In casa di Sbrangió, un contadino che pare fosse di Gagliole, gli adulti commentavano i malumori del loro padrone, tutti provenienti dal fatto che la moglie, la signòra, non gli dava figli ed era già la bellezza di sette anni che erano sposati.
Il più vecchio di casa disse: “A mme, per quando scìa, anghi se se tratta de lu patró, me despiace, perché un madrimògnu sinza fiji, che madrimògnu dè?” (A me, per quanto sia, anche se si tratta del padrone, mi dispiace, perché un matrimonio senza figli, che matrimonio è?).
“Ma tu come te la spieghi, ‘ssa desgrazia?” (Ma tu come te la spieghi questa disgrazia?) gli chiese una nuora, e lui sentenziosamente rispose: “O lu puzzu è ttróppu cupu, o la corda è ttróppo corta!” (O il pozzo è troppo profondo o la corda è troppo corta!).
L’allusione alla inadeguatezza dell’uno o dell’altro coniuge fece ridere tutti, anche se ben conosciuta, perché proverbiale, ma ci fu la vergara che disse: “Lu patró, non duvità’, l’ha portata a la signòra da li médici più bbrài, e pure da li sdrigù; ma, porétta, non g’è gnènde da fa’” (Il padrone, non dubitare, l’ha portata la signora dai medici più bravi e anche dai negromanti; ma, poveretta, non c’è niente da fare).
Saltò su allora un giovanottone, appena tornato dal servizio militare, che fece: “Se lu patró la ‘ffida a mme, quella masciata, per quant’è vvir’Iddio, a la patrona la spasturo e dopo nove mesi pricisi corre la mammana!” (Se il padrone la affida a me, quella faccenda, per quanto è vero Iddio, alla padrona la sventro, e dopo nove mesi precisi corre la levatrice!).
Claudio Principi – tratto da “Dicerie popolari marchigiane”
24 aprile 2020