Pandemia: è stata solo una questione di protocollo?

Ora che il peggio della pandemia cominciamo a lasciarcelo alle spalle possiamo iniziare a farci qualche domanda, non sulle polemiche senza costrutto che ci sono state e continuano a starci tipo mascherine, guanti, distanziamento sociale e altre amenità simili, ma sulla sostanza della situazione vissuta.

La domanda principale è: “Possibile che uno stato come l’Italia non aveva nel cassetto un protocollo su come affrontare una pandemia?” Se c’era e lo hanno applicato era stato ideato in modo dilettantesco. Se c’era e non lo hanno applicato c’è stata una scarsa memoria (se lo sono dimenticato nel cassetto – come è successo nelle Marche), oppure una sottovalutazione della pandemia o, ancora, la presunzione di poter fare meglio.

Approccio tardivo – L’approccio alla situazione generata dal virus, è stato innanzitutto tardivo (tutti i prodromi c’erano già in Cina dove sono intervenuti subito e in modo massiccio isolando la popolazione -e in modo anche severo- e realizzando un centro ospedaliero in men che non si dica: è evidente che avevano pronto un protocollo che è stato applicato senza esitazione alcuna), poi le iniziative di contrasto sono state fatte “a trózzu e boccó”, come si dice dalle nostre parti, cioè male e a piccole dosi.

Eventi ciclici – Abbiamo già scritto che epidemie e pandemie sono luttuosi eventi ciclici, che a volte avvengono a distanza di secoli ma anche sempre più spesso e più rapidamente per la velocità di contatti che c’è attualmente nel pianeta: le persone si muovono molto, in aereo, in barca, in treno, in auto e il contagio le segue o se lo portano dentro di sé. Eppure una nazione importante come l’Italia (ancora una delle prime potenze economiche mondiali, nonostante tutto…) avrebbe dovuto essere previdente e non lasciarsi andare all’impreparazione. Anche l’Europa non è che ci abbia fatto una gran figura, al pari dei Paesi aderenti.

Recesso economico – Nei secoli andati, lo avete letto nei numeri de “La rucola” passati e lo potete leggere anche in questo, fondamentale contrasto alla pandemia è sempre stato l’isolamento: le persone dovevano lasciare le loro attività e starsene chiuse in casa. Come è accaduto pure questa volta. La chiusura delle attività, proiettando mentalmente in avanti la situazione, significa recesso economico, perdita di posti di lavoro. È facilmente prevedibile che, volendo evitare il tracollo delle nazioni, i comparti produttivi devono essere aiutati: presto e bene, con soldi veri. C’è stata (al momento in cui scriviamo è ancora abbastanza aleatoria) una reazione tardiva e insicura della Unione Europea perché alcuni singoli Stati si sono ritenuti più forti e si sono approfittati della debolezza altrui (e questa sarebbe la “unione” europea? Dove è la solidarie-tà, il mutuo soccorso che, badate bene, va a beneficio di tutti?) commettendo un grave errore: per come è concatenata oggi l’Europa, se cede un pezzo porta danno economico a tutti gli altri.

Sanità – Altro grosso problema evidenziato dalla pandemia, almeno in Italia per quanto ne sappiamo, è la chiusura di tanti ospedali su tutto il territorio nazionale, nonostante le proteste motivate dalla parte consapevole della popolazione e dal comparto medico. Il Coronavirus o Covid 19, chiamatelo come vi pare, ha causato una defaillance ospedaliera pesante che sta causando, se non più morti del virus stesso (da verificare in un futuro prossimo) quanto meno pesanti disagi alle persone con problemi sanitari.

I “lazzaretti” – Poi ci sono state le brillanti, nonché estemporanee idee di realizzare a tempo ormai scaduto, delle strutture sanitarie uso lazzaretto. Eclatante il Covid Center realizzato (nemmeno in tempi brevi) a Civitanova Marche: milioni di euro gestiti con poca chiarezza per un progetto da 100 posti, poi sceso a 40 (la Fondazione Carima da sola ha donato 42 letti di ultima generazione rimasti in gran parte imballati) e, infine, operativo (con personale sanitario precettato e sottratto agli ospedali marchigiani) con appena 25 posti (ecco i doni ancora imballati della Fondazione Carima), occupati infine da soli tre (leggasi 3) pazienti.

Cerescioli ha fatto… tredici! – E dire che alla Giunta Ceriscioli gli è stato detto in tutte le lingue e da più parti: “Hai chiuso tredici ospedali? Riaprine un paio e usali per i malati da Covid, che magari potranno servire in seguito se ci sarà una recrudescenza del male”. Macché! Si è scelta la strada lastricata di milioni di euro (tra cui 5 milioni sono denaro pubblico) per una struttura “provvisoria” che poi sarà dismessa. Una situazione che, politicamente, ha messo d’accordo tutti: la Giunta di centro sinistra regionale delle Marche e la Giunta di centro destra comunale di Civitanova Marche. Quanto avrà pesato sull’accordo la paventata chiusura dell’ospedale civile civitanovese quando sarà pronto l’ospedale unico provinciale? Così va il mondo. E non è detto che sia il modo migliore.

Fernando Pallocchini

10 luglio 2020

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