Italia succube di una Europa dove alcuni stati fanno i propri interessi

Ho sul mio comodino “I doveri dell’uomo” di Mazzini, che trovo ancor oggi fondamentale. Poi idealmente ho aggiunto, negli anni ’70, “Il Capitale” di Marx, il socialismo-liberale dei Rosselli, la dottrina sociale della Chiesa Cattolica e il solidarismo, che sono, in linea di massima, le idealità dei lavoratori dipendenti e mettendole assieme sono perfettamente amalgamabili. Quindi non capisco la divisione della Confederazione le cui motivazioni sono superate da tempo.

Ho svolto il mio impegno da sindacalista, ma non sono riuscito a capire la “manovra” di questo governo: va bene all’Europa, ma non è europea. Comunque  la “finanziaria della regione Italia” è stata approvata.

Si afferma che esistono timidi segnali positivi sulle pensioni, che ci sia un aumento dei salari dei lavoratori per la diminuizione del cuneo fiscale, ma non esiste alcun piano per l’occupazione, i giovani e le donne pare non esistano. Il debito pubblico continua ad aumentare, le spese inutili pure. Si sono sterilizzati i 23 miliardi dell’Iva (per il prossimo anno speriamo che l’iva venga rimodulata).

Non è possibile accettare che l’Italia sia tra gli ultimi nella Ue per lo sviluppo e tra i primi in Europa sulla disoccupazione.

Le disuguaglianze aumentano: una volta il prelievo su chi pagava le tasse andava dal 18 a  quasi il 60%, ora la media è del 23% fino al 45% penalizzando in questo modo i lavoratori, i pensionati, la cosiddetta classe media, mentre si favoriscono sempre i ricchi che a parole dicono di voler investire sull’occupazione, ma nei fatti speculano e divengono sempre più abbienti.

Le periferie sono sempre più sole e isolate, il mezzogiorno è sempre più inguaiato sul piano economico ed è difficile vedere investimenti o fabbriche nuove.

Se migliaia di giovani ogni anno lasciano l’Italia (in molti si dolgono e si leggono dichiarazioni infiammate ma nessun provvedimento viene preso ) si urla alla fuga dei cervelli, il che è parzialmente vero perché fuggono anche le braccia: Infatti su 10 “emigrati” 3 sono laureati, 3 diplomati, 4 scarsamente scolarizzati:

Le retribuzioni annuali per i laureati sono 28.870 € in Italia, 73.727 € in Svizzera, 49.341 € in Germania, 42.195 € in Belgio, e vengono accolti bene.

Nel territorio nazionale abbiamo quasi 150 aziende che hanno chiuso i battenti o sono in crisi, senza uno straccio di politica industrile, si promette il “posto” a tutti, ma non si sbloccano i milioni per opere gia finanziate, si cancella l’unica struttura nazionale di prevenzione… tanto paga Pantalone e non voglio parlare di Alitalia, di banche.

I ricchi sono diventati più ricchi, non esiste nessun riequilibrio fiscale, i consumi sono diminuiti, il potere di acquisto dei salari, delle pensioni e sceso e tende a scendere ancora (so bene che il salario non è una variabile economicamente indipendente, ma alcuni contratti non si rinnovano, sia pubblici che privati, alla scadenza prevista, la contingenza – aumento automatico del salario – è stata giustamente abolita senza nessuna politica di tutti i reditti), si sta lasciando che i costi (sono un convinto sostenitore della internazionalizzazione dei mercati) della utile globalizzazione ricadono, senza alcuna regolamentazione (salvo timidamente nella Ue) sui lavoratori più deboli.

Il sindacato, a tutti i livelli, anche europeo, permette che la giusta flessibilità divenga precariato, i sistemi di intelligenza artificale impiegano molte persone che lavorano in modo disagiato e con bassi salari.

In definitiva questa è la situazione che può essere fotografata, con varie sfacettature, in quasi tutti i paesi Europei.

Dobbiamo fermare, soprattutto per i lavoratori e per i più deboli la “debolezza” di una Europa nella quale crediamo e vanno rimossi assieme alla carenza di democrazia (salvo il Parlamento Europeo con i suoi limiti) i deficit di partecipazione, di confronto e di azione sociale vera.

Le intese, le politiche mondiali avvengono per grandi aree: nessuno può fare da solo.

I sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro dovranno dare una mano allo sviluppo europeo, perché non bastano più il Comitato Economico e il cosiddetto dialogo sociale.

Un ruolo chiaro dell’Europa potrà avvenire se ci sarà la capacità politica di riprendere lo spirito della costruzione di uno stato federale e sovranazionale, negando la sopravvivenza di una “lega di stati” uniti solo da interessi specifici, alcune volte contradittori, e con alcuni stati che hanno perso ogni sorta di solidarietà, che è alla base della costruzione Europea: le problematiche (vedi come esempio le questioni internazionali) spezzettate favoriscono i nazionalismi e ancor peggio i sovranismi.

L’Europa sta per investire molti miliardi in tutti i settori riconvertendoli contro il riscaldamento della terra (il patto delle Confindustrie di Germania, Francia, Italia, di investire in imprese ecosostenibili, aiuta) e raggiungere l’autonomia sostenibile entro il 2050 in tutta la Ue.

A questa grande riconversione e speriamo unità dell’Europa, il sindacato deve aggiungere un grande progetto di lotta orizzontale di tutta l’Unione (Confederazioni: lavoro, sanità, pensioni…) e verticale (categorie: lavoro, salario minimo, salario, diminuzione orario, produttività, innovazione…), per contribuire a migliorare la condizione dei lavoratori e dare una scossa a questa Europa “dormiente”.      

Giulio Lattanzi

6 febbraio 2020

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