Il romanzo storico: “La battaglia dei Campi Catalaunici” – XI puntata

Le notizie che giungevano ad Ezio dagli esploratori erano sempre più allarmanti: nei pressi di Duro Catalaunum, completamente abbandonata dai suoi abitanti fuggiti nei boschi a seguito dei terribili saccheggi e massacri perpetrati dagli Unni a Colonia, Treviri, Metz e Reims, si stavano ricomponendo le fila della sterminata orda barbarica di Attila, partita dalla Pannonia un anno prima.

La situazione sta precipitando – I gruppi più veloci ed arditi rimasti in retroguardia, sfuggiti all’accerchiamento da parte dei Visigoti vicino ad Aurelianum, erano ormai riusciti a ricongiungersi con il grosso ed Attila, secondo l’uso romano che aveva ormai appreso nel corso di tante vicende e in tanti rapporti intrattenuti in precedenza con uomini dell’Impero, stava fortificando un grande accampamento, ricolmo di rifornimenti portati dagli ultimi arrivati. La situazione stava dunque precipitando e non si poteva più esitare.

Si affilano le armi – Ezio, che era giunto in quei luoghi in anticipo, dopo la fortificazione del castrum non aveva perso tempo, mettendo al lavoro ventiquattro ore su ventiquattro tutte le risorse di cui disponevano le Legioni al suo comando, accelerando la produzione delle armi difensive ed offensive e rinforzando le difese. I fabbri e gli armaioli avevano lavorato a pieno regime utilizzando grandi forge da loro stessi impiantate producendo un gran numero di spathae, ma soprattutto di pila e di scuta in previsione del grande scontro armato.

Il trasporto delle armi – L’originale idea del Magister era stata quella di andare a costituire un deposito di riserva per armi sulla sommità del colle boscoso situato al centro delle pianure e questo per la ragione già accennata che il lancio dall’alto dei pila avrebbe costituito un enorme vantaggio per i combattenti. Fu così che, attesa la notte, dopo aver predisposte diverse carrucae ed averle caricate di armi prodotte in quei giorni, un intero manipolo al comando di un Centurione, scortato da una unità di cavalleria composta da tre turmae si mosse con prudenza diretto al colle, distante alcuni chilometri dall’accampamento. Arrivati sul posto senza incontrare ostacoli e trovato sulle pendici un anfratto adatto per nascondere il carico d’armi, lo riposero accuratamente all’interno, coprendo con fogliame e cancellando le tracce del loro passaggio.

Il deposito nascosto – Il giorno successivo, prima dell’alba, una cinquantina di genieri, muniti di attrezzi da scavo erano già sul posto e, trasportate le armi in cima alla collina, scavarono una profonda fossa all’interno della quale le depositarono definitivamente, occultando anche gli attrezzi utilizzati per aprire e poi ricoprire la fossa. Rimasero lì per tutto il giorno e, a notte fonda, furono riportati al castrum da un veloce reparto di cavalleria, che era giunto per prelevarli con cavalli di riserva. Ezio, che a seguito degli avvenimenti dei giorni precedenti diffidava di tutti e anche delle persone all’interno del suo entourage, aveva disposto che tutta la operazione rimanesse segreta, affidandone la sua esecuzione al Centurione che lo aveva accompagnato nella missione precedente disturbata dall’agguato; difatti il deposito doveva rimanere sconosciuto ai più per cogliere di sorpresa gli avversari. Strane voci però circolavano in quei giorni all’interno del castrum principalmente legate alla notizia, che era circolata, della presenza di infiltrati nemici.

Riflessi luminosi nel campo – Terenzio si era mosso con circospezione nelle sue indagini, ma questo non aveva impedito il diffondersi di queste voci messe in circolazione non si sa bene da chi. Ciò stante decise di riferire ad Ezio senza aspettare gli sviluppi del caso. Il Comandante, nonostante la gravosità dei suoi impegni in quei giorni, lo ricevette rapidamente. “Magister! Ho vigilato per tutta la notte ed effettivamente, dopo l’ora quarta, ho notato dei riflessi di luce provenienti dalla stessa direzione di qualche sera fa. Mi sono precipitato per trovare a chi fossero diretti ed ho intercettato un’ombra sfuggente nella zona del praetorium.

Rhur – Ho raggiunto l’intruso, era coperto da vesti che ne lasciavano vedere solo il viso. L’ho fissato per un attimo negli occhi e, nonostante quell’uomo fosse glabro, sono certo di averlo riconosciuto. Era Rhur, la guida del drappello la sera dell’agguato, che evidentemente si è rasato eliminando la folta barba che prima portava e che ha avuto l’ardire di ritornare nel castrum. Non sono riuscito a fermarlo perché, in un baleno, si è eclissato fra le tende”. Ezio si fece scuro in volto e cominciò a riflettere. Quanto gli veniva riferito era della massima gravità e non faceva altro se non ingigantire nella sua mente alcuni sospetti che gli erano venuti negli ultimi giorni ma non ne fece menzione a quel suo incaricato. Lo invitò a proseguire senza indugio anche perché ormai sentiva imminente l’inizio delle ostilità.

Un vecchio amore – “Che fai Terenzio, dove vai?”. Elvio come di consueto si presentava interrogando. “Ti cercavo perché avevo bisogno di un amico come te”. “Per Giunia?”. Elvio non si smentiva mai; pur nell’imminenza di una prova durissima, a rischio della vita per tutti i militi di quel Campo, pensava ancora a quel piccolo problema sentimentale, curioso com’era nel suo animo di conoscere le reazioni dell’amico su quel rapporto che riteneva ancora attuale. “Smettila Elvio. Son cose passate, io non ci penso più”. “Scusa, Terenzio; l’ho detto pensando di farti piacere perché di recente ho appreso da lei stessa che ha capito di aver sbagliato, di non trovarsi bene con l’uomo con cui si è messa dopo di te e che, pur con i figli che ora si ritrova, vorrebbe tornare ai vecchi tempi e riprendere tutto da capo”. Elvio parlava così anche per soddisfare la sua voglia di fare il “gazzettino,” un po’ civettuolo com’era di natura, rimanendo pur sempre una persona buona e servizievole oltre misura.

Lavinia, la sposa – “Forse tu non sai di Lavinia” sbottò infine Terenzio un po’ seccato dal fatto che, con tutti i problemi che aveva, forse quello esistenziale ed intimo in quel momento era il meno urgente da trattare e da risolvere. “Lavinia?” Elvio non si arrendeva facilmente e la sua innata curiosità aveva sempre il sopravvento. “Sì, Lavinia, mia moglie”. Ma come? un gazzettino come lui non sapeva che Terenzio si era sposato? “Te lo racconterò, Elvio, ma non adesso. Ora ho un problema gravissimo”.

I due amici si accordano – E qui giù l’esposizione dettagliata degli avvenimenti succedutisi in quel breve lasso di tempo e dell’incarico ricevuto di far luce sulle infiltrazioni interne di elementi pericolosi per la causa romana. Elvio ammutolì e finalmente comprese lo stato d’animo dell’amico, dando la sua disponibilità per aiutarlo a risolvere il caso. Fra i due iniziò così un fitto dialogo per ragionare sulle notizie che avevano a disposizione e trarre indicazioni su come muoversi nell’immediato futuro. La prima considerazione fu quella della sicura presenza all’interno del castrum di un soggetto nemico in grado di acquisire notizie rilevanti per l’andamento delle ostilità.

Un complice con Ruhr – Ruhr era sicuramente un traditore, ma aveva potuto agire da solo? No di certo: la missione di Ezio alla ricerca dei Visigoti era stata decisa a livello di comando e Ruhr non aveva partecipato a quella riunione e, come guida, era subito partito con il drappello senza avere il tempo di fare lui le segnalazioni per preparare l’agguato. Dunque: oltre a Ruhr, doveva esserci per forza almeno un altro complice. Doveva anche esserci un’attrezzatura per effettuare le segnalazioni luminose all’esterno. Ruhr era sfuggito all’incontro con Terenzio nascondendosi alla sua vista nell’area del praetorium e poiché l’ordine all’interno dell’accampamento era molto curato non poteva essere andato lontano. Per sottrarsi Ruhr doveva essersi rifugiato in una tenda. Quale?

In perlustrazione – Terenzio decise che era giunto il momento di svolgere una verifica all’interno dell’accampamento e convenne con Elvio, che aveva impegno presso il suo reparto, di rivedersi a sera. Fu così che Terenzio, cercando di darsi un contegno senza dare nell’occhio, gironzolò fra le tende del praetorium per trovare eventuali indizi che potessero far avanzare la ricerca. Iniziò dunque a perlustrare la zona controllando in particolare per scoprire se qualcuna delle tende avesse magari un’apertura di accesso secondaria rispetto alla principale, nella quale il Burgundo potesse essersi infilato. Per fare ciò si mise a scuotere qualche parete, sollevandola in parte per vedere il comportamento del tessuto. Quattro forti braccia lo bloccarono all’istante.

Arrestato – Due sentinelle addette al servizio della tenda del Comandante, avendolo notato aggirarsi in quel modo, silenziose lo avevano afferrato alla spalle tenendolo bloccato per non farlo scappare. Terenzio protestava la sua innocenza ma le voci circolanti nell’accampamento circa la presenza di nemici infiltrati erano ormai note a tutti. Ezio in quel giorno era assente per convegno con Teodorico, Re dei Visigoti e Sangibano degli Alani, ove si sarebbe dovuto trattenere fino a sera.

Lupus, legatus legionis – Il recalcitrante Terenzio venne quindi trascinato a viva forza al cospetto di Lupus, il Legatus legionis che, in assenza di Ezio, esercitava il comando sul castrum. Lupus era un militare di carriera. Figlio di un alto personaggio della Corte imperiale, aveva svolto tutta la sua attività presso una unità palatina a Ravenna, avanzando nel grado specie nel periodo di predominio del Magister militum Bonifacio. Rimasto in servizio pur dopo la morte di quest’ultimo e l’avvento di Ezio al potere, lo aveva seguito nell’attuale avventura in Gallia, al comando di una Legione. Tipo austero ed inflessibile, abituato ad assumere decisioni, conosciute le circostanze del fermo di Terenzio sorpreso dalle guardie in atteggiamento sospetto, seduta stante decise di giudicarlo iniziando con stringenti domande per farlo parlare, ma senza ottenere risposta nonostante l’avesse anche fatto frustare a dovere.

Terenzio mette in ballo Ezio – Il povero Terenzio, combattuto fra il pensiero dell’impegno preso con Ezio di non rivelare la sua missione e l’inviperito Lupus il quale, convinto che il suo silenzio fosse la migliore conferma dell’accusa di tradimento che gli aveva rivolto, minacciava di farlo immediatamente giustiziare, alla fine si decise a parlare. “Magister, lei ha ragione di punirmi per il silenzio mantenuto, ma io ho l’ordine del Generale Ezio di ricercare un traditore infiltratosi nel castrum e di non parlarne con alcuno. Per questo chiedo di essere giudicato dal Generale Ezio.

Terenzio in isolamento – L’aver tirato in ballo il diretto superiore di Lupus aveva costretto quest’ultimo a frenare la sua ira anche perché non poteva rischiare di insistere per far trasgredire un ordine impartito dal Capo supremo ad un dipendente pur essendo questi di grado tanto inferiore al suo. Conosceva bene l’autorità di Ezio nel far rispettare le sue decisioni, che nessuno e neppure l’Imperatore poteva permettersi di contraddire e così, sospeso di giudicare l’arrestato, comandò alle guardie di restringerlo nella tenda di reparto a lui assegnata vigilando che non se ne andasse, nell’attesa del ritorno in campo del Magister. Fu così che Terenzio, sotto scorta, venne condotto nella tenda, sdraiandosi subito sul materasso dopo aver lavato le ferite causate dai colpi di frusta ricevuti dal carnefice. Il giorno stava lentamente trascorrendo e sul suo materasso Terenzio attendeva fiducioso il ritorno di Ezio, che certamente avrebbe posto fine a quella angosciosa e dolorosa situazione nella quale si era venuto a trovare per aver cercato di non violare l’ordine che gli aveva impartito.

Una lama tagliente –  Il pensiero nel dormiveglia era volato lontano. A Lavinia, che l’aspettava da tempo, sperando sempre di vederlo arrivare; diritta lì sulla porta, giovane e bella come l’aveva lasciata; il suo sguardo amoroso, la sua bocca fremente in attesa dei baci, come un giorno che fu. E la festa di nozze? Un ricordo infinito di dolcezza e di affetto. E la notte segreta, nella tenera alcova, quando i corpi frementi si conobbero un dì… Era dolce sognare quei momenti lontani che potevano non tornare più. Terenzio di colpo si sentì soffocare. Quel tormento improvviso schiarì come un lampo la sua mente annebbiata. La luce del sole aveva lasciato posto alle tenebre e nessuno aveva acceso la scarsa lucerna che teneva lì in tenda. Vide solo il bagliore dello sguardo assassino, con la lama tagliente che calavagli addosso.

Ruhr sta per uccidere Terenzio – Allenato al duello in battaglia, Terenzio con un portentoso scatto di reni evitò il fendente, ruzzolando fuori dal materasso. Ruhr, il maledetto burgundo, la Guida traditrice e violenta era lì con un gladio nel pugno, determinato ad uccidere il romano di turno. Forse il suo braccio assassino era armato dall’odio covato in seno al ricordo di massacri operati ai danni del suo popolo dagli stessi romani che oggi, con l’oro, tentavano di comprare l’amicizia burgunda. Terenzio non aveva tempo per trovare il motivo di questa nuova aggressione; pensava solo a saltare sul suo materasso, cercando di schivare i ripetuti fendenti che con cieco furore il burgundo incalzava, certo ormai di riuscire a finirlo. Senza fiato, per aver inutilmente chiamato le guardie in aiuto, Terenzio mise un piede in fallo e si ritrovò per terra inerme, alla mercé dell’assassino. Nessuno poteva più salvarlo, così si arrese aspettando il colpo finale. Che non venne. Continua

di Giuseppe Sabbatini – con illustrazioni di Lorenzo Sabbatini

2 gennaio 2021

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