È Luciano Magnalbò, oggi, per i nostri lettori, a fare una colta disquisizione storico-antropologica intorno alla… ehm… papera.
Come tutti sanno la papera è la personificazione (animalizzazione) della fonte della vita, un ruolo antropologico che le è stato assegnato fin dalla antichità, forse perché si muove ancheggiando, procace è nel petto, cicciotta nelle cosce e maliziosa nello sguardo: ed è un godimento mangiarsela in qualsiasi modo ti venga offerta, specie se servita umida e calda.
Se ne accorse San Giuliano, il venerato patrono di Macerata il quale, dopo aver ucciso i genitori nel corso di una lite in famiglia per motivi mai chiariti (il fascicolo dopo l’abolizione della prescrizione ancora è aperto in Cassazione), ritrovò la luce di una giusta esistenza proprio per la papera di una contadinella che generosamente gliela offrì. Da allora San Giuliano si chetò e visse felice e contento con la ragazza e con la sua unica ricchezza, la papera appunto, e si diede a proteggere Macerata.
Si è occupato di San Giuliano il Mostarda nel tardo ‘300 – Il Mostarda era uno di quei cadetti di famiglie nobili dell’epoca che, trovandosi senza averi e senza soldi, e non avendo altri sbocchi nella vita, formavano compagnie di ventura arruolando zingari, malfattori e disperati di ogni genere che avrebbero poi mantenuto con il frutto di saccheggi e violenze. Il Mostarda con la sua compagnia girava le campagne, prendeva in assedio le città, e devastava e bruciava i raccolti finché la Comunità non pagava. Il Mostarda, durante un lungo assedio di Macerata, dedicò alcuni versi a San Giuliano, contenuti in un foglio oggi conservato nell’archivio diocesano. Ecco cosa scrive il Mostarda:
Maciarata lu patrono / Se l’ha scelto su lo mazzo, / ha ‘mmazzato patre e matre / e no’ je ne frega un ca… / Maciarata va destrutta, / encendiata e devastata / e ce penza lo Mostarda / dopo quanno l’ha ‘ssediata. / E po’ jimo jò le Fosse, / do che sta le paparelle, / e a la faccia de ‘sso santo / ce frechimo pure a quelle.
Non solo il Mostarda si è occupato di scrivere di questo Santo – Un anonimo scrittore dialettale dell’800 immagina un colloquio tra San Giuliano e una ragazza, detta Nella:
“O Né, ‘ssa papara che porti adè bella tanto!” – “Lo saccio Julià, tutti quilli che passa me la vole” – “E tu je la dai?” – “Je la do solo ‘pè jocacce, carezzalla e falla satolla, ma issa ‘rmane sembre ecco”. – “Ogghj è satolla?” – “Ogghj no’ è passato nisciù!” – “Allo’ ce penso io”. – “Grazie tante Julià, do’ ce ‘ccommedimo?”
Lo scrittore con questo breve dialogo vuole mettere in rilievo come San Giuliano, dopo la conversione, fosse dotato di animo molto caritatevole, ragione per cui fu fatto santo e protettore della città di Macerata.
Breve Antologia sulla papera
Dai geroglifici dell’antico Egitto – Nel 1923 Karl Karlarbertkoen, egittologo e archeologo ebreo, scoprì l’effigie di una papera su di una pietra nella Valle dei Re.
Gli Etruschi erano dei patiti per la papera, ne apprezzavano i cosciotti e il petto, e ciò appare in un affresco di una tomba di Cerveteri.
Erodoto assicura che gli Indiani Padei, che vivevano lungo le rive del Danubio, avevano una particolare venerazione per la papera, e non si muovevano, né in tempo di guerra né in tempo di pace, senza portarsene dietro qualcuna. I Padei poi avevano questa usanza (Erodoto, Storie, libro terzo, paragrafo 99):
….se uno dei cittadini cade ammalato, sia uomo o donna, l’uomo lo uccidono i suoi amici più intimi dicendo che egli, consunto dalla malattia, rovina loro le sue carni: quello nega di essere malato, ma essi, non essendo della sua stessa opinione, lo uccidono e banchettano con le sue carni. Parimenti se è ammalata una donna, le donne a lei più amiche fanno lo stesso che agli uomini. Se poi uno raggiunge la vecchiaia, lo uccidono e lo mangiano, ma molti non ci arrivano, dato che in precedenza uccidono tutti quelli che cadono ammalati.
Il governo sta pensando di fare adottare agli Italiani tale soluzione in caso di recrudescenza Covid, su suggerimento del presidente dell’INPS e del risparmio logo Carlo Cottarelli.
Senofonte ne tratta nel Cinegetico come uno di quegli animali che più piacciono all’uomo, sempre presente nella corte della casa e allevato con ogni cura, molto amato da re, principi e nobili che, al ritorno dalla caccia, amavano trovarla servita nel suo umido tepore.
Il Senato romano incorporò la papera nell’ambito della istituzione ritenendone necessario un richiamo nella sua stessa sigla: S.P.Q.R., Senatus PaparusqueRomanus.
Plinio il vecchio ne stava godendo mentre osservava l’eruzione del Vesuvio, e ne tratta nella sua Storia naturale.
Plauto (Captivi V, 4,5): quasi patricidi pueris aut monedulae, aut anaterse, aut coturnices dantur, quicum lusitent …ai figli e alle figlie dei patrizi si danno papere e coturnici per farli giocare
Ovidio nelle Metamorfosi canta la papera come preziosa proprietà delle ninfe ninfomani che ne erano allegre custodi, facendola galleggiare nei laghetti e offrendola a satiri e fauni.
Eginardo nella sua Vita di Carlo Magno racconta come la papera fosse il cibo prediletto di quel re, che considerava le carni arrostite come il miglior pasto in assoluto; e molto s’infuriò quando per la gotta i suoi medici cercarono di vietarglielo.
Boccaccio, La novella delle papere – Un romito di montagna porta a Firenze il figlio che nulla sa del mondo e gli fa vedere tutte le meraviglie della città, monumenti, chiese e palazzi. Il ragazzo apprezza ma s’infiamma solo alla vista di un gruppo di belle donne che il padre gli dice chiamarsi papere. Disse il figlio: “Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere. Deh! Se vi cal di me, fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste papere, e io la farò beccare”. – Disse il padre: “Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano”.
Il Capitano Tommaso Adami partendo da Fermo nel 1623 per la Valtellina al comando di 200 fanti pontifici riferisce al Cardinal Ludovisi comandante in capo: “Li militi vole seco ognora la papera, imperocché quotidie ne trae uso e godimento”.
Guido Gozzano – “La differenza”– Penso e ripenso:- che mai pensa l’oca / Gracidante alla riva del canale? / Pare felice! al vespero invernale / Protende il collo, giubilando l’oca. / Salta, starnazza, si rituffa, gioca: / né certo sogna d’essere mortale / né certo sogna il prossimo natale / né l’armi corruscanti della cuoca. / -O papera, mia candida sorella, / tu insegni che la morte non esiste: / solo si muore da che s’è pensato. / Ma tu non pensi, la tua sorte è bella! / Che l’essere cucinato non è triste, / triste è il pensare d’esser cucinato.
L’avvocato Fabrizio Emiliani, quando era sindaco di Fermo, durante una Cavalcata dell’Assunta fu sentito mormorare: per farsi una bella cavalcata la migliore sarebbe la papera di San Bartolomeo…
Il marchese Ferdinando Mattioli Paqualini da Cingoli sostiene che la papera si può prendere solo se il piano in cui si trova ‘cconsente (non cede, non sprofonda). A convalidare la sua tesi il marchese suole raccontare la seguente rustica storiella: Peppì de Sante viene tratto a giudizio accusato di aver violentato una donna che facendo la fronda sopra un moro faceva vedere le gambe, ma la sua difesa sostiene che la donna era d’accordo. Vengono sentiti i testimoni e il giudice chiede a Nannì de Lotra, che quel giorno stava passando sul luogo dei fatti: le risulta che la donna acconsentiva? “Scine signor Giudice – rispose Nannì – certo che sotto je consentìa, Peppì l’avìa corgata su un cippo de cerqua!”
Io te vurria vasà: canzone napoletana dedicata alla papera dall’autore Vincenzo Russo.
L’acqua è poca e la papera non galleggia: proverbio rivolto a chi si mette a fare impresa ma non ha denaro.
Conclusioni: L’Italia ha il 70% dei beni culturali del mondo intero e magnifiche opere d’arte: ma ciò che la rende una magica terra è l’essere una straordinaria, affollatissima, agguerritissima Paperopoli.
Luciano Magnalbò
1 settembre 2020