Si può parlare d’arte, e se ne può non parlare; si può fare arte, ma si può anche non farla.
C’è sempre stata nell’interesse artistico una grande dose di volontarietà e di desiderio. L’artista è sempre stato un poco dilettante, ma non perché dal fare arte gli sia derivato sempre un diletto, ma perché, almeno nella mentalità comune, ciò che non è utile è dilettevole, voluttuario, passatempistico; insomma un di più
Quando l’arte era più finalizzata, perché prodotta su commissione, o soggetta a un determinato campo di fruizione, quindi più legata al bisogno e relativamente pochi erano gli artisti, la cosiddetta “mentalità comune” non esisteva, o se esisteva non aveva alcun peso; la considerazione di una élite era sufficiente a conferire alle opere d’arte dignità e quindi utilità.
Oggi non c’è più una regola; si può dire e fare di tutto in questo campo, si può decidere di attribuire un valore al prodotto artistico, ma si può anche negarglielo. Regole economiche, politiche, strategiche complicano a tal punto il fenomeno sociale, che l’artista, incapace di contenerle e di farsene carico, se ne sente completamente affrancato, esonerato, quindi libero.
E nell’euforia di libertà domina anche la confusione, e quella sensazione di inutilità e di gratuità a cui si accennava. Se si intende questo per “morte dell’arte”, allora bisogna dire che i suoi infausti diagnosti hanno avuto ragione. Ma si dà il caso che l’arte, come istanza dello spirito connaturata all’uomo e alla sua umanità sia una necessità, come l’acqua, come il fiato ai polmoni. E allora non si può liquidarla così alla buona. Esiste sempre un uomo che nasce e cresce dalla propria verginale condizione: l’individuo unico e irripetibile che vive anche dentro. Ognuno sa quanto sia vera questa regola; basta guardarsi un po’ indietro! La storia sembra fatta soprattutto di questi.
Oggi si può ancora guardare alla libertà con ottimismo. Si può continuare a vivere come individui; ne abbiamo licenza? Sebbene la critica, e dunque i critici sembrano chiocce, ognuno con la sua nidiata, pronti a beccarsi l’uno con l’altro, col piumaggio gonfio e il rostro pronto a colpire per difendere il proprio.
Questa critica non può far bene all’arte: serve piuttosto a disorientare lo spettatore, mancando di spiegare soprattutto le ragioni di ciascuna ricerca.
Ma anch’essa serve a certificare la libertà vigente. È fatale dunque che si ritorni a una sola nefasta logica: quella del “mi piace” o “non mi piace”. E l’ignoranza cresce anche in questo campo. Ma, forse, c’è sempre stata..!
Lucio Del Gobbo
16 settembre 2020