Fino a non troppi anni fa non si era troppo rigidi e formalisti nel rispetto delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro subordinato, come accade oggigiorno. Si badava forse più alla sostanza, ci si affidava di più al senso di responsabilità di ciascuno, che non alla tirannica costrizione di una pletora di regole, spesso contraddittorie fra di loro.
La “nave-scuola” – In provincia questo vezzo (o vizio, secondo altri) di autogestione sembrava resistere nel tempo; purtroppo acuito dal fatto che molte sedi periferiche (sosteneva il dr. Ardigò, capo-ufficio Segreteria) lontane dai machiavellismi delle Direzioni centrali, funzionano ancor oggi da “navi-scuola”. Cioè, ti appioppano senza preavviso un dirigente di fresca nomina, per lo più di origini meridional-isolane e, questi, tanto per farsi le ossa, dà inizio al suo mandato con radicali rivolgimenti strutturali.
Polso di ferro – Come? Spostando in primis il mobilio, chiudendo corridoi ritenuti superflui, aprendone nuovi, e installando ascensori. Oppure inventando ambienti, creando sportelli al pubblico, alternando personale, istituendo infine appositi rigidi controlli sulle uscite e le telefonate dei dipendenti. Così va fatto a dimostrazione di un polso ferreo e di una indiscussa capacità di governo!
Presupposti per fare carriera – Il nuovo pilota del traghetto opera decisivi colpi di timone o improvvisi ancoraggi non sempre motivati da logiche considerazioni, ma assai proficui in vista di una possibile futura valutazione delle attitudini al comando sugli uomini e sulle cose. Così si creano i presupposti di un percorso carrieristico, a volte fulgido e innegabilmente meritorio: cominciando con il dislocare altrimenti gli scaffali posti ai lati dei termosifoni, o cicchettando per iscritto l’ infermiera che, in giorno di mercato, si è eclissata senza permesso per il tempo necessario all’acquisto di un reggiseno, di un paio di collant o di un po’ di frutta e verdura.
Le contromisure – Il neo-comandante del bastimento pone e dispone, esigendo disciplina e rispetto in ossequio a un regolamento, cui è il primo a non credere. Dopo qualche tempo, le maestranze prendono le opportune contromisure, fingono di adeguarsi e ricominciano tutto come prima, o forse peggio.
Lu caffè de le Pezzòle – Era consuetudine inveterata che gli impiegati della Sede, nella pausa di mezza mattina (quella che oggi chiameremmo il coffee-break) o nelle ulteriori numerose pause della giornata lavorativa, si recassero a consumare la colazione presso il bar-caffè detto “de le Pezzole”. Ignoro l’origine del nome, spesso legato ai capricci del caso ed estraneo a ogni logica attinenza con il genere dell’esercizio; il fatto è che, pur cambiando nel corso dei decenni gestioni e titolari, questo locale si è sempre identificato come “lu caffè de le Pezzole” e tale rimarrà nella storia di Macerata e della Mutua.
La sede INAM – Dopo aver appeso la giacca all’appendiabito, a riprova della sua presenza in sede, Spernazza dell’Ufficio Statistiche, bussava alla porta dell’ambulatorio del dr. Federico C. capitano-medico (altrimenti detto il dr. Nuvola) e insieme se ne uscivano nell’aria frizzante del mattino. Commentando i fatti del giorno, si dirigevano a passi lenti verso il vicino bar de le Pezzole, unico nella zona. Per molti anni l’I.N.A.M. (la “Mutua” per antonomasia) prima del trasferimento nella nuova sede di via Dante Alighieri, era stata smembrata e sistemata in alcuni stabili tra via Garibaldi e via Mozzi, per trovare, in anni più recenti, dopo la riforma della Sanità, la sua sistemazione definitiva in zona periferica, negli stabili che furono sede del Manicomio Provinciale.
La routine del caffettino – Oltre il compito di accompagnare spesso il dr. Ardigò alla stazione a vedere i treni (!), Spernazza si era assunto anche l’incarico di prelevare il dottor F. C. capitano-medico per recarsi a sorbire il caffettino di prammatica. I due funzionari della Mutua, accolti dalla consumata ipocrita cordialità di Silvano il banconista, nonché titolare dell’esercizio, aggredivano la colazione di mezzo/mattino, consistente in un caffè macchiato e una pasta. Così, per anni, senza cambiare di una virgola né orario di appuntamento, né saluto di circostanza, né zona di appoggio al bancone di mescita, né l’ordinazione di per sé di una stantìa ovvietà.
La macchietta del pagamento – E per anni i due continuarono ad alternarsi nel pagamento della consumazione, finché un mattino… Spernazza, sorseggiando il caffè, ha un colpo di tosse e schizza in giro molliche e parole scure (nel tono del colore, non certo nel contenuto).“Silvano, quanto debbo?” – “Ottantacinque per due e il conto è fatto”. – “Lasci perdere, Spernazza – fa il dr. F. C – oggi mi pare tocchi a me…”. – “ Ma vuole scherzare, dottò – esclama con tono flautato l’impiegato – il turno è mio…”. E continuano per un po’ a palleggiarsi l’accollo della piccola spesa. Silvano il barista, lustra senza convinzione e senza espressione il ripiano del bancone e la macchina del caffè.
Parte lo scherzo – E aspetta. D’un tratto Spernazza, riponendo il portamonete, esclama, con aria sorniona e allusiva: “Ohé, ma qui non si ragiona più! I prezzi sono saliti alle stelle! Non è possibile che un caffè e una misera pasta costino la bellezza di 85, dico ot-tan-tacin-que lire…”. Il barista che, intento alle sue mansioni, non ha battuto ciglio, solleva la testa di colpo, fa per controbattere alla critica, ma un’occhiata di Spernazza lo fulmina sul nascere. Avrebbe potuto replicare a buon diritto perché, in un periodo di eccezionale stasi economica, la nera minidroga nazionale e il cornetto avevano lo stesso prezzo da un paio di anni. Un record.
Il barista sta al gioco – Silvano, capita l’antifona, sostenne la trappola preparata per il dr. Nuvola e tacque. Il dr. F. C. Capitano-medico, perduto come solito nei meandri delle sue riflessioni e completamente estraneo a ogni contingenza di vita, pur pagando le ottantacinque lire costantemente un giorno sì e un giorno no in perfetta alternanza, da sempre, rimase come folgorato dalla rivelazione del suo accompagnatore ed esplose inveendo a gran voce contro il governo, le tasse, il barista, il direttore (che andava comunque e dovunque insultato…).
La vittima abbocca – Divenuto di un rosso porpora e congestionato in viso, deglutì il caffè tutto d’un fiato, bruciandosi il palato, ebbe colpi di tosse e se ne uscì dal locale recitando come una giaculatoria: “85 lire… un caffè e una pasta… 85 lire… non si vive più… sporco governo oppressore… 85 lire… ma dove andremo a finire di questo passo… 85 lire… 85 colpi a chi dico io, eh Spernazza!?” Spernazza e Silvano, guardandosi di sottecchi, cominciarono a ridacchiare sommessamente, ammiccando fra loro. Poi la risata deflagrò senza ritegno. Il capitano-medico, dopo la sfuriata liberatrice, si unì all’ilarità dei due senza peraltro aver nulla capito dei misteriosi risvolti della vicenda.
Goffredo Giachini
8 settembre 2020