Dopo aver trattato dell’arrivo dei Pelasgi sulla costiera adriatica, dalla loro alleanza stipulata con gli “Aborigeni vicini agli Umbri” (i Piceni) al fine di cacciare i Siculi dalla penisola1, sembra opportuno ricordare gli avvenimenti successivi, seguendo quanto riportato da Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. – 7 a.C.) in Antichità Romane, libro primo traduzione Mastrofini, 1823. Il capitolo XIV tratta essenzialmente delle sorti dei Pelasgi dopo la vittoria sui Siculi. I riferimenti agli Aborigeni (Piceni) sono rarissimi; forse perché, in gran parte, si stanziarono nella zona Sud-Ovest della fertile Campania (Agro Picentino). Dionigi attesta che anche i Pelasgi conquistano città e ne fondano altre. Crebbero in prestigio, potenza e ricchezze. Ma la pacchia durò poco. La loro floridezza provocò “l’ira de celesti” e le bramosie dei confinanti (compresi gli altri popoli greci), tanto che “Pochi ne sopravanzarono nella Italia per cura degli Aborigeni”.
Tra le altre disgrazie dovettero subire2:
1 – un estremo cambiamento climatico: “La siccità intristiva la terra, talché non restava frutto alcuno fino al maturarsi negli arbori”; i semi non germinavano, i pascoli e le fonti erano aridi.
2 – e anche una gravissima pandemia: “Aborti delle bestie e delle donne nel generare… e quale dava figli, morenti nel parto, o fatali nell’utero ancora alle madri… se scampavano i pericoli del parto, mutili, o storpi, o manchevoli per altro disagio, non erano utili, onde si allevassero… L’altra moltitudine poi, specialmente la più vegeta era colta da mali e da morti frequenti più dell’usato”.
I Pelasgi frastornati da quel cambiamento climatico epocale e dalla spaventosa pandemia (non avendo scienziati tuttologi di pletoriche commissioni a gettoni, specialisti e farmaci infallibili) consultano l’Oracolo“per quali pratiche mai fosse da sperare una calma in tanti orrori”. L’Oracolo risponde che“dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasgi ridotti a penuria di ogni cosa nelle loro terre, si votarono a Giove, ad Apollo, ed ai Cabiri di santificare ad essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella preghiera offerirono agli Dei parte delle messi e dei frutti…”. Ma siccome le disgrazie non vengono mai sole e per essere più realisti del re ci fu chi si pose il problema se gli dei avrebbero gradito anche le decime degli uomini. Consultarono i sacri vati. Essi risposero che che si facessero. “Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di decimarsi”. Naturalmente si divisero in più fazioni con furore religioso; alcuni abbandonarono le abitazioni, altri migrarono, altri restarono tra i nemici e infine alcuni seguitarono a praticare il rito della decima degli alimenti e quella della popolazione.“Né i magistrati la sospendevano, ma sceglievano le primizie dei giovani più robusti pe’ Numi, quantunque nel proposito di soddisfare agli Dei, temessero i moti di chi usciva a sorte per vittima”.
Chi non ha il dono della fede nelle favole, nutre dubbi sul dogma che il “Ver Sacrum” (se pur edulcorato) sia stato praticato solo dai Sabini per popolare il Piceno.
Nota 1– Ogni riferimento all’attuale condizione italiana è puramente casuale.
Nota 2 https://www.larucola.org/2020/04/08/la-prima-unita-ditalia-fu-opera-del-popolo-piceno.
I Pelasgi
I Pelasgi (Πελασγο) erano una popolazione Pre-ellenica che, originariamente, abitava una vasta regione tra il Peloponneso e l’Asia Minore. La storiografia ufficiale non si è degnata di fare menzione di quel popolo evolutissimo fornendo solo confuse notizie. I Pelasgi hanno subito la stessa sorte dei Piceni. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di rivalutare questi due popoli. In età pre-romana tra Piceni e Pelasgi dovevano esserci rapporti molto stretti, perché agevolati dalle correnti dell’Adriatico. Furono i Pelasgi a portare in Italia la tecnica delle mura poligonali (già dette pelasgiche), gli scudi Argolici, il tempio di Pico era una copia del tempio di Dodona; e non è un caso il Monte Pelasgo ad Ascoli piceno, ecc. Grandi le capacità nautiche dei Pelasgi: Scilàce (VI sec a. C.), cartografo del re persiano Dario, nato a Cariànda in Asia Minore, è l’autore del primo portolano (manuale per la navigazione costiera e portuale) delle coste italiane “Periplo esterno alle colonne di Eracle”.
I Tirreni (Etruschi)
Wikipedia: “Tirreni (dialetto attico: Τυρρηνοί – Turrhēnoi) o Tirseni (ionico: Τυρσηνοί – Tursēnoi; dorico: Τυρσανοί –Tursānoi… È, inoltre, il nome con il quale i Greci chiamavano gli Etruschi, i quali, invece, chiamavano se stessi Rasenna… L’origine del nome è incerta… È stata messa in relazione con tursis… con il significato di “torre”, mentre è stato ipotizzato da Françoise Bader che Tyrsenoi/Tyrrhenoi derivi dall’antichissima radice indoeuropea “trh” che indica “attraversare”. Non è dato sapere se “attraversare”si riferisca al mare o al centro Italia. Nel secondo millennio a.C. attraversare lo Jonio e il Tirreno doveva essere molto problematico; il mare Adriatico è quasi un lago interno, stretto, poco profondo e con correnti favorevoli.
Ci fidiamo, ma sembra necessario tornare a Dionigi:
CAP XVII. “L’epoca nella quale cominciarono i Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi la guerra di Troja, e durarono dopo ancora di questa finché si ridussero ad un gruppo di gente. E, salvo la città di Crotone (Cortona), famosa nell’Umbria, e tale altra, se pur v’ebbe, data loro ad abitare dagli Aborigeni, perirono tutte le rimanenti Città de’ Pelasghi…”. La maggior parte furono prese dai confinanti, “ma le migliori e le più si rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’è chi li dice naturali d’Italia e chi forestieri. E quei che li stimano propri della regione, affermano che si dié loro quel nome per gli edifizi sicuri, che essi i primi di quanti vi erano, si fabbricarono: imperocché le abitazioni con muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come da Greci”…
Cap. XIX …”Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi assunsero il nome che or hanno, quando abitarono la Italia;… Mirsilo dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profughi dalla patria, furono detti Pelasghi per certa somiglianza loro con le cicogne, pelasgi chiamate; giacchè passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelasgico intorno la rocca di Atene”…
cap XX “A me però sembra che s’ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che una gente”…
CapXXI descritte piccole sottigliezze distintive: “Ma i Romani con altri nomi li chiamano Etruschi dalla Etruria, regione dove un tempo abitarono: ed ora li dicono Toschi… avendoli come i Greci, nominati prima con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino, nelle quali sorpassano tutti. Quei popoli inoltre distinguono sé stessi dal nome di Rasenna, uno già dei loro comandanti”.“I Pelasghi che non perirono, né si disgiunsero per fare colonie, rimasero pochi di molti, con gli Aborigeni, sotto le leggi dei luoghi nei quali si lascia-vano e nei quali col volger degli anni i posteri loro fondarono Roma”.
Cap. XXII “Dopo non molto tempo, nell’anno, al più, sessantesimo come narrano i Romani, prima della guerra trojana capitò ne luoghi medesimi un’altra spedizione di Greci (Evandro)… Dominava di quei tempi sugli Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte (Pico) uomo di azione e di prudenza, e riverito dai Romani con sagrifizi e con inni come un genio del loco”.
Considerazioni
I brani riportati raccontano venti anni di storia dell’Italia centrale: dalla cacciata dei Siculi (ottanta anni prima della guerra di Troia) all’età del regno di Fauno (figlio di Pico), re degli aborigeni 60 anni ante Guerra di Troia. Forse sarebbe utile porsi dei dubbi sull’ancestrale antichità degli Etruschi. Dionigi era un grande storico greco e certamente conosceva le varie etnie greche. I Tirreni, prima di essere Etruschi, erano individuati come Pelasgi, sono vissuti in stretti rapporti con i Piceni (“aborigeni vicini agli Umbri”) e diventano visibili ben dopo la cacciata dei Siculi. Forse hanno avuto bisogno di anni di rodaggio per affacciarsi, prepotentemente, sul palcoscenico della storia. I Piceni già esistevano, vincevano guerre e si espandevano. Forse Dionigi di Alicarnasso, come tutti quelli che non fanno comodo, verrà messo all’indice…
Nazzareno Graziosi
8 ottobre 2020