Inizia da Macerata il lungo viaggio con il “Coro Sibilla” di don Fernando Morresi

L’ingresso nello storico complesso corale maceratese è stato determinato, almeno per quanto mi riguarda, da una serie di circostanze che hanno caratterizzato e rivoluzionato un menage uniforme e un po’ incolore, come può essere quello di un dipendente di un Istituto pubblico in una città di provincia.

“I Pueri Cantores Zamberletti” – Due miei figli gemelli (Sergio e Marco) hanno fatto parte, per più di 20 anni, della corale “Pueri Cantores Zamberletti”, complesso fondato e diretto da don Fernando Morresi, figura carismatica di sacerdote e musicista, di cui si è parlato diffusamente in altra occasione. Nel 1983 fu indetto un Convegno delle Associazioni dei Pueri di tutta Europa a Trieste; immaginarsi la gioia e la trepidazione specie di mia moglie Aida, “mula” triestina di nascita, che, dopo l’infanzia trascorsa in quella città (interrotta per trasferimento della famiglia) e la frequentazione dell’Università del luogo, non aveva avuto più occasione di tornare al nord.

Genitori coinvolti – Entrammo quindi a far parte dello sparuto gruppo di genitori che accompagnavano i ragazzi. Si partiva con l’entusiasmo e, a volte, con la incoscienza dei giovani (e meno giovani) sotto la paziente guida e il carisma del direttore del gruppo, don Fernando Morresi. Nella prima giornata i ragazzi delle compagini triestine, con la funzione fin dagli inizi di “accompagnatori”, fissarono l’appuntamento per la comitiva maceratese: “passiamo a prendervi con il pullman domani mattina alle 8,35; tutti pronti davanti all’albergo!”

L’orario… pressappoco – E così fu. I nostri, abituati agli orari diciamo… elastici adottati nel centro Italia (di solito qui da noi si è soliti dire: ci si vede verso le ottoemezzo/nove) rimasero scioccati dalla puntualità teutonica dei tosi del nord e fu un correre spasmodico, un precipitarsi per le scale dell’hotel, alcuni con le scarpe in mano, altri a tornare in camera a recuperare capi di vestiario o la sacca con la divisa. Alle 8,45 eravamo tutti a bordo con destinazione la cattedrale di San Giusto.

Ensemble di 400 voci – E qui servirebbe un capitolo a sé per descrivere le sensazioni rimaste indelebili nell’animo: il rito solenne celebrato dal Vescovo, una folla di presenze e il colmo dell’emozione al levarsi dei canti sotto le antiche volte della basilica. Un unisono di 400 voci – o forse più – a creare una dolce suggestione in un’atmosfera coinvolgente e irripetibile. I gruppi, provenienti da più parti, avevano il compito durante la permanenza in città di accompagnare le Messe celebrate nei vari quartieri triestini.

Mi sòn nata qui… – All’uscita dalla chiesa in cui si era esibito il Coro maceratese, vidi mia moglie fermarsi  a osservare con un’espressione tra il sorpreso e il divertito le vie circostanti, il rione, le case, i negozi, la zona in genere. Quale non fu la nostra meraviglia, quando la sentimmo affermare, quasi con un grido di trattenuta commozione, in un impulso di antico accento locale: “Mi son nata qui, su sta palazzina d’angolo, riconosco l’edificio, la strada, le finestre…”.  Una circostanza fortuita, uno scherzo del destino, si direbbe, l’imponderabile intervento della volontà divina, fatto sta che – a margine della manifestazione del Congresso triestino – non ci poteva capitare situazione più favorevole!

Il “Coro Sibilla” – Questo l’antefatto e veniamo ora al “Sibilla”. Alcuni componenti della corale dei Pueri le cui voci, con l’avanzare dell’età, non erano più definibili “bianche” – come regolamento esige – avevano aderito a una lodevole iniziativa del Maestro don Morresi, appassionato di montagna, che aveva avuto l’idea di costituire a Macerata un complesso che si dedicasse ai canti del genere alpino.

Goffredo entra nel coro – I Pueri “anziani” (perdonate l’ossimoro) presenti alla manifestazione triestina, dividendo la loro attività canora tra il coro più giovane e quello montagnolo, sentendomi cantare a Trieste nel corso delle allegre esecuzioni nei dopocena collettivi, apprezzarono la mia vocalità e l’intonazione e mi invitarono a far parte della corale “montanara”.

Inizi in provincia – Il gruppo agiva sotto l’egida della sezione CAI di Macerata e, dopo alcune titolazioni provvisorie, assunse la denominazione di “Coro CAI Sibilla”, esibendosi agli inizi preferibilmente in località  della provincia (Sarnano, Tolentino, San Severino) con qualche sporadica scorribanda in ambito regionale.

Prime trasferte estere – Negli anni 80, alla trasferta per me indimenticabile di Danzica nel nord della Polonia, già in precedenza narrata, seguì il viaggio a Weiden, nell’ambito del gemellaggio attuato fra quel Comune tedesco e Macerata. Una intera nottata in pullman – beata quell’età che lo permetteva – tutta d’un fiato dalle Marche al Brennero. Quindi, dopo una necessaria sosta, altri chilometri prima di arrivare a destinazione.

A Weiden c’è… via Macerata! – Accoglienza ufficiale in pompa magna da parte del borgomastro e maestranze della comunità, visita ai luoghi caratteristici della città, con foto di gruppo sotto una targa stradale con l’indicazione: “Via Macerata”.Scovammo nelle adiacenze una rivendita di… vini, nella patria della birra! Scambio di cortesie e doni, in occasione di un concerto in un locale caratteristico con lunghi tavoloni e panche spartane, con la bevanda a fiumi, le prosperose kellerine, una banda di trombe, tromboni e bombardini in costume tipico e balli collettivi. Inutile descrivere la nostra meraviglia e i sorrisetti di intesa tutta latina, nell’osservare i Tedeschi che fanno baldoria e si divertono con ferrea disciplina e organizzazione.

“Maccaroni” – Tutto preciso, coordinato e programmato, senza la benché minima sbavatura. La birra, leggera e invogliante, veniva servita in grossi boccali a forma di stivaletto della capacità di circa ½ litro, con le inevitabili conseguenze di frequenti ricorsi alla toilette specie da parte dei nostri coristi. I tedeschi ci sfottevano, all’epoca, chiamandoci ancora “maccaroni” con pronuncia graffiante e gutturale, ma le rappresentanti del gentil sesso parevano divertirsi un mondo con persone così spensierate, che improvvisavano e si muovevano al di fuori d’ogni schema preordinato.

I più scatenati – Nella circostanza i più scatenati furono Maurizio (ultrasettantenne) detto“il ragazzo di bottega” per aver lavorato fino alla vecchiaia presso una farmacia del centro storico di Macerata e Lorenzo (Lòre, 80enne) uno dei primi in Italia ad aver goduto dei benefici  della cosiddetta “baby pensione”; innamorato della montagna e ottimo ballerino, nonostante l’età.

A Trento unico coro del… sud – Con Don Fernando partecipammo a una rassegna/concorso a carattere nazionale a Trento! Era un aprile freddo e nevoso. Il Sibilla era l’unico Coro del sud  (tutto sta a intendersi da che punto d’Italia I “polentoni” facciano partire il sud, la Terronia) accolto a braccia aperte dalla popolazione di ceppo italiano, con un calore a volte sopra le righe.

L’incitamento di una anziana signora – Rivedo e risento l’entusiasmo di una anziana signora con cappellino e ombrello multicolore, piccola e sorridente, assistere a una nostra estemporanea esibizione in una piazza del centro poco trafficata, tra un accenno di pioggerella insistente e una spolverata di nevischio. Rari gli ascoltatori, pochi i consensi e la voce della vecchina che, sovrastando gli applausi di cortesia, grida: “Félo veder a sti cruchi come che se canta!” (Fatelo vedere a questi ‘crucchi’ tedeschi, come si canta…).

Nella fossa dei leoni – Fu un impulso di spirito nazionalista che poco giovò in seguito alla nostra performance nella gara con gli altri complessi del posto. Va bè’, direte: eravamo capitati nella fossa dei leoni, in mezzo a gente che il canto corale ce l’ha nel dna. Comunque, sorvolando sulla classifica finale, resta nel cuore e nella mente la parata conclusiva dei complessi partecipanti, ognuno con la propria divisa ufficiale, per le vie del centro cittadino, tra gli applausi della folla. E poi il raduno nell’ampio parterre dello Stadio del ghiaccio per una volta senza ghiaccio, dove i coristi (400 unità circa) si erano sistemati a semicerchio intorno a un alto trespolo da cui un maestro d’occasione dettava tempi, intonazioni e ritmi. Un pubblico entusiasta ad assistere a questa inusuale performance.

La battuta dell’alpino al “basso” – Lucio Santarelli, mai dimenticato presidente del Sibilla, dalla voce calda e profonda, altezza un metro e 65 centimetri ben portati, stava nel settore di sua pertinenza. Gli capita accanto un alpino in uniforme di ordinanza e superba penna nera, un marcantonio robusto e aitante, con un potente registro di basso lirico. In una pausa dell’esibizione collettiva, l’omone si rivolge con simpatia al nostro presidente, lo osserva dall’alto dei suoi circa 2 metri e, dandogli un’amichevole pacca sulle spalle, non può esimersi dall’esclamare: “Mi gò sentìo dei bassi, ma no gò mai visto un basso ‘basso’ come che ti!” alludendo ironicamente più alla statura dell’amico cantore, che non al suo timbro vocale.

Ospitalità – Ci avevano ospitato in un grosso stabile pressoché abbandonato in un’altura a pochi chilometri da Trento: un vecchio istituto scolastico, un collegio, o forse una caserma delle truppe austro-ungariche, destinato ora ad accogliere gruppi o comitive come la nostra. Lunghe camerate attrezzate con lettini in ferro, allineati lungo pareti dall’intonaco scrostato. Faceva un freddo cane, persino nella avanzata stagione primaverile e non si dormiva troppo. In sottofondo imperava il ritmo dei russatori incalliti e, a intervalli regolari, si inseriva lo sfrigolìo delle zip del borsone da viaggio di un corista (detto “lu capostazió” per aver diretto, in anni trascorsi,  una  stazioncina ferroviaria) il quale si accaniva con il suo bagaglio, forse per un tic nervoso o per assicurarsi che nessuno andasse a rovistare tra le sue cose.

L’autista disinvolto – Al mattino, a collegare la caserma con la città veniva uno sgangherato piccolo scuolabus, condotto con disinvoltura da un giovinastro che, nello scendere a valle, affrontava i tornanti  come fossero una pista da motocross. Chi era costretto a stare in piedi (i posti a sedere erano una diecina in tutto) veniva sballottato a ogni curva, senza alcun riguardo. Poi, scendendo dall’automezzo, si andò a sguazzare con scarpe inadatte in una poltiglia acquosa di neve caduta e presto disciolta. Imprevedibili scherzi di un tempo primaverile. Ci esibimmo, senza ritegno, oserei dire, persino in una sala ricca di fascino antico e di affreschi nello storico Castello del Buon Consiglio…

Ospitalità maceratese – Si andava di frequente in Veneto, nel Friuli o in Liguria, per lo meno nel periodo in cui feci parte del coro e cioè fin quasi agli inizi del 2000. Ricordo alcune trasferte a Genova, a Rossiglione (sempre nella provincia) o a Rosà in provincia di Vicenza. Con le compagini corali di queste località si effettuavano i cosiddetti scambi “culturali”, per cui in occasione della loro calata (!) dalle nostre parti, i coristi del settentrione venivano ospitati dalle famiglie maceratesi, con notevole risparmio sulle spese di albergo o di pensione. E soprattutto molti di essi, non conoscendo le Marche, si complimentavano con meraviglia e senza ipocrisia per la bellezza dei panorami – tra mare e monti – per le culture intensive delle nostre campagne, per il paesaggio così morbido e mutevole.

Cantare unisce – Si creava, spesso, uno spirito di reciproca simpatia e di cameratismo tra persone delle più diverse estrazioni sociali, dall’insegnante al piccolo artigiano, dal libero professionista all’operaio di fabbrica, dal funzionario di banca al pensionato nullafacente. Il canto collettivo, attraverso il fascino segreto delle melodie, fungeva da magico collante in uno stato di benefica astrazione – seppure temporanea – dagli affanni quotidiani. Ci si rendeva conto che i problemi, le ansie, le aspettative sono comuni un po’ a tutti, da qualunque parte si provenga e a qualsiasi fascia sociale si appartenga.

Ricordo… Gianni Crucianelli – Ai concerti della Rassegna che il Sibilla organizza tuttora con scadenza annuale con la partecipazione di complessi provenienti da ogni parte del Paese, era tradizione far seguire la convivialità degli ospitanti. A coordinare e realizzare le varie fasi dell’accoglienza era Gianni Crucianelli (uno dei fondatori  e anima del gruppo maceratese, scomparso di recente) che, con la collaborazione di colleghi/coristi e familiari era in grado di preparare con pochi mezzi a disposizione, ricche e gustose cene a base di cibi e prodotti locali.

Accoglienza ligure – A Genova, più esattamente a Sampierdarena, partecipammo a un concorso nazionale con altri gruppi. Fummo ospitati – quella volta era venuta anche mia moglie – in un tipico alberghetto di periferia con porte cigolanti, il pavimento in parquet, e un mobilio da bottega d’antiquariato: l’armuà con lo specchio, la toeletta e i comodini con i cassetti e, sotto, il vaso da notte; pesanti tende damascate ovattavano la luce delle finestre. Un ambiente comunque accogliente e lontano dalla bagarre cittadina. Nel pomeriggio previsto per l’esecuzione canora nel gelido spazio di una palestra adibita ad auditorium, toccò cambiarsi in tutta fretta nel pullman, per indossare la divisa di rito.

Modesto exploit – Quella volta non fu un grosso exploit e ci classificammo al settimo posto a pari merito con altri cori. La cena fu collettiva con il classico pesto ma, questa volta, non con le classiche trenette, bensì con crostelle di pane abbrustolito. Una vera goduria per il palato. Anche in questa circostanza imperversava un corista d’eccezione, Pierluigi F. ex cancelliere del Tribunale,  che, inseguendo questo e quello, pretendeva sollecite risposte ai suoi quesiti, tutti poi diligentemente registrati su un piccolo Grundig che teneva sempre a portata di mano… A Rossiglione, in Liguria, accoglienza festosa e cordiale. Acquistammo spille e fermagli confezionati con la tecnica orafa della filigrana, attività tradizionale di cui i cittadini andavano orgogliosi.

Goffredo Giachini

29 dicembre 2020

Sii il primo a dire che ti piace

Commenti

commenti