L’amore, una grande quercia, due pavoni e una guerra ci portano nel Maceratese di oltre due secoli fa. È uno degli ultimi giorni dell’aprile 1815 in contrada San Marco di Treia.
La giovane fanciulla – Le foglie si muovono appena con un soffio di vento, quando Michela s’incammina a piedi in direzione del mare, superando le ultime case del villaggio di Passo Treia. Poco dopo il bivio che porta a Treia, gira sicura a destra, entra nell’aia di una fattoria. La diciottenne treiese indossa una camicetta chiara, un’ampia gonna di lino, calza dei sandali. Si sofferma ammirando e salutando la grande quercia che ha già superato i due secoli di vita. Tra la casa colonica e il fiume Potenza vi è una grossa legnaia, a lato una grande voliera con il cancelletto aperto. La ragazza tira fuori un fazzoletto, si siede con grazia su un ceppo di legno e s’immerge nella lettura del suo libro preferito: “Le mille e una notte”.
Safar, il pavone – La giornata è bellissima, il cielo è terso e azzurro, i colli attorno degradano dolcemente verso est, per lasciare il fiume libero di arrivare puntuale al rendez-vous con il mare Adriatico. Tutto ha preso il colore sgargiante della primavera; si avverte appena lo scorrere delle acque del Potenza. I suoi pensieri sono ormai profondamente assorti nella lettura, la brezza le accarezza i lunghi capelli dai riccioli dorati. Uno splendido pennuto ritorna dalla passeggiata lungo la sponda del fiume, e si avvicina maestoso e fiero alla fanciulla. È Safar il vanitoso maschio del pavone, dietro segue la femmina dai modesti colori, che si ferma a beccare. Il pavone si atteggia in una splendida ruota dove si esaltano le magnifiche piume, con l’occhio: non vuole passare inosservato.
I due guardiani contro le volpi – Michela solleva lo sguardo e lo ammira; fatto un giro dell’aia l’animale si avvicina, la conosce, sono amici. Lei tira fuori dal tascapane un sacchettino di stoffa fatto a mano, prende un pezzo di dolce fatto in casa e dà delle molliche all’animale altezzoso. La coppia di regali uccelli è di proprietà del fattore delle tenute Francisci. Il padre di Michela tiene molto a questi volatili, perciò li ha affidati in custodia al migliore colono, tra quelli che amministra. Il contadino li custodisce con cura, la sera li chiude nella voliera, guai se dovesse succedere qualcosa ad essi. Una volta si è dimenticato di chiuderli, al mattino successivo di buon’ora, sceso per governare le mucche, li ha trovati ambedue sul tetto della cascina, appollaiati non lontano dalla canna del camino. Poi scesero da soli, ma il colono si preoccupò non poco. È una difesa contro la volpe, che difficilmente riesce a sorprendere questi grandi uccelli amanti dei tetti.
Il temporale improvviso – Sono le 15:00, i contadini stanno in casa per il riposo pomeridiano ma la giovane non ha quest’abitudine. Dopo tutto, anche Safar ha deciso di riposarsi e si è addormentato con il becco in una ala, non lontano dalla gonna di Michela. Il cielo inizia a coprirsi di nuvoloni carichi di pioggia portati dal vento, chissà da dove, si avvicina un temporale. Gli uccelli avvertono l’acquazzone e malvolentieri si rifugiano nel loro riparo notturno. Cominciano a cadere fitti goccioloni e alla giovane non rimane che ripararsi nella vicina capanna in attesa che il temporale cessi. Fulmini e tuoni rompono la bucolica tranquillità, scendono scrosci d’acqua.
Il cavaliere – All’improvviso, proveniente dalla strada principale si sente lo scalpitio di un cavallo, gira lo sguardo e vede un cavaliere con il mantello fradicio che si dirige lì, scende deciso, introduce il quadrupede sudato nel riparo e saluta con un cenno. Il giovane ventiduenne chiede: “Madonna mi permettete di ripararmi dal temporale?” – “Certo, noi siamo ospitali”. Subito si preoccupa del cavallo, toglie la sella, srotola una coperta e asciuga l’animale per evitare che prenda una freddata. Poi si toglie poi il mantello e il corpetto. Senza attendere, prende delle frasche le mette sul caminetto, da una tasca tira fuori una pietra focaia per accendere e ben presto scoppietta un fuoco.
Il fuoco nel camino – Michela rimane incantata ad osservarlo: bel viso, ampie spalle, uno sguardo deciso con fiero portamento. Pensa la ragazza: “Dev’essere qualcuno che ha una missione importante da compiere, non è il solito sfaccendato”. L’intuito femminile non delude. I due si siedono sopra due ceppi, vicini e rivolti verso il caminetto. Il cavaliere si scalda, asciuga gli indumenti e mediante una piccola pelle di daino pulisce con cura il cannocchiale d’ordinanza, custodito in una fondina della sella. Fuori il temporale aumenta d’intensità. Anche la grande quercia ha timore: in passato diversi fulmini l’hanno presa di mira stroncandole solo qualche alto ramo, danneggiando un po’ la sua ammirevole silhouette. Più ci si avvicina al cielo più si attirano le saette di Giove… è un rischio che tutte le querce conoscono bene.
La conversazione – Michela ha notato appena la pistola appesa alla cintola del giovane militare, ma sente che può fidarsi e conversa dicendo di essere l’unica figlia dell’amministratore della tenuta Francisci, e abita nel vicino villaggio di Passo Treia. “Quando posso vengo a leggere sotto l’ombra della mia adorata quercia, qui trovo la tranquillità desiderata e mi godo anche i pavoni, ai quali siamo tutti affezionati in famiglia”. Il giovane: “Mi chiamo Pierre, sono nato e cresciuto a Napoli, figlio di commercianti francesi. Purtroppo, fra poco tristi eventi romperanno la tranquillità di queste zone”.
Scocca la scintilla d’amore – Mentre le parla il ragazzo si rende conto di essere rimasto estasiato dalla bellezza della giovane, occhi azzurri, riccioli d’oro, lineamenti fini, una grazia innata, uno sguardo dolce e caldo. Avrebbe voluto stringere a sé quella figura dal vitino sottile che sembra un miraggio nella tempesta. Decide in fretta: “Perché non farlo subito? Domani chissà se ci sarò!”. Attira a sé l’affascinante ragazza, la stringe, la bacia, passando una mano dietro la nuca, per sentire i suoi lunghi capelli dorati. La giovane, rimasta sbalordita da simile audacia e ardore, non ha il tempo di reagire e contraccambia. Fuori il temporale è complice, aumenta d’intensità, l’acqua scende a scrosci violenti, per non far avvicinare nessuno alla capanna. L’attrazione tra i due giovani si è scatenata come il fulmine e i due si specchiano ormai nei loro occhi.
L’esploratore – Il giovane confida: “Sono un sergente pioniere dell’esercito franco-napoletano, inviato (in abiti simulati) in avanscoperta, per avere notizie sull’avvicinamento delle truppe austriache del barone Ferdinando Bianchi, che stanno avanzando da nord contro l’esercito di Gioacchino Murat. Vengo dalle alture di Filottrano da dove si domina la media-bassa vallata del fiume Esino. Devo portare urgentemente notizie sui tedeschi in avvicinamento. Stiamo combattendo una guerra per rendere libere ed autonome queste terre dal giogo straniero. Io mi sento italiano”. I minuti trascorrono in fretta mentre i due si guardano negli occhi, si stringono teneramente scambiandosi belle frasi romantiche e baci francesi. Gli indumenti si asciugano al tepore del fuoco, pure il cavallo si riprende e riposa.
La moneta d’argento, pegno d’amore – Pierre in pegno del suo amore regala a Michela una monetina francese d’argento raffigurante La Liberté. Non sappiamo quanto tempo trascorsero insieme, ma solo che si proposero di rivedersi e amarsi per il futuro. Ben presto l’aitante sottufficiale, con il cuore gonfio, si accomiatò dall’amata dicendole: “Devo portare a termine la missione che mi è stata affidata”, poi salì in sella e riprese il galoppo per andare a riferire al suo comandante, al quartier generale. Michela lo seguì fino all’ultimo con gli occhioni pieni di lacrime, sperando di rivederlo e riabbracciarlo presto. Il giovane combatté nei ranghi dell’esercito franconapoletano di Murat durante la battaglia di Tolentino del 2-3 maggio 1815, ma quello scontro campale fu vinto dagli austriaci. Pierre sopravvisse e, non si sa come, riuscirono ad incontrarsi i due innamorati.
L’ambientazione… duecento anni dopo – Oltrepassato il centro della frazione Passo di Treia in direzione Recanati, a destra, si incontra un minuscolo boschetto mediterraneo, poco dopo vi è una stradina che porta a una tipica fattoria dei tempi passati. Nel grande cortile un tempo si svolgevano i riti della trebbiatura, la scartocciatura del granturco, la battitura di ceci e fagioli: il centro dell’attività agricola e della vita. Alla nostra sinistra c’è un tipico ricovero del grano e dei mezzi, ma quando è stato costruito in campagna di mezzi ve n’erano ben pochi. Coperto da una tettoia c’è un vecchio Super Landini “a testa calda” precursore dei moderni trattori. Mi sembra di vedere, durante gli anni Cinquanta del Novecento, il gruppo di curiosi radunatisi per vedere in azione questo cavallo di ferro sbuffante e scoppiettante, poi alla fine la vergara offriva un buon bicchiere di vino a tutti, si poteva gustare anche pane e ciabuscolo. A destra vi è il casolare risalente al 1700 -1800 dove viveva la famiglia di agricoltori che lavorava il podere. L’ambiente è rimasto quasi intatto come nell’Ottocento.
La più grande roverella delle Marche – Guardando avanti verso il fiume, nella grande aia vi è un colosso vegetale, una Roverella gigantesca, la più grande delle Marche. Da lontano sembra quasi una normale quercia, come se ne vedono nelle campagne marchigiane, ma avvicinandosi ci si rende conto di quanto sia enorme e magnifico questo albero secolare. Mi sembra di stare ai piedi del gigante di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo antico, non più esistente. Si possono ammirare l’equilibrio della sua chioma, un tronco immenso, i rami principali sono grandi quanto il fusto di un’altra quercia. Le foglie sono di un bel colore verde intenso, con la tipica peluria inferiore, da cui il nome Quercus pubescens, così catalogata nel 1805 dal botanico berlinese Carl Ludwig Willdenow. Alcuni rami sono stati rinforzati con staffe in ferro in seguito ai danni causati da recenti fulmini e tempeste. Oltre un certo peso e dimensione anche il suo durissimo legno tende a spaccarsi.
Un albero vecchio di 500 anni – Trovandosi in pianura e poco distante dal corso del fiume Potenza le sue radici hanno trovato acqua sufficiente al sostentamento e allo sviluppo fin dai suoi primi anni di vita, probabilmente verso la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo. Gli anelli del suo tronco nascondono i segreti delle stagioni quasi dell’ultimo mezzo millennio: stagioni piovose, siccità, ecc. …quante ne ha viste passare! Alla sua ombra profonda sono succedute anche eventi e scene felici: feste, matrimoni, nascite, corse e giochi di bambini. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi nascondevano truppe e mezzi alla vista degli aerei alleati sotto i grandi alberi, può essere accaduto anche qui.
Visitate quei luoghi e potrete ritornare indietro nel tempo e incontrare almeno una protagonista del raccontino… magari potete vedere anche il pavone sul tetto del casale!
Eno Santecchia
1 novembre 2020