La prima unità d’Italia fu opera del popolo Piceno

Per comprendere l’evoluzione delle antiche civiltà italiche (preromane) non si può prescindere dalla conoscenza degli scritti di Dionigi da Alicarnasso, nato in Grecia nel 60 a. C.. Come gli altri dotti del suo tempo, intorno al 30 a.C., si trasferisce a Roma, dove fu molto attivo e apprezzato. Si deve a lui l’interesse per la ricerca storica e il movimento filosofico dell’Ellenismo. Studiò la lingua e la letteratura latina, come si desume dalle molte sue opere di retorica. Per ventidue anni si dedicò alle ricerche storiche; dal materiale raccolto origina “Antichità romane”(ωμαική ρχαιολογία – Rhomaikè archaiología), pubblicata nel 7 a.C. (anno della sua morte). L’opera intera (20 libri scritti in greco) spazia dall’età mitologica dell’Italia centromeridionale fino all’inizio della prima guerra punica. I primi dieci volumi sono stati conservati interi, degli atri dieci sono stati tramandati ampi frammenti; evidente l’apprezzamento, l’importanza e la sacralità di quell’opera, per millenni. In questa trattazione viene fatta una concisa sintesi (dalla Traduzione Del Mastrofini 1823) del primo libro, dal capitolo uno al capitolo quattordici, che sono relativi all’Italia centrale molto prima della guerra di Troia.

Gli estratti dai capitoli

Cap. I: “la patria dei Romani, prima di essi, era abitata da Siculi; e niuno può divisare se innanzi loro fosse abitata da altri, o se fosse un deserto… poi la ebbero gli Aborigeni, uomini già sparsi in villaggi senza mura pe monti… i Pelasghi unironsi (agli aborigeni, i quali) fino alla guerra Trojana serbarono il nome antico; ma intorno a quei tempi cominciarono a chiamarsi Latini per Latino re che li dominava…”.

Note:

1 – sembra pacifico che Pico fosse re degli aborigeni e 1° re dei latini (o laurentini); Latino era il nipote. Lo stesso Romolo è l’ultimo discendente di questa dinastia.

2 – Dionigi non fornisce precise informazioni sulla intensità delle popolazioni nell’Italia centrale, non definisce le etnie, non menziona la provenienza dei Siculi e le loro caratteristiche antropologiche; paiono comunque ubiquitari.

3 – Relativamente agli Aborigeni è più preciso: “i villaggi senza muri sui monti” non dovevano essere dissimili agli attuali paesini sulle colline del piceno.

Cap. II: “Ora questi Aborigeni dai quali comincia la gente romana, dimostrasi che derivino da se stessi, e siano appunto naturali d’Italia… senza case e senza stabile sede… confinanti con gli Umbri…”.

Nota: chi saranno stati gli aborigeni vicini agli Umbri?

Cap. III:Oenotro, diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse… si levò di Peloponneso, passò il mar Jonio con flotta già preparata… sbarcò nella Italia…”

Nota: Più volte, in passato, sono stati messi in evidenza gli scambi commerciali (e non solo), tra gli antichi Piceni e i Pelasgi, perchè agevolati dalle correnti superficiali dell’Adriatico*.

Cap. IV: … (Oenotro)“trovando la regione bonissima da pascolarvi o da ararvi, … con poco popolo ov’era abitata; diede la caccia a barbari (Sicoli) e fondò città non grandi, ma frequenti in sui monti… Così tutta la regione fu detta Oenotria…”.

Nota: Gli spazi liberi agevolano l’ospitalità in territori fertili e ameni; desta un mistero l’ostilità, dei nuovi arrivati, contro i Sicoli.

Cap. V: … “gli Oenotri occuparono molti luoghi d’Italia, o deserti, o poco popolati…”.

Nota: anche i Pelasgi si espandono.

Cap. VI: “Delle città che furono degli Aborigeni, poche ora ne sopravanzano… Tra esse “Lista la capitale degli Aborigeni… il tempio di Marte… e li recinti pe cimiteri comuni su monti altissimi (sembra riferirsi alle necropoli picene!)… e l’antico tempio di Minerva”.

Nota: i “villaggi” degli aborigeni (Piceni?) erano poco strutturati ma i templi e i cimiteri evidenziano la civiltà dei popoli.

Cap. VIII: “… in queste parti è fama che gli Aborigeni in prima si collocassero, cacciatine gli Umbri… e soprattutto i Sicoli, loro confinanti”.

Nota: Dionigi implicitamente afferma che gli Aborigeni si espandono dal loro primo insediamento e cercano di scacciare gli Umbri e i Sicoli: evidentemente, anche i Siculi si erano insediati nella regione che Scyllace definisce genericamente della “Gens Umbra”.

Cap. IX: “… alcuni dei Pelasghi che abitavano la regione ora detta Tessaglia, costretti di trasmigrarne, divennero gli ospiti degli Aborigeni e compagni di arme… (i Pelasgi) poiché si avvidero che erano di aggravio, non bastando la terra a nutrire tutti in comune, se ne involarono, mossi dall’oracolo (di Dodona) che ordinava loro di navigare in verso la Italia, allora chiamata Saturnia… Ma pel vento di mezzo giorno e per la imperizia de luoghi… capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spineto e quivi lasciarono le navi… fabbricarono una città col nome appunto della bocca del fiume…”.

Nota: Questo capitolo descrive un’altra consistente emigrazione, causata da carestie. Interessante il richiamo alle terre comuni, che fanno ricordare le nostre “comunanze agrarie”, istituzioni menzionate nelle leggi saliche e ancora attive nei territori pedemontani dell’Appennino Piceno.

Cap. XI: “.…i Pelasghi capitarono ai paesi degli Umbri, vicini degli Aborigeni… pigliarono i campi dove posarono, arrogandosi ancora alcune cittadelle degli Umbri… (e giunsero) per avventura intorno di Cotila, città degli Aborigeni presso di un sacro lago…”.

Nota: Cotila città Aborigena o Etrusca? Il Lago di Cotila, oggi lago di Paterno in provincia di Rieti, comune di Castel S. Angelo, in località Piana di San Vittorino, attraversata dal fiume Velino e dalla strada Salaria, luogo sacro dei popoli italici, Varrone lo definì come “l’ombelico d’Italia”. Questo lago, di origine carsica, ha forma ovale, piccolo, profondo 54 m., è alimentato da una sorgente sotterranea da fenditure nella roccia. Su quel lago avvenne l’alleanza tra Pelasgi e Piceni, secondo Macrobio. In quella occasione furono costruiti un’ara  a Saturno e il sacello a Dis Pater (ora nel Museo archeologico romanico-germanico, Colonia). Seguito dal cap. XI: “incontrati gli Aborigeni colle tante milizie (nota: i Piceni, guerrieri da sempre, si apprestano a difendere il loro territorio), alzarono i Pelasghi ramoscelli di oliva: ed inermi si presentarono dicendo le sorti loro, e pregando che li accogliessero… e qui l’oracolo esposero. Udendo ciò, gli Aborigeni, parve loro di ubbidire all’oracolo, e ricevere in essi, tanti Greci alleati: molto più che avevano briga coi barbari, stanchi ormai dalla guerra coi Sicoli. Vengono dunque a santi patti co Pelasghi… persuadono gli Aborigeni a congiungersi con loro che uscivano con le armi su gli Umbri. Così piombando con impeto repentino, pigliarono Crotone, (Cortona)2 città grande e felice. E di questa si valsero come di antemurale e di guardia; essendo conformata per essere un baluardo di guerra in mezzo a campi fecondissimi. Conquistarono ancora altri luoghi non pochi, coadjuvando con sommo ardore gli Aborigeni nella guerra contro i Sicoli, finché li bandirono dalle loro sedi… Pelasghi ed Aborigeni abitarono promiscuamente molte città fabbricate da loro o tenute un tempo da Sicoli: tale era la città dei Ceretani3, Agilla4 detta in quei giorni, e tale era Pisa5, e Saturnia (in onore di Saturno, padre di Pico?), ed Alsio6 ed altre…”.

Note:

1) I Pelasgi non sembrano essere ostacolati dagli Umbri, ma si spaventano per l’apparato militare Piceno. Domandano ospitalità, la ottengono in ossequio all’Oracolo. Forse l’accoglienza più che della fede religiosa e della magnanimità, fu subordinata all’alleanza contro i Siculi. La forza militare dei due popoli li rende invincibili tra gli Umbri e li spinge a impadronirsi di Etruria, Lazio e  Campania dove gli Aborigeni Piceni, aiutati dai Pelasgi, occupano l’intero territorio e fondano varie città. E, perché no, anche Picentia! Ma la storia ufficiale glissa.

2)  Dionigi cap. VI: “Crotone serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è molto, ha mutato nome ed abitatori, e divenuta colonia romana, si chiama Cortona”. Non dovrebbe sembrare strano che in Calabria esista ancora Crotone: da Wikipedia: “La città fu fondata da coloni greci provenienti dalla regione dell’Acaia nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. nel luogo di un preesistente insediamento indigeno”. Chi avrà fondato quell’antico insediamento?  Virgilio (Eneide nel lib. 2° verso 165) si riferisce ai cortonesi chiamandoli “Dardani robusti”, con chiaro riferimento al mito (greco, etrusco e latino) di Dardano, figlio di Corito re di Cortona, il quale, abbandonata la patria e dopo varie peripezie, avrebbe fondato Troia; Enea, discendente di Dardano, lascia Troia… giunge in Italia con tutto quel che segue. Per questa leggenda, i Cortonesi amano definire la loro città: “Mamma di Troia e nonna di Roma”.

3) da – Descrittione di tutta Italia – VE 1538, pag 36 “seguitando poi il lito vedesi il fiume Eri entrare nel mare, che penso sia quel fiume da Plinio nominato Ceretanus. Presso il quale, secondo Strabone era un Emporio… ove si radunavano i Mercatanti a far sue facende, nominato Ceretano…”.

4) idem, pag 35 “oltre Gervetere nel Mediterranio 4 miglia (secondo Plin.) è il luogo, ove era l’antica Città di Agilla, di cui ne parla Catone, Plinio, Dionisio A. nel 1° lib. dell’historie, e Trogo nel 2° libro, vogliono costoro insieme con Solino ch’ella fosse primieramente edificata dai Pelasgi… chiamata Caere in latino moderno Cerveteri (en.m.wikipedia.org/wiki/Agylla)

5) Memorie storiche di Pisa – Troni 1682: “Città Pelasghe furono fra molte altre Agilla, Fescennio, Falerio, Alsio, Saturnia, e Pisa”; seppure cerca di sostenere che i Pelasgi erano Etruschi; in questo caso non è sostenibile la presa di Cortona e delle altre città Etrusche. Pisa è anche l’antichissima città del Peloponneso.

6) Alsio (Alsium o Colonia Alsiensis). – Antica città etrusca sulla via Aurelia, tra Roma e Centumcellae (Civitavecchia) … tra Fregenae e la stazione Ad Turres. Corrisponde all’odierna Palo e alla stazione omonima della ferrovia Roma-Civitavecchia. Località ritenuta il porto marittimo naturale di Cere o Agylla, odierna Cerveteri. (enc. Treccani).

Cap. XII: “… Ebbero (Aborigeni e Pelasgi) ancora non poco del territorio detto Campano, fecondissimo e vaghissimo a riguardarlo, cacciatine in parte gli Aurunci, barbaro popolo: e quivi fondarono altre cittadi. Finalmente possederono, togliendoli a Sicoli, molti altri luoghi entro terra, o lungo la spiaggia”.

Nota: Arrivano in Campania (nel salernitano), paesaggio splendido e terreni fertilissimi, conquistano terre e litorali, vi “fondarono altre cittàdi”. Caro Dionigi, io ti credo; credo anche che alcune città siano rimaste fino ai tuoi tempi. Ma non riesco a capacitarmi di come di nessuna di esse sia rimasta traccia e nemmeno il ricordo del nome. La stessa Picentia, attraversata dal fiume Picentino che nasce sui monti Picentini, è considerata, dai Dotti,  d’origine Etrusca. Misteri della fede (nella storia). A meno che l’avessero costruita gli etruschi di Cortona, di Agilla e i Cerretani, mentre erano inseguiti da Piceni e Pelasgi.

Cap. XIII: “I Sicoli, ormai non più valevoli a resistere ai Pelasghi e agli Aborigeni, riunendo, figli, mogli e quanto avevano di moneta in oro e argento, si levarono in tutto da quella terra… siccome dovunque erano discacciati, apparecchiarono delle barche nello stretto, e notandovi il flusso, e quando era fausto, passarono dalla Italia in su l’isola vicina. Allora i Sicani, Spagnuoli di origine, la possedevano, cercando uno scampo dai Liguri, e già per essi era detta Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria... la gente dei Sicoli abbandonò la Italia, tre generazioni, prima delle cose trojane, come Ellanico di Lesbo scrive, correndo in Argo l’anno vigesimo sesto del sacerdozio di Alcione… Filisto di Siracusa scrisse però che l’anno di quella discesa fu l’ottantesimo innanzi la guerra trojana: e che non Sicoli, Ausonj, Elimei, ma Liguri6 furono gli uomini trasportati dalla Italia, conducendoli Sicolo, figliuolo di Italo… furono Sicoli nominati… Antioco di Siracusa non distingue il tempo del tragitto… Tucidide scrive che Sicoli furono i profughi e Opici quelli che li fugavano, molti anni dopo la guerra di Troja. E queste sono le cose che affermansi da uomini riguardevoli intorno de Sicoli, passati dalla Italia nella Sicilia”.

Note: 1) Caro Dionigi, questo capitolo rende onore alla tua correttezza di storico, non nascondi le ricerche degli altri che hanno descritto il fatto.

2) Strabone – Della Geografia – trad. Ambrosoli – T 2°, MI 1832 – pag. 385: “Gli antichi Greci diedero a questi Salii il nome di Liguri, e Ligustica dissero quella regione ch’è occupata dai Marsigliesi”. Se l’asserzione di Filisto fosse vera, si sarebbe trattato pure di guerra tra varie etnie di Salii.

Splendore e decadenza di Aborigeni e Pelasgi

Cap. XIV: “Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia e bella, ne ebbero pur le città: poi fondandone altre, crebbero presto e molto in forze, ricchezze ed altri beni; non però ne goderono a lungo. Ma sembrando troppo floridi (subirono) l’ira de celesti: divine calamità e barbari confinanti,e la parte più grande ne fu dispersa tra barbari, o nuovamente tra Greci… Pochi (sopravvissero grazie) agli Aborigeni… (Altre calamità): siccità che intristiva la terra… nè bastavano i pascoli alle greggie, non più le fonti eran atte a toglier la sete…, aborti e figli, morenti nel parto o fatali nell’utero ancora alle madri…, malattie e morti frequenti più dell’usato. Consultando l’oracolo… dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Li Pelasghi ridotti a penuria di ogni cosa nelle loro terre, si votarono a Giove, ad Apollo ed ai Cabiri1 (decidono di) …santificare ad essi le decime2 di ogni prodotto.

Note: 1) Le caratteristiche antropologiche sono simili a quelle dei Salii.

2) Tributo (equivalente alla decima parte del reddito agricolo) da versare allo stato, alla religione ecc. da cui deriva anche la decade (paga dei militari), tutte in vigore da tre millenni con modeste modifiche.

ConclusioneDionigi non fornisce notizie dettagliate sui popoli coinvolti e su cruente battaglie campali. Probabilmente si trattò solo di schieramenti contrapposti, senza fatti d’arme. I Siculi, inferiori per numero (anche se presenti in tutte le regioni attraversate), privi di mezzi e senza alleati, fuggono; Piceni e Pelasgi inseguono. La scintilla parte dai territori del medio Adriatico, coinvolge Umbria, Etruria, Lazio e Campania. Alcuni dei vincitori spostano le loro dimore nelle città conquistate e ne fondano altre, portando in esse la propria cultura, la civiltà e le tradizioni. Il territorio da controllare è troppo vasto e non può durare nel tempo. La facilità della conquista, l’attenzione al “proprio particulare” e l’agio della ricchezza preparano i popoli a farsi fagocitare dal più vorace “pescecane” di turno. “Le antichità di Roma” sembrano descrivere il primo tentativo dell’unità d’Italia. Ma fanno sorgere molti dubbi. Ci hanno sempre detto che gli Etruschi erano molto organizzati, evoluti, ricchi, potenti, civilizzati… e che i Piceni erano solo poveri pastori vaganti. Invece… ironizzo: Caro Dionigi, smentisci la tua Storia e adeguati alla nostra “Intellighentia”.

Nel prossimo numero un seguito interessantissimo.     

vedi https://www.larucola.org/2017/05/26/sali-italici-parte-prima/

https://www.larucola.org/2017/04/15/salii-in-provenza-nel-ii-secolo-a-c/

* https://www.larucola.org/2016/08/13/correnti-superficiali-delladriatico/

* https://www.larucola.org/2018/04/22/il-mare-adriatico-avvicina-i-popoli-da-quattro

Nazzareno Graziosi

8 aprile 2020

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