Lo sentii parlare d’arte per la prima volta a un Premio Scipione, alla metà degli anni sessanta. Conversava con altri artisti suoi amici, alcuni partecipanti. Mi colpì la serietà con cui s’esprimeva, spiegando una sua scultura, uno dei suoi “tarli”. Si capiva che parlava di cose importanti, importanti nella sua vita. Avrebbe potuto discutere con la stessa serietà di fatti che avevano formato altre pagine della sua storia: la guerra d’Africa, a cui aveva partecipato negli anni trenta, la sua famiglia e il suo padre considerato “padrone”, e l’inaspettato dono di una bicicletta, o l’arrendevolezza di sua madre, sempre umile e accomodante; il suo modo di trattare il legno, i tipi di sgorbie usate, la qualità di legni africani o nazionali; l’arte in generale, quella che aveva conosciuto personalmente, la situazione italiana e quella internazionale, con semplicità, mescolando il suo sapere di artigiano e l’elevatezza artistica del suo pensiero nell’ideare e nel realizzare forme: antesignano nel design, oltre che scultore! Ne restai attratto. Mi piacquero subito la sua onestà e la sua modestia.
Lucio Del Gobbo
28 dicembre 2019