Elverio Maurizi è stato uno dei miei compagni di studio fin dalle elementari, ambedue iscritti alla stessa sezione alle medie, al liceo e poi su, su fino al conseguimento della laurea. Abbiamo trascorso i meravigliosi anni dell’adolescenza a stretto contatto di gomito, con le prime cotte sconvolgenti, le comuni amicizie, le lunghe peregrinazioni notturne attorno al periplo delle mura cittadine con gli altri della… cricca. Gli studi classici e una certa predisposizione naturale mi spinsero a interessarmi alle cose di arte e così, agli albori degli anni settanta, cominciai a scrivere articoletti e recensioni sulle pagine dei quotidiani locali. Grazie al diretto interessamento di Elverio Maurizi, che già collaborava con le testate: Messaggero, Voce Adriatica, o il Tempo, riuscii a proporre alcune “cartelle” – come si dice in gergo – a riviste di più ampia tiratura come: Il Marchigiano, Il Leonardo, La Voce delle Marche. Ci perdemmo per un po’, avendo imboccato vie professionali del tutto diverse. Ci si ritrovava, comunque, nei lunghi pomeriggi d’inverno, liberi dagli impegni di lavoro, nei locali delle redazioni dei giornali alle quali l’amico dava la sua preziosa collaborazione. Così, per anni, nelle vecchie sedi di via don Minzoni e di Piaggia della Torre, punti di ritrovo di altri “ex vitelloni” divenuti con il passar del tempo rispettabili professionisti nei vari settori della vita pubblica. Maurizi amava scrivere e amava leggere. Fu lui ad aprirmi orizzonti fascinosi e sconosciuti, facendomi conoscere il gusto della sintassi poetica, indirizzandomi verso ritmi e raffinatezze verbali che la scuola non ci aveva fatto apprezzare appieno. A volte mi prestava i volumi della sua preziosa biblioteca, da gustare a casa, dietro compenso di lire 10 (dieci) alla settimana. Nello specifico settore delle arti figurative, Elverio ha rappresentato la classica ventata innovatrice, dopo anni di pressoché assoluta indifferenza, se si eccettuano le edizioni dei vari Premi Scipione o le “Marguttiane” allestite in quei tempi nel caratteristico vicolo degli Orti. Quale neo presidente, eletto alla guida del gruppo storico degli “Amici dell’Arte” (seconda metà degli anni settanta) diede uno scossone risanatore. Ricordo una delle prime riunioni, alla quale fui invitato come appassionato delle cose d’arte, animata e tempestosa. Partecipavano, fra gli altri, Giuseppe Mainini, Virgì Bonifazi, Nello Biondi, l’arch. Massetani: rappresentanti storici di un certo modo di fare arte e di concepire la cultura. Metodi tradizionali e radicate cautele cozzarono brutalmente con i propositi più agguerriti di rinnovamento. Elverio si sforzò di “vedere e far vedere agli altri nella pittura – come dice lo scrittore triestino Enzo Bettiza – qualcosa che, in definitiva, con la pittura stessa, almeno nel suo significato tradizionale, non aveva nulla più in comune, neppure il linguaggio tecnico”. Anni settanta/ottanta: un periodo di felice notorietà per Macerata che divenne meta e aspirazione per artisti già affermati o desiderosi di far conoscere le proprie produzioni. Si cercò di valorizzare le opere d’arte già in dotazione all’Amministrazione comunale. Tornò dall’estero Ivo Pannaggi ed Elverio fu suo profeta. Sante Monachesi si ricordò dei suoi amici maceratesi. La Pinacoteca comunale, con una oculata politica di promozione, tramite manifestazioni a carattere collettivo e mostre personali, ebbe modo di acquisire un inestimabile patrimonio di arte moderna. Grazie all’opera inesauribile di Maurizi, i musei comunali si arricchirono di circa 500 opere, molte delle quali ancora in via di definitiva sistemazione. Ma, al di là dei suoi interessi professionali, qual era l’indole di questo efficiente funzionario statale (era arrivato alla qualifica di vice-prefetto), a tempo opportuno apprezzato cultore dell’Arte per eccellenza? Quello che potrebbe rappresentare un mio giudizio – per forza di cose essenziale e riduttivo – è stato ampiamente preceduto e suf fragato dalle numerose testimonianze contenute nel volume “La critica d’arte oggi in Italia”, edito nel 1985 a seguito di un convegno organizzato a Macerata sull’opera e la personalità dell’amico critico, scomparso improvvisamente e prematuramente proprio in quell’anno. Alfredo Trifogli ha scritto: “Elverio si distingueva per la grande generosità d’animo, l’estrema disponibilità e la sorridente signorilità sia nei confronti dei colleghi di lavoro, che degli artisti da lui conosciuti e valorizzati”. Non posso non concordare con quanto ribadito da più fonti, riferendo una mia testimonianza diretta. Nel settembre del ’79 ebbi la opportunità di promuovere e organizzare a Macerata una mostra antologica sull’opera del grande disegnatore e incisore contemporaneo Renzo Vespignani di Roma. Fu il classico colpo di fortuna, di cui ancor oggi non so capacitarmi, soprattutto per la dinamica del suo svolgimento. Avevo visionato le splendide tavole del maestro, affastellate e proposte in maniera a dir poco confusa, in alcuni spazi dell’Università di Pescara, in un cocente pomeriggio di agosto, e ne ero rimasto folgorato. D’impulso chiesi a un barbuto distinto signore, dall’aria assonnata, che sembrava essere incaricato della sorveglianza dei locali, se fosse possibile pensare a un trasferimento nella nostra città delle tavole e delle matrici esposte. Parlai della Pinacoteca comunale, dei nuovi indirizzi dirigenziali, accennai allo splendido spazio della chiesa di San Paolo, restituita a uso pubblico proprio per interessamento dell’amico Maurizi, volli insistere sul tema della enorme convenienza della parte economico-organizzativa, potendosi fare la mostra sotto l’egida e il patrocinio dell’Amministrazione Comunale. Il tizio – con un sobbalzo di improvviso interesse – accolse la proposta, senza condizioni di sorta. Successivamente si fece conoscere come Marino Vulcano, uomo di ampia cultura, letterato, critico d’arte, ben noto, in anni precedenti, per aver diviso l’Italia tra innocentisti e colpevolisti in occasione del clamoroso processo intentato nei suoi confronti per il vero o presunto… assassinio della moglie.
All’epoca, ormai a piede libero, curava le pubbliche relazioni per conto di Vespignani. Altro che sorvegliante! Coinvolto dalla “vulcanica” personalità del faccendiere, gli tenni dietro a fatica nelle fasi organizzative della mostra, tra mille dubbi e incertezze, tra ripensamenti e crisi esistenziali. Vulcano venne più volte a Macerata, parlò, esaminò, approvò, disapprovò, annullò il tutto, per pentirsi subito dopo della sua impulsività. A un certo punto, per sopravvenuti motivi di salute, dovetti mollare. Ecco allora subentrare l’amico Elverio, il quale con la consueta calma e signorilità, venne a sobbarcarsi tutto il carico della manifestazione, sopportando con pazienza le intemperanze e i capricci del Vulcano (mai nome fu più azzeccato!), persona intelligentissima, quanto mai imprevedibile e bizzarra. Maurizi prese contatti con lo stesso Renzo Vespignani e il suo entourage operativo, mise in subbuglio l’apparato critico di sua conoscenza, si recò, infine, di persona, con uno scassatissimo camioncino (che, fra l’altro si bloccò per un guasto in piena autostrada) a ritirare le opere a Pescara. Aiutò, come suo solito, a montare i quadri, sacrificando tempo ed energie per una cosa che, in effetti, non gli apparteneva, ma della quale aveva capito l’enorme impatto culturale. La mostra si fece nella chiesa monumentale di San Paolo, con una irripetibile affluenza di pubblico e con grande soddisfazione dell’artista romano, presente alla inaugurazione. A questo punto devo onestamente riconoscere che gran parte del successo va interamente ascritta a Elverio Maurizi, il quale, senza peraltro dar peso al suo determinante intervento, contribuì alla realizzazione di un evento memorabile nell’evolversi delle vicende artistiche maceratesi. E non fu certo un caso sporadico. I suoi intensi rapporti culturali con critici di alto livello nazionale (cito a caso, Calvesi, Crispolti, Lambertini, Appella ecc.) e con operatori estetici di rinomanza mondiale, contribuirono a far conoscere a un ambiente pigro e amorfo, come può essere quello di una cittadina di provincia, tendenze e linguaggi a un primo impatto ostici e poco comprensibili. Ma la caparbietà e un intuito fuori della norma fecero sì che il nome di Macerata brillasse di luce propria in un panorama artistico che vedeva agire da protagoniste, in prevalenza, le grandi metropoli del paese.
Goffredo Giachini
30 marzo 2020