Un altro flop di Ceriscioli: 9 i giorni di attività, 12 i milioni di euro spesi, 3 i pazienti curati, 38 gli operatori sanitari impiegati. Questi sono numeri stratosferici, roba da abitanti del pianeta Marte e, a ben vedere il Covid Center di Civitanova lo hanno chiamato, infatti… “astronave”!
Sguarniti gli altri ospedali – Sì, perché dopo solo 9 giorni dall’arrivo dei 3 degenti (poi scesi a 2 e infine a 1) ospitati nella struttura, il Covid Bertolaso Hospital di Civitanova Marche chiude i battenti. Torneranno dunque al loro posto, si spera, i medici, gli infermieri e il personale di supporto, in tutto 38 unità, “precettati”, sottraendoli agli ospedali dell’Area Vasta 3 e in particolare da quello di Civitanova, la cui rianimazione è stata smembrata e le cui attività chirurgiche, di conseguenza, sono state sacrificate per tutto questo tempo, sull’altare del Covid Fiera Hospital.
Pazienti come pacchi – L’ultimo dei pazienti, che soltanto lo scorso 27 maggio sono stati condotti dall’ospedale di Camerino al Covid Center di Civitanova, sarà trasferito, invece, nella nuova palazzina di malattie infettive dell’ospedale di Macerata, reparto appositamente ricreato per l’emergenza coronavirus (esportando altrove i malati terminali dell’Hospice), dopo che l’analogo reparto preesistente era stato chiuso (uno dei tanti!) nel 2017. (Nota della redazione: insomma, pur di non riaprire uno dei 13 ospedali chiusi, i malati sono stati spostati quasi fossero dei pacchi da un posto all’altro della regione, anche quelli infettati dal Coronavirus, favorendo la diffusione del contagio).
“Bruciati” milioni di euro – Finisce dunque così l’avventura dell’astronave “atterrata” poche settimane fa nel bel mezzo del centro commerciale di Civitanova, costata 12 milioni di euro, di cui 5 milioni stanziati da Banca d’Italia e gli altri 7 milioni conferiti al Corpo di Soccorso dell’Ordine di Malta (ente privato) da donatori privati che hanno risposto all’appello diramato a fine marzo dalla Regione (ente pubblico) tramite PEC inviate da Ceriscioli a tutte le partite iva risultanti nei registri regionali: rimarrà chiusa, “congelata”, in attesa di quella che gli uccelli del malaugurio sostengono potrebbe essere la “seconda ondata”. Congelati rimangono i 4 milioni di euro di investimenti relativi a materiali e dotazioni strumentali. Improduttivi restano gli 8 milioni spesi soltanto per l’adeguamento strutturale e la trasformazione del capannone fiera in qualcosa che avesse almeno la parvenza di un edificio ospedaliero.
Se invece i 12 milioni di euro fossero stati spesi diversamente..? – Quanto sarebbero stati utili quei 12 milioni di euro alla sanità pubblica regionale se fossero stati impiegati con altri criteri e in un’ottica diversa?! Tanto per cominciare sarebbero potuti servire per riaprire e riattrezzare adeguatamente i 5 ospedali chiusi dal 2015 a oggi in provincia di Macerata: Recanati, Matelica, Treia, Tolentino e Cingoli. Queste 5 strutture, declassate 5 anni fa con delibera regionale in case della salute, insieme all’ospedale di San Severino, anch’esso depotenziato, quanto preziose sarebbero adesso, se impiegate in supporto agli ospedali rimasti: Civitanova, Camerino e Macerata?! Ospedali su cui gravano tre mesi di fermo totale, causa Covid, delle attività ordinarie e procrastinabili, con centinaia di prestazioni rinviate da fissare ex novo e una mole incalcolabile di arretrati da smaltire. Ma quei fondi avrebbero potuto essere impiegati per ripotenziare in toto la rete ospedaliera regionale, fiaccata da un decennio di chiusure e tagli: 13 gli ospedali chiusi e circa 800 i posti letto in meno, solo negli ultimi 5 anni di gestione Ceriscioli e PD.
Le opzioni al di fuori di ogni logica – Era il 23 marzo quando Bertolaso fu chiamato nelle Marche da Ceriscioli per trovare una soluzione operativa che desse sollievo all’affanno con cui il nostro sistema sanitario regionale, eccellente ma indebolito da politiche scellerate di lungo corso, stava cercando di fronteggiare l’emergenza Covid, l’impennata dei ricoveri, il sovraffollamento delle terapie intensive. Già allora noi del Comitato Pro Ospedali Pubblici Marche avevamo evidenziato l’errata impostazione strategica delle opzioni che si stavano valutando per incrementare i posti di terapia intensiva; all’epoca si parlò prima della nave/ospedale, poi del palazzetto dello sport di Ancona, infine il padiglione fieristico di Civitanova Marche: tutte strutture avulse, decontestualizzate e distaccate dalla rete ospedaliera in essere, tutte soluzioni che piuttosto che ripotenziare, rafforzare e valorizzare l’esistente, puntavano a creare qualcos’altro: un nuovo reparto di terapie intensive a sé stante.
Le egregie soluzioni alternative scartate – Talmente evidenti i punti deboli di tale impostazione che non ci sarebbe stato neanche bisogno di sottolinearli: anzitutto costi enormemente maggiori; in secondo luogo l’assenza di integrazione della nuova unità intensiva rispetto alla altre unità operative ed alla “filiera” delle attività intraospedaliere, con conseguente necessità di plurimi (e rischiosi!) trasferimenti dei pazienti covid da una struttura all’altra durante le diverse fasi del decorso clinico della loro malattia. Tutto ciò a fronte di spazi inutilizzati già presenti e disponibili all’interno dei nosocomi regionali: ad esempio i due piani dell’ala di più recente costruzione dell’ospedale civile di Civitanova Marche, la cui fruibilità era stata una fase iniziale del dibattito enfatizzata proprio dal sindaco di Civitanova Fabrizio Ciarapica, poi però subito convertitosi sulla “via di Bertolaso”, oppure il sesto piano non più utilizzato dell’ospedale Umberto I di Ancona.
Il personale medico e infermieristico – Altro limite derivante dalla scelta di una soluzione non integrata all’esistente: l’impossibilità di impiego su più fronti del personale sanitario già in forza negli ospedali e dunque, di una messa in funzione del nuovo Covid Center senza trasferimenti di medici ed infermieri da reparti covid di altri ospedali, dato il problema ben noto e mai seriamente affrontato, della difficoltà di reperimento di nuova forza lavoro specializzata. Le ripercussioni negative sugli ospedali di provenienza dei medici e degli infermieri impiegati nel Bertolaso Hospital, ha fatto sì che, malgrado l’offerta di incrementi sostanziosi di stipendio da parte dell’Asur, non ci sono stati volontari e si è poi proceduto addirittura precettando i lavoratori.
Logistica discutibile – Anche la localizzazione dello stabile scelto dal team di Bertolaso e Ceriscioli è apparsa subito più che discutibile: proprio al centro dell’area commerciale di Civitanova Marche, presso lo snodo dell’A14 e della superstrada mare-monti, dove nelle ore di punta i tempi di percorrenza possono arrivare anche a 10 minuti al chilometro.
Ma nonostante questi ed altri limiti siano stati ampiamente comunicati e illustrati in tempi precoci di concepimento dell’idea, l’arroganza della giunta regionale del PD e di Ceriscioli, che in questo frangente ha trovato sponda in alleati locali di colore politico anche diverso dal proprio, in primis nel sindaco civitanovese di Fabrizio Ciarapica e dai suoi amici, ha dato alta prova di sé, portando prepotentemente a termine il progetto nonostante tutto e tutti, per di più completandolo solo a metà maggio, a emergenza ampiamente scemata e con le terapie intensive regionali già quasi interamente svuotate (Nota della redazione: si chiamava “Progetto 100” perché l’intendimento era di realizzare 100 posti letto, divenuti poi 40, scesi ancora a 25, utilizzati infine … solo 3 posti letto!).
Non resta che sperare che i cittadini marchigiani puniscano questo ennesimo clamoroso flop del potere regionale, ricordandosene quando a settembre saranno chiamati al voto.
Beatrice Marinelli
Dirigente Tecnico del Comitato pro Ospedali Pubblici delle Marche
8 giugno 2020