“La battaglia dei Campi Catalaunici” – V puntata

Pubblichiamo a puntate il romanzo storico “La battaglia dei Campi Catalaunici”, scritto da Giuseppe Sabbatini e illustrato da Lorenzo Sabbatini, dove accanto alla figura del generale Ezio c’è, protagonista e testimone, il giovane soldato Terenzio, proveniente da Ricina, oggi Villa Potenza di Macerata.

Tortura e morte di Camillo – Il povero Camillo, denudato e legato ad un tronco veniva fatto bersaglio di acuminate frecce, scagliate a breve distanza da quei barbari che, rimasti delusi dalla fuga del drappello e dalla perdita della carruca del cui prezioso carico probabilmente conoscevano natura e valore, avevano così inteso sfogare la loro delusione, per rabbia e vendetta infliggendo quel supplizio. Dopo alcuni tiri a  parti  del  corpo  non vitali, mirati solo a straziare l’indifeso le cui urla di dolore salivano al cielo, uno degli assassini indirizzò la freccia al cuore della vittima sacrificale ponendo fine alle sofferenze del novello Bastiano.

La guida è un traditore – Terenzio dal suo posto di osservazione, tenendo a freno il nobile impulso di accorrere in aiuto del povero amico nell’impossibilità di opporsi da solo a quella dozzina di indemoniati, rivolse gli occhi al cielo recitando da buon cristiano una preghiera per accompagnare nella sua salita l’anima di quello sfortunato. Ciò che colpì amaramente la sua attenzione fu però soprattutto la vista, fra quegli sciagurati, della Guida burgunda che abbandonate le vesti del foederato, con le quali aveva cavalcato accanto al Comandante generale delle truppe imperiali, si mostrava ora nella sua vera veste di fanatico assetato di sangue romano. Terenzio comprese solo in quel momento la ragione per la quale, avvicinandosi il drappello al Soudé, la Guida l’aveva fatto deviare per guadare più in su, nel posto ove evidentemente conosceva la presenza dei suoi compari in agguato.

Quella sera nel campo… – Si ricordò ancora, con sorpresa e rammarico, di un altro episodio che lo aveva colpito due notti prima, durante un turno di guardia veramente impegnativo, che aveva svolto pure lui a difesa dell’accampamento trincerato non ancora protetto da idonee barricate. Nel pieno dell’oscurità, poco dopo lo scoccare dell’ora sesta notturna, aveva notato provenire, proprio dalla direzione del luogo nel quale ora si trovava, una luce scintillante che compariva e scompariva senza regolarità. Aveva riferito l’accaduto al Principalis comandante quella notte della Guardia ma lo stesso non aveva ritenuto di dare importanza a quella luce attribuendo l’accaduto ad un semplice fenomeno naturale. Erano sicuramente già all’epoca conosciute quelle scariche elettriche che dànno origine al fenomeno che più di recente ha preso il nome dei “fuochi di Sant’Elmo”. Questo poteva in qualche modo giustificare lo scetticismo dimostrato in quell’occasione da quel Principalis, anche se in realtà questa attribuzione era sicuramente da escludere considerato che tali fuochi si originano solo in occasione di temporali e quella notte, come sappiamo, era assistita da un cielo terso che non poteva certo far equivocare.

Lo specchio riflettente – Terenzio, la cui mente si era ora aperta avendo riconosciuto il traditore, ripensò all’accaduto e finì per comprenderne la spiegazione. In effetti l’esigenza della comunicazione a distanza, particolarmente necessaria e utile per fini militari, aveva già all’epoca scoperto l’uso di specchi riflettenti della luce solare e anche di lanterne da sole o accompagnate dalla luce lunare, cosicché l’intermittenza del raggio riflesso consentiva di trasmettere all’osservatore distante determinati messaggi. Un antesignano alfabeto “Morse” per iniziati certo più semplice ed efficace dei ben noti segnali di fumo in uso presso altre popolazioni, e questo soprattutto di notte. Qualcuno dunque era riuscito a informare della missione chi all’esterno del Campo si teneva di vedetta ed aveva potuto organizzare l’agguato; quelle segnalazioni che in precedenza erano state osservate da Terenzio erano state dunque la conferma di ricezione di qualche altro messaggio e costituivano comunque la prova dell’utilizzo, lì, di quel sistema. Tutto questo balenò in testa al “nostro” il quale si prefisse, se fosse riuscito a rientrare indenne al Campo, di cercare l’autore delle segnalazioni e gli altri pericolosi complici del tradimento perpetrato dalla Guida.

La guida è il capo banda – Rimase quindi ancora nascosto attendendo che quei miserabili, con Ruhr la guida che si muoveva come il vero capo della banda, se ne fossero andati per il loro destino. Non tardò molto e quelli, senza curarsi della povera spoglia rimasta legata alla pianta del supplizio, lasciarono il posto montando piccoli cavalli che avevano tenuto nascosti all’interno di un folto d’alberi nei pressi. Terenzio, sconvolto e provato dalle grandi emozioni di quegli intensi momenti, si concesse infine il necessario riposo vicino alla pianta ove aveva occultato le sue armi.

I Visigoti –Strano popolo quello dei Goti cacciati dagli Unni verso occidente, denominato dei Visigoti per distinzione dai Goti di oriente: gli Ostrogoti. Nelle sue peregrinazioni attraverso tante zone d’Europa più volte aveva avuto a che fare anche con i Romani che, dopo aver allargato nei secoli la loro dominazione, per conservare la stessa avevano finito per doversi accordare con quelle genti che si presentavano ai confini sempre più numerose, primitive e forti alla ricerca di condizioni di vita migliori e che avevano invaso in più parti le loro terre. Dopo iniziali forme di convivenza, coronate dall’ammissione entro i confini dell’Impero, si erano ribellate ai soprusi e alla voracità segnatamente dei gabellieri romani e di altri barbari loro foederati, prendendo le armi e sconfiggendo più volte le armate andate a contrastarli. Tant’è che nel 378 d.C. ad Adrianopoli distrussero l’esercito avversario uccidendo addirittura l’Imperatore Valente. Seguirono anni contrastati e confusi. Dopo periodi storici in cui avevano agito anche come alleati di Roma, alla guida del loro Re Alarico (che aveva operato per qualche tempo nel passato addirittura con il riconoscimento romano di Dux e MagisterMilitum) invasero l’Italia, compiendo il famoso “Sacco di Roma” nel 410 d.C. Morto di lì a poco Alarico i rapporti erano migliorati ed i regnanti a lui succeduti erano tornati a più miti consigli, spostandosi nella Gallia e, dopo, anche in Spagna. Intorno al 450 d.C. Ezio si era così trovato a trattare con loro per un rafforzamento dell’alleanza all’approssimarsi della minaccia Unna di conquista e saccheggio sotto l’irresistibile spinta di Attila, Re e condottiero.

Attila – Anche questi aveva avuto rapporti nel tempo con i Romani, supportando lo stesso Ezio nelle lotte intestine dell’Impero alla conquista del potere al suo interno. Ma poi queste due personalità così forti erano venute in insanabile contrasto tanto che Attila aveva maturato un profondo odio nei confronti del Romano, ritenuto l’unico in grado di contrastare le sue mire espansionistiche. Probabilmente Attila non aveva fatto i conti con la capacità “politica” di Ezio il quale aveva capito e fatto leva sul timore dei Visigoti quanto all’invasione in atto, suscitando in loro grande interesse e volontà di contrastare la stessa, memori delle antiche gesta degli Unni che li avevano cacciati dalle loro zone di origine.

L’alleanza tessuta da Ezio –  Nella stessa condizione e con gli stessi problemi si trovavano gli Alani ed anche i Burgundi, vicini nella Gallia, con un rapporto sempre movimentato con i Visigoti, ora però accumunati da quella particolare esigenza. Ezio aveva ben preparato le sue mosse e intessuto questa alleanza, davvero sorprendente se si pensa che solo 40 anni prima i Visigoti avevano distrutto mezza Italia e saccheggiato la stessa Roma. Questa era la situazione conosciuta allorquando era pervenuta ad Ezio, la notte che sappiamo, la notizia dell’assedio di Aurelianum, città ben lontana a sud ovest rispetto all’accampamento che i Romani avevano predisposto nell’attesa degli Unni, che ritenevano provenienti da nord. Lo sconvolgimento dei suoi piani aveva consigliato il Magister di mettersi alla immediata ricerca dei suoi alleati per ottenere il loro urgente intervento in armi, parando così il colpo che gli Unni avevano sferrato contro la Città assediata. L’agguato sul Soudé era stato una conferma del rischio che il gran lavoro diplomatico sin lì svolto venisse compromesso se non si fosse riusciti a combattere senza indugio contro i Barbari invasori, e pure un’ulteriore preoccupazione perché quello in cui il drappello si era inoltrato era territorio burgundo e con i Burgundi il Romano aveva raggiunto lo stesso accordo che aveva trattato con i Visigoti di Teodorico e gli Alani di Re Sangibano.

La riflessione di Ezio – Ezio non era uomo da perdersi di coraggio e di ardimento. Lasciatosi alle spalle l’insidia sventata e perduti due uomini e la stessa Guida, dopo aver autorizzato Terenzio a fermarsi per aiutare il collega sbrigandosela da solo, si era posto alla guida del drappello, confortato dal sentire alle sue spalle il familiare cigolio della carruca carica del prezioso metallo che immaginava sarebbe stato ben più convincente di qualsiasi parola per muovere subito all’azione i suoi alleati, assetati d’oro come tutti i Barbari. Il giorno era già alto quando, nei pressi di una pozza d’acqua utile per far abbeverare e un po’ riposare gli stremati cavalli, fermò il drappello concedendo a tutti una sosta ristoratrice. Erano ormai penetrati in profondità nel territorio dei Burgundi ed Ezio non si capacitava della ragione per la quale, pur avendo di recente riallacciato pacifico rapporto anche con quelle genti contro cui aveva combattuto e vinto 14 anni prima (addirittura con l’aiuto di mercenari Unni) era stato attaccato sul Soudé. Infatti aveva scelto quella direttiva di viaggio e un burgundo come guida ritenendo in questo modo di poter compiere il suo piano in sicurezza.

Una nuova guida – Centurione, prepari due esploratori e li mandi nei paraggi per poter stabilire un contatto con la popolazione di questi luoghi; dobbiamo arrivare quanto prima a Lugdunum (l’allora capitale del Regno dei Visigoti, odierna Lione) per incontrare il Re Teodorico e abbiamo bisogno di un’altra guida”. La fortuna questa volta era girata favorendo quegli audaci perché in effetti i due esploratori tornarono poco dopo accompagnando un giovane rinvenuto al pascolo di una mandria di bovini nei pressi. Convinto con due sonanti sesterzi d’oro li aveva senza indugio seguiti fino al luogo in cui si trovava il drappello. Ezio, che in passato aveva intessuto con i Burgundi numerosi rapporti e appreso così la loro lingua, interrogò il giovane senza indugio: “I miei uomini ti hanno spiegato perché abbiamo bisogno di te. Puoi guidarci fino a Lugdunum e sai della presenza di armati in queste zone?”

L’esercito degli Unni – Magister, posso accompagnarvi dopo aver governato la mie bestie, ma io stesso nei giorni scorsi sapevo dell’arrivo di tanti Visigoti con il loro Re, diretti verso nord. Dopo aver nascosto la mandria in un burrone segreto per evitare che mi venisse razziata, tornai sui miei passi per vederne di persona il passaggio. Mi arrampicai su di un’alta pianta e di lassù vidi arrivare questa moltitudine. Andavano avanti i cavalieri e in appresso molti pedoni, tutti carichi di armi di ogni genere: archi, giavellotti, spade, asce, reti, fionde. Seguivano tanti carri con frecce, pietre, scale, tende ripiegate, pali e anche rifornimenti con botti di vino e interi quarti di bestie macellate. Sembrava quasi una migrazione e nella massa vi erano anche donne che seguivano a piedi prestando soccorso a quelli che ogni tanto, per la fatica, si accasciavano in terra. Questo è accaduto due giorni fa e quindi penso non siano andati molto lontano. Dalla direzione che avevano preso ritengo che oggi possano essere vicino ad Autessiodorum (oggi Auxerre)”. – “Che Dio sia lodato!”.

La favorevole notizia – Era la prima volta che il Centurione sentiva Ezio ringraziare Iddio. Il Magister utriusque militiae non era rinomato per la sua fede e forse lo era assai di più per il linguaggio da caserma che spesso usava nell’arringare le truppe, ma certamente in quel momento, dopo la tensione accumulata negli ultimi giorni, la sua tempra di guerriero aveva lasciato il posto a un sentimento di ringraziamento tanto quelle notizie erano apparse favorevoli e in un certo senso inattese. “Ti ringrazio, guidaci subito a raggiungere i Goti e non ti preoccupare per la mandria. Darò incarico a qualcuno dei miei di venirla a prendere per le cucine dell’accampamento e te ne rimborserò il valore”. Le pendici boscose del Plateau de Langrés, da cui nascono la Senna, la Marna e la Mosa, facevano da sfondo al colloquio così importante per le vicende che si andavano maturando e uno stormo di cigni bianchi, involatosi dalla Senna, planando sul drappello, che guidato dal giovane mandriano aveva ripreso la sua marcia nella giusta direzione, sembrò il preludio migliore per il buon esito degli eventi a venire.   continua

Giuseppe Sabbatini – con illustrazioni di Lorenzo Sabbatini

3 giugno 2020

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