Le promesse mai realizzate: è da sempre urgente un patto di sviluppo per la montagna

Un dirigente “partitico”, nella campagna elettorale per il rinnovo dell’organismo regionale, si è permesso di descrivere la montagna (le parole sono pressappoco queste) “invitante dal punto naturalistico, sono piacevoli le produzioni tipiche di formaggi e salumi e il mangiar sano…”.

In quei luoghi vivono persone – non si dimentichi mai – depositarie di una storia millenaria, di arte e cultura, risorse sfruttate, senza nulla chiedere, da pianura e aree marine. Non solo per questo deve esistere – realizzato a livello nazionale – un patto per sviluppare la montagna e non solo i borghi più belli (la legge sui piccoli comuni distoglie dai problemi veri della montagna).

Nelle zone dei Sibillini ci sono paesi resi più fragili e distrutti dai terremoti, ci avventuriamo verso il quinto anno dagli eventi sismici con i ritardi, la mancata ricostruzione, il continuo spopolamento e invecchiamento degli abitanti, con la promessa mai realizzata per le aree interne d’investimenti mirati per realizzare un  riequilibrio economico tra aree forti delle Regioni.

Anzi c’è stata una drastica diminuzione dei presidi sanitari nel territorio e l’accentramento di alcuni uffici pubblici. Mentre ponevo la necessità di un patto di sviluppo per la montagna, è arrivata la triste notizia dell’esondazione dei fiumi in Piemonte con morti e case spazzate via dalle acque e in Liguria, con danni al patrimonio pubblico e privato: si usa la solita emergenza, perché non sono stati fatti interventi su idrologia e sull’abusivismo nel territorio.

Sicuramente questi sono attribuibili ai cambiamenti climatici, ma la situazione si è aggravata con lo spopolamento della montagna e al mancato accudimento delle grandi piante; a valle, chiudendo gli occhi, consentendo l’abusivismo edilizio e relativi condoni: spero, anche se è la terza alluvione in questa zona da 1994, che l’egoismo individuale non giustifichi la situazione dicendo “i cambiamenti climatici, l’abusivismo, l’abbandono delle montagne, sono questioni risapute e le risolveranno nel futuro”. 

Credo che Boccia, il Ministro delle autonomie al quale sono delegate la federalità delle Regioni e la montagna, non possa accontentarsi di avere nel Paese più di 8000 Comuni (di cui circa i 2/3 piccoli se non piccolissimi), o una carica onorifica in Parlamento per le montagne ma spero, sono convinto (le sue dichiarazioni a favore di un intervento nelle aree montane sono importanti), che “spingerà” in direzione di un patto di sviluppo per tutti gli abitanti dei paesi di montagna.

Non tutta la montagna è uguale, per la verità esistono alcune zone sviluppate, ma non è per queste che una parte d’Italia debba essere abbandonata dallo Stato. Ogni investimento deve avvenire senza assistenza, sussidi (questi ultimi sono a termine, individuali, diseducativi) e per aree vaste per evitare ogni pericolo di campanilismo: la montagna ha bisogno di iniezioni di cultura, istruzione, occupazione (agricoltura, artigianato, piccole aziende, attività autonome), di mobilitazione di tutte le forze sociali del territorio comprese le banche e i Parchi.

Ovviamente è fondamentale, nel patto, il ruolo delle amministrazioni locali e degli Enti Regionali. Come abbiamo già detto, il patto nazionale di sviluppo cambierà la strategia della gente di montagna, che passerà dal chiedere (assistenza) all’impegnarsi e mobiliterà i saperi locali e nuove idee che sembravano scomparse: il patto di sviluppo produrrebbe una cultura della responsabilità della fiducia, della speranza. Infine l’intervento governativo e parlamentare possono far emergere una nuova classe dirigente e la montagna ne ha bisogno.

L’Europa deve essere interessata alla montagna (nei paesi aderenti alla Ue ci sono le stesse problematiche dell’Italia), perché nel prossimo bilancio i fondi previsti, gli investimenti, saranno rivolti alla difesa dell’ambiente, per iniziare a trasformare gli assetti produttivi di tutta la Ue senza Co2, puliti ed ecologici.

Giulio Lattanzi

23 dicembre 2020

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