Il romanzo storico, “La battaglia dei Campi Catalaunici” – XII puntata

Ruhr, il maledetto, con in corpo infilato il giavellotto di Elvio, gli cadde morto fra le braccia che aveva posto innanzi a sé in attesa del colpo finale. “Elvio, ti devo la vita. Non lo dimenticherò più”. Richiamati dalle urla e dal trambusto, finalmente altri armati fecero ingresso nella tenda. Il sangue del burgundo aveva inondato il materasso e tutto il pavimento, coperto all’uso romano con pelli di capre. Anche il Tribuno di turno, accorso sul luogo con una lanterna in mano, non poté far altro se non accertare la morte di quell’uomo che non conosceva e che non sapeva per quale motivo ora giacesse lì in un lago di sangue con un pilum, ormai deformato, che gli penzolava da in mezzo alle spalle. Sapeva dell’arresto di Terenzio e della muta di guardie messa a sorvegliare la sua tenda, ma non si capacitava del fatto che le guardie non fossero lì.

La fuga di Lupus – Fu proprio in quel momento che Lupus il Legatus legionis, a cavallo, si presentò alla porta decumana del castrum e, fattosi riconoscere e aprire dalle sentinelle, si lanciò a spron battuto nella brughiera con il brillante viatico della solita luna…

Le cose si complicano – Ci volle del bello e del buono per ricostruire l’accaduto. Anzitutto il Tribuno: all’oscuro di tutto, alla vista del cadavere del burgundo steso nella tenda di Terenzio per prima cosa pensò che qualche complice avesse voluto liberarlo, quindi che le guardie lo avessero ammazzato. Nell’accampamento si era infatti in precedenza diffusa la notizia di un traditore scoperto, arrestato, ed in attesa di giudizio da parte del Generale comandante. C’era anche chi si apprestava a fare giustizia sommaria senza attendere altro, tanto grandi erano la paura che gli Unni incutevano e il nervosismo per l’ormai inevitabile scontro. Subito dopo era stato trovato Elvio, tremante e balbettante per lo shock, il quale sosteneva di aver compiuto il suo gesto solo per aiutare un amico; il che faceva ulteriormente sospettare essere lui un complice dell’arrestato. Terenzio non parlava, sempre a motivo dell’ordine ricevuto da Ezio di non rivelare l’oggetto dell’incarico affidatogli, che doveva rimanere segreto. Quello che non quadrava era il fatto che le guardie alla tenda non erano state trovate al loro posto.

Il ritorno di Ezio – A quel punto il Tribuno, che era fortunatamente persona dotata di buon senso e voleva vederci chiaro, prese la decisione più logica per lavarsene le mani, nel solco del ben noto sistema pilatesco in uso fra i Romani… Decise quindi di andare a riferire l’accaduto al Legatus legionis che, per come già sappiamo, in quel momento, ben lontano dal castrum, stava galoppando a briglia sciolta verso l’accampamento degli Unni; tant’è che risultò ufficialmente introvabile considerato che le stesse guardie addette alla sua tenda candidamente dichiararono che “se l’era data a gambe (di cavallo, ovviamente)”, senza lasciare alcun avviso. Come ogni buon “deus ex machina” che si rispetti, tornò a quel punto sulla scena Ezio, reduce da una giornata traumatizzante soprattutto per la quantità di sesterzi aurei che aveva dovuto sborsare ai due Re lì convenuti e questo per evitare che, a quel punto, ripresi armi e bagagli, si fossero messi poco dignitosamente sulla strada del ritorno lasciando i Romani, da soli, nelle peste. Ascoltò dunque la relazione fatta dal Tribuno, comprese subito l’accaduto collegando come tanti tasselli di un puzzle le varie notizie; fece portare innanzi a sé i due sospettati traditori; allontanò tutti gli altri senza una parola di spiegazione, ordinando agli astanti il massimo silenzio sull’accaduto, pena gravissime sanzioni.

La perquisizione – Chiamato a sé il Centurione che lo aveva accompagnato la sera dell’agguato, ordinò anche una immediata perquisizione nella tenda del Legatus legionis, alla ricerca di qualsiasi documento o attrezzatura sospetti. Aveva difatti urgente necessità di fare presto nel chiudere definitivamente il caso per dedicarsi alla guida della sua armata, attesa dall’ormai inevitabile battaglia. La tenda da perquisire era a un passo da quella del Magister militum ed era arredata spartanamente con un tavolo, due sedie ed un letto; non si trovarono nascondigli e così, nel giro di pochi minuti, il Tribuno tornò per dichiarare: “nulla da dichiarare…”. Il castrum sede di questi avvenimenti era stato sì realizzato in gran fretta nella forma “mobile da campagna”, ma sempre con la cura che i Romani riservavano ai loro accampamenti per ragioni di sicurezza ed igiene e dunque era da escludere che Lupus avesse potuto nascondere l’attrezzatura per trasmettere i raggi riflessi altrove, se non in qualche altra tenda. Ergo, per questa ragione, nell’accampamento doveva esserci almeno un altro complice. “Elementare, Watson!” in una simile situazione avrebbe detto qualche secolo dopo lo Sherlock di turno.

Il tradimento parte da lontano – Ezio non era tipo di andare a raccontare ad altri tutto ciò che passava nella sua testa e così tenne per sé l’idea che si era fatta circa il tradimento di Lupus. Questi era stato, come già detto, alla Corte di Ravenna proprio nel periodo delle lotte interne che avevano interessato i tre Generali: Ezio, Felice e Bonifacio per la conquista del potere in quel che rimaneva dell’Impero romano d’Occidente; a conclusione delle quali Ezio, non senza grossi spargimenti di sangue, era rimasto unico vincitore. In quel periodo Lupus aveva parteggiato per Bonifacio o aveva subìto qualche torto da Ezio; la vendetta contro quest’ultimo per un odio mai sopito era stato dunque il movente del suo comportamento.

La ricostruzione degli eventi – Rimaneva la ricostruzione degli eventi, ma fu da tutti facilmente delineata: Lupus, conosciuto dalle parole di Terenzio l’incarico affidatogli da Ezio, si era personalmente recato nella tenda in cui Ruhr si nascondeva, mettendolo al corrente degli sviluppi e questi decise seduta stante di sopprimere quel fastidioso e pericoloso incomodo di Terenzio, che trovavasi in quel momento agli arresti nella sua tenda. Lupus, che era la stessa persona che aveva ordinato l’arresto, si era presentato agli uomini di guardia in quel momento alla tenda di Terenzio e li aveva allontanati dicendo che la ragione del provvedimento restrittivo era venuta meno e che quindi se ne potevano tranquillamente andare. Partite le guardie, Ruhr aveva avuto via libera per attuare il suo disegno criminoso andato casualmente fallito per la prontezza di Terenzio e l’inatteso arrivo di Elvio tornato a vedere per sincerarsi delle condizioni dell’amico, che l’ultima volta aveva lasciato piuttosto sconvolto. Resosi conto del fallimento del piano escogitato da Ruhr, Lupus non aveva esitato un attimo e, avvertito l’altro misterioso complice, si era dato a precipitosa fuga avendo compreso che a quel punto sarebbe stato facilmente smascherato. Questa la dinamica dei fatti che insieme si riuscì a ricostruire.

Problema: Lupus conosceva il piano di battaglia – Ezio apprezzò molto il leale e coraggioso comportamento mantenuto anche in quella occasione da Terenzio e da Elvio e, alla presenza del Tribuno, invitò questi a render pubblico il suo compiacimento verso i due soldati. Confermò loro l’incarico di scovare anche il complice o i complici mancanti di Ruhr e di assicurarli alla sua giustizia. Finalmente licenziati e allontanatisi tutti, si mise il capo fra le mani: Lupus, l’ormai ex Legatus legionis era al corrente dell’operazione “pila” con il deposito di armi in cima alla collina…

Il Questore – Le Parti contrapposte avevano ormai ultimato i rispettivi preparativi, ma nessuna delle due aveva sin lì deciso di dare inizio ai combattimenti. Approfittando di quella inattesa sosta, Ezio ritenne essere giunto il momento di dedicarsi al rendiconto da fare all’Erario sull’utilizzo dei fondi che erano stati messi a disposizione per la conduzione delle operazioni militari ed i rapporti con le genti alleate. Mandò dunque a chiamare il Questore che aveva portato da Ravenna le monete auree che Ezio aveva trasferito a piene mani ai Sovrani foederati per convincerli della necessità di combattere contro l’Unno invasore. Il Questore non era ancora ripartito e a quel punto si era rassegnato ad attendere l’esito dello scontro per evitare di affrontare un viaggio con le strade presumibilmente a rischio di cattivi incontri con gente sbandata o a caccia di prede. Il convegno durò poco perché, quello che c’era, di fatto era stato tutto versato non solo ai foederati, ma anche ai Legionari sempre in arretrato di paga stante la lontananza da Ravenna e la scarsità di regolari rifornimenti. Vitruvius, il Questore, si dimostrò ottimista sull’esito dei combattimenti poiché aveva osservato con quale impegno il Magister aveva preparato i suoi armati e predisposto le difese; chiese comunque qualche chiarimento su come si sarebbero svolte le operazioni ed Ezio lo diede di buon grado, riuscendo così a far mente locale sui piani di azione, cercando di individuare eventuali punti deboli e/o mancanze.

Il deposito segreto – Il chiodo fisso era diventata la riserva di armi in cima alla collina. Non poteva inviarvi un presidio, perché non disponeva di forze rilevanti e così un reparto insufficiente sarebbe stato facilmente annientato, facendo oltretutto scoprire all’avversario il preciso luogo in cui il deposito era stato realizzato. Non poteva distogliere forze dallo schieramento che aveva ormai concordato con i foederati. Temeva il rischio costituito dalla conoscenza da parte di Attila di quella operazione stante la diserzione di Lupus, l’ex Legatus legionis.

La tattica – Arrivò dunque alla conclusione che l’unica mossa da fare era quella di riservare alle sue Legioni la parte sinistra dello schieramento che, con al centro gli Alani ed a destra i Visigoti, si sarebbe mosso a battaglia contro gli Unni di Attila. Il colle difatti si ergeva sì nella parte centrale dei Campi, ma defilato sulla sinistra rispetto alla direzione che lo schieramento “romano” avrebbe mantenuto nell’approccio alla battaglia. Il piano di Ezio prevedeva dunque di dirigere le sue truppe verso il colle, conquistarlo e servirsi poi della riserva di armi lì realizzata, per utilizzarle dall’alto contro le orde dei cavalieri nemici.

Obiettivo prioritario per ambo gli schieramenti – Attila, che in tema di strategia non era certo inferiore al Romano e che anzi aveva appreso dall’attuale avversario negli anni di loro comune militanza il suo modo di combattere, conosciuta da Lupus la esistenza del deposito di armi in cima al colle, aveva a sua volta deciso di considerarlo come un obbiettivo prioritario e pertanto si arrovellava sul modo in cui riuscire lui a farlo occupare per primo dalle sue orde. La conseguenza fu che entrambi arrivarono alla conclusione che lì si sarebbe deciso l’esito della battaglia. continua

di Giuseppe Sabbatini – con illustrazioni di Lorenzo Sabbatini

20 gennaio 2021

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