Antichi riti di Pasqua, alcuni ancora attivi, altri dimenticati, altri ancora stravaganti

Riprendo, riassumendo, un articolo del salesiano don Pietro Diletti pubblicato anni fa con citazioni – da parte mia – di brani tratti dai volumi “Macerata e il suo territorio” di Dante Cecchi.

Con la “Domenica delle Palme” ha inizio la settimana santa che prepara direttamente alla più grande festa cristiana: la Pasqua. Questa settimana è ricca di celebrazioni e di riti liturgici. Per commemorare l’ingresso di Cristo a Gerusalemme la Domenica delle Palme tutti si recano in chiesa a prendere un ramoscello di ulivo benedetto ritenuto efficace a preservare la casa da ogni male e i raccolti da ogni pericolo.

Particolarmente benefiche sono considerate le palme per allontanare i fulmini e placare le ire devastatrici della grandine. I ramoscelli vengono posti sulle finestre quando imperversa il maltempo, nelle stalle, nel magazzeno o anche su quelle croci di canna infilate ai margini dei campi coltivati, insieme a un pezzo di candela distribuita il giorno della “Candelora”; questo sempre per allontanare la grandine e proteggere i raccolti. I rami avanzati non vanno mai buttati, ma eventualmente bruciati e la cenere ottenuta va sparsa per i terreni.

Con la Domenica delle Palme si entra nel clima celebrativo della Settimana santa. La lettura del “Passio” nella classica forma latina, ripete quello che già da alcuni giorni la tradizionale canzone della “Pasciò” veniva ripetuta per le vie delle borgate. Infatti durante tutta la Settimana santa comitive di “giullari” e canterini giravano per il contado per ricordare di casa in casa la passione e la morte del Signore: “Già è preparata l’ora dell’ultima sua cena / e con faccia serena Gesù così parlò.  / Disse: Io sarò tradito, disse io sarò negato / e Giuda disgraziato disse: Io non sarò” (da “MC- La gente” di Dante Cecchi). In tutte le case le nonne raccontavano ai nipoti il grande avvenimento. Guai a cantare canzoni profane! Ciò valeva in modo particolare per il Venerdì Santo quando non si sarebbe mai tollerato neanche di sentire il suono di un qualsiasi strumento musicale.

Fin dal Mercoledì Santo si celebrava un rito tradizionale particolarmente in uso nel territorio camerte, il “Battisterio” che avveniva al termine della recita dei salmi del mattutino, allorché gli officianti spegnevano la dodicesima delle tredici candele che rappresentavano Gesù e gli Apostoli. Appena spenta la dodicesima candela, alcuni giovani armati di bastoni, iniziavano a percuotere le panche della chiesa, a simboleggiare le 666 battiture inflitte, secondo la credenza popolare, al Nazzareno. 

Il Giovedì Santo, dopo la messa in cui si replica il gesto di Gesù alla “lavanda dei piedi” (rito a cui si attiene tuttora anche Papa Francesco) l’eucarestia viene riposta nel sepolcro. Inizia così la visita ai Santi sepolcri, allestiti con dovizia di fiori e ornamenti vari a seconda delle singole possibilità.  Le chiese da visitare devono essere sette, cinque, o meno (comunque sempre in numero dispari). Una volta, al mattino andavano i contadini, al pomeriggio gli artigiani, per ritrovarsi poi – secondo le varie categorie – a far merenda con sardelle o stoccafisso, giusta una tradizione che si fa risalire al Medioevo, nel ricordo dell’ultima cena di Gesù con gli Apostoli.

All’ultima messa dei Sepolcri, si legano le campane. L’umanità, nell’imminenza del sacrificio del calvario si chiude nel più religioso silenzio. Le campane tacciono per fare posto al suono stridulo e rauco delle “raganelle”, “gnacchere”, “battistangole”, dei “crepitacoli”, delle “tabelle”, e delle “sgraciòle”. Tutti oggetti che stanno a significare più o meno la stessa cosa:  una tavoletta rettangolare di legno con ai due lati un battente  di ferro e una maniglia che, con il movimento dei polsi, lo fa battere su due linguelle di ferro infisse sul legno.

Il Venerdì, dopo la Messa, le Tre ore predicate, in una chiesa parata a lutto, da mezzogiorno alle quindici, ora della morte di Gesù. Quindi la processione del Cristo morto per le vie principali della città, adagiato sul “catafalco”, seguito dalle statue della Madonna e San Giovanni, con tutte le confraternite e le associazioni religiose, i chierichetti con gli arnesi di tortura e i simboli della passione, nonché tutta la folla in preghiera.

“A le vendidu’ore un vendu trapassò / tremò la terra e i monti, i morti ‘rsuscitò / A le ventitré ore da la croce ‘llevò / la Matre con dolore su le vraccia ‘l pijò” (da “MC-La gente- Dante Cecchi).

Alcune di queste tradizioni sono rimaste inalterate in tutto il maceratese, espressione di una fede ancora viva e palpitante.

Goffredo Giachini

25 marzo 2021           

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