L’incontro maceratese con il famoso vignettista Alberto Fremura

Conobbi Alberto Fremura con una corrispondenza iniziata per pura combinazione, anche se in certo qual modo, intenzionale… Mi spiego meglio. Dall’esperienza di un caro amico collezionista, che raccoglieva da tempo autografi di uomini politici, artisti, divi dello spettacolo e autorità della Chiesa, iniziai a spedire a personaggi del mondo dell’arte una cartolina affrancata con il mio recapito maceratese prestampato e la preghiera di ritornare la cartolina stessa corredata da un autografo, da un disegno o quant’altro preferissero.

 

La raccolta e le curiosità

Riuscii in pochi anni a raccogliere omaggi e testimonianze a firma di illustri rappresentanti delle arti figurative, come (cito a caso): Guttuso, Treccani, Sassu, Annigoni, Messina, Donizetti, Fiume e tantissimi altri. Ricevetti, tra l’altro, a fronte di una richiesta così smaccatamente impudente, cortesi rifiuti e persino insulti! Alcuni ignorarono la mia iniziativa. Tra le risposte più curiose ricordo, a esempio, quella di Ugo Nespolo che mi restituì il cartoncino con una composizione giocata nei colori rosso-verde-bleu, da cui si ricava il motto: “Chiedere, chiedere, chiedere sempre, per ottenere”. Una pittrice romana mi omaggiò di un disegnino spudoratamente pornografico… Lo scultore Emilio Greco rispose dicendo che, se avesse dovuto dare retta a quanti, come me, pretendevano di ottenere uno schizzo o un abbozzo originale, non avrebbe avuto il tempo materiale per lavorare (comunque sia, possiedo due lettere con grafia originale dello scultore!). Un artista di Bologna, che preferì mantenere l’incognito, mi spedì una confezione di pillole a base di bromuro. Come a dire: “Fratello, datti una calmata!”

 

Il contatto con Fremura

Con Alberto Fremura, noto caricaturista e disegnatore umoristico di Livorno, la cosa ebbe un insperato successo e servì a dare avvio a una simpatica, stimolante conversazione a distanza. L’artista volle, a ogni modo, conoscere, da buon toscano, i miei intendimenti, la destinazione dei piccoli disegni ottenuti, se avevo in animo di commercializzare le opere firmate, oppure proporle sotto forma di stampe multiple ecc. Una volta rassicurato sugli scopi puramente maniacali del collezionista, semplice e disinteressato, azzardò la contro-proposta di allestire una mostra personale a Macerata, avendo considerato l’opportunità di far meglio conoscere il suo linguaggio artistico nelle zone in cui era diffuso il “Resto del Carlino”, giornale con il quale collaborava da tempo come vignettista.

 

Il pittore colorista

Ambiva farsi apprezzare per le sue qualità di pittore colorista, epigono di certe correnti post-macchiaiole, artista “serio” dunque, che – potemmo poi constatare – sapeva imprimere ai suoi ritratti un fremito di amaro sarcasmo o di rassegnata accettazione dei fatti della vita. I paesaggi, le marine imbronciate e ventose, sotto le folate del libeccio, in bilico tra il figurativo, l’espressionistico e il surreale” contrastavano e nel contempo si accompagnavano per intensità tonali e ricerca di cromatismi alle figure di “poveri-cristi” fiaccati dalla incombente ineluttabilità delle cose terrene.

 

La Biennale dell’Umorismo a Tolentino

Un illustre critico così si esprimeva nei riguardi di Fremura: Non so più cosa dire di te, dovrei dire che sei un affermato pittore e uno dei massimi caricaturisti-disegnatori-castigamatti d’Europa e che l’umorismo, attraverso le tue matite, diventa una cosa tremendamente seria…”. In quell’anno (1975) la “Biennale dell’umorismo nell’arte” manifestazione  del Comune di Tolentino, dedicò al nostro una retrospettiva di cartoon e strisce.

 

La mostra a Macerata e il commento “interessato”

Macerata, grazie all’interessamento del sottoscritto e all’aiuto incondizionato del compianto Virgì Bonifazi, che già conosceva il collega, allestì in contemporanea nelle sale della Pinacoteca Comunale una mostra del Fremura pittore, altrettanto valido, come si diceva, sotto questo aspetto, senza dubbio più  impegnativo che non quello del disegnatore di satira. Dall’Amministrazione Comunale ottenemmo il patrocinio, anche se qualcuno dell’assessorato alla Cultura, prima di concedere tale facilitazione, volle assicurarsi sul valore di mercato dell’artista, esprimendosi poi con una considerazione del genere: “Se lu quatru che quissu ce lassa vale su lu menzu milió’, anche se c’è da spènne pe’ li manifesti e l’inviti, ‘checcosa ce guadagnimo sempre…”. No comment.

La consorte

Alberto era sceso nelle Marche in compagnia della bella consorte, donna dolce e affascinante, dal portamento armonioso ed elegante, e una lunga cascata di capelli che le arrivavano in vita; ella cercava spesso di supplire alla conversazione scarna e riservata del pittore dicendo di lui, con malcelato orgoglio ed ammirazione: “Alberto non è un gran conversatore e preferisce esprimersi con le matite…”. E paradossalmente, con le sole parole, pareva delineare un esatto profilo del marito, evitando i toni della forzatura caricaturale.

Eppure Fremura, specializzato nell’esasperare i tratti del prossimo, sarebbe stato un soggetto facilmente ritraibile, con un viso particolarmente caratterizzato, dagli occhi piccoli e furbi incorniciati dalle invisibili lenti di un pince-nez e l’eterno sigaretto (ovviamente toscano) sepolto tra i cespugli di due folti baffoni.

 

La visita alla città

Visitammo insieme gli angoli e i palazzi più rappresentativi della città. Alberto non faceva che decantare, a suo modo, il colore rossastro del laterizio delle costruzioni del centro storico. Ammirò i soffitti e gli affreschi di Palazzo Buonaccorsi e, all’uscita, rimase colpito, fra l’altro, dal racconto della tragica fine del vescovo Cassulo. Percorrendo il corso della Repubblica non mancò di soffermarsi incuriosito dinanzi a una bacheca (posta in fondo al Corso della Repubblica, di fianco all’ingresso dell’allora Galleria Sensini, oggi boutique di moda femminile) nella quale un cittadino maceratese, monarchico fuori del tempo, era solito esprimere il  pensiero e le opinioni dell’uomo della strada in uno stile prolisso e aulico, tutto suo. Fremura ci sorrise su – da ironico censore – e disse che i “punti esclamativi” del seguace dei Savoia erano forse gli unici, in tutta Italia, a resistere alla usura e alle mode correnti.

 

La cena pantagruelica

In compagnia degli amici redattori del “Carlino” andammo a mangiare in un locale tipico della zona. Una cena pantagruelica, fatta di poche, abbondanti ma gustosissime portate, che avrebbero causato qualche conseguenza per lo stomaco, se il gestore del locale non ci avesse ammannito, a fine pasto, nelle caratteristiche brocchette di coccio, un vino brulé bollente agli aromi di cannella e buccia di limone. Toccasana incredibile e dirompente che Alberto Fremura ricordò per lungo tempo, oltre alla bontà del cibo marchigiano, nelle lettere che periodicamente ci scambiavamo.

 

L’incontro con Cesare Peruzzi

Nel giro di pochi anni riuscimmo a organizzare due mostre a Macerata, con un incredibile successo di pubblico e di vendite, e una incursione a Recanati, dove Alberto ebbe occasione di conoscere Cesare Peruzzi, artista già avanti con l’età, cosa che non gli impediva di sedere davanti al cavalletto dalle cinque del mattino – diceva – a lavorare indefessamente finché ci fosse luce. Fu un incontro straordinario, soprattutto per la verve dell’anziano pittore locale e l’atteggiamento di ossequioso rispetto da parte di Alberto, lusingato per l’accoglienza e la cordialità del pittore recanatese e stupito di trovarsi dinanzi a un maestro capace di operare nel campo dell’arte da più di mezzo secolo con lo stesso impegno e l’entusiasmo di un principiante.

 

La “gara” con il pittore Mariano Imperatori

Poi arrivammo anche a Porto San Giorgio, dove operava il pittore Mariano Imperatori e qui, tra una battuta e l’altra,  gli artisti si cimentarono nel ritrarsi a vicenda; feci anch’io da modello, con risultati disastrosi per l’uno e accettabili per l’altro. La serata finì con una cordialissima e succulenta cena a base di pesce in un  locale della località rivierasca.

 

La perdita dell’amata moglie

Poi, nello stesso inspiegabile modo in cui era iniziato, lo scambio di lettere bruscamente cessò. Telefonai a Livorno e, dopo un paio di tentativi andati a vuoto, seppi da una voce femminile che si qualificò come quella della segretaria, che Fremura era molto spesso assente per nuovi programmi di lavoro: aveva in parte abbandonato l’impegno quotidiano e stressante della vignettistica (collaborava contemporaneamente con tre testate di giornali) e si era dedicato alla illustrazione di libri d’autore, occupazione meno pesante e sicuramente più redditizia. I comuni amici della redazione del “Carlino” mi dissero poi che la famiglia dell’umorista era stata colpita da una repentina quanto impensabile tragedia. La bella signora Fremura, dal passo elastico e dalle lunghe chiome castane, già in stato interessante quando era venuta a Macerata per la seconda mostra, era deceduta in una clinica specialistica di Pisa per una inspiegabile emorragia nel dare alla luce una bambina, nata peraltro con gravi problemi funzionali. La piccola era sopravvissuta al parto.

 

La sofferenza di un uomo

Uno strappo così doloroso avrebbe fiaccato chiunque. Faccio fatica a pensare alla sofferenza di un uomo che ha, come principale occupazione, quella di far sorridere la gente, per di più divertendosi. Come si può continuare, con un simile angoscioso tarlo, a mantenere la stessa capacità di concentrazione e la serenità di sempre? Forse anche per questo – riflettevo – Fremura avrà preferito tagliare di netto ogni rapporto con la nostra città e gli amici, nel tentativo di cancellare dalla mente un periodo senza dubbio spensierato e felice, trascorso quaggiù in compagnia della signora e delle due figlie avute in precedenza. Sarebbe stato un continuo riacutizzare una ferita che difficilmente, ancor oggi, ne sono convinto, stenta a rimarginare del tutto!

 

L’incontro a Montelupone

Di lui conservo, oltre il ricordo vivo e sorridente, un mio ritratto caricaturale particolarmente riuscito, una splendida natura morta dai toni caldi e sommessi e una china originale, in cui un impiegato dalle mezze maniche si libra in volo al di sopra della scrivania, nel vano sforzo di afferrare una busta dello stipendio che va facendosi sempre più leggera, quasi una piuma. L’ho rivisto, in anni recenti a Montelupone, in occasione del conferimento da parte di quell’Amministrazione comunale, del Premio alla carriera nel nome del nostro conterraneo Galantara. Pur nell’evidente scambievole piacere dell’incontro, mi è parso di cogliere, tra il fumo leggero dell’eterno sigaro, un lampo di malcelata malinconia.

Goffredo Giachini

15 gennaio 2020

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