come di consuetudine.

Il commiato – Lasciò dunque in mano ad Elvio i suoi due scritti, incaricandolo di consegnare prima possibile le due pergamene per la spedizione e lo abbracciò: “Amico mio. Grazie di tutto. Se non tornerò, abbraccia mia moglie e mio padre e dì loro che li ho pensati fino alla fine”. Detto questo se ne andò di corsa al raduno, lasciando Elvio, a volte pelandrone ma pur sempre un brav’uomo, un po’ rattristato e commosso da quel commiato improvviso e pieno di “suspense”. continua (per leggere le puntate precedenti inserire nel sito www.larucola.org, sul motore di ricerca “battaglia dei campi”)

Giuseppe Sabbatini – illustrazioni di Lorenzo Sabbatini

27 marzo 2021

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