Indro Montanelli, negli anni 90 del secolo scorso, dichiarò: “Un Paese che ignora il proprio Ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un Domani”. Questa convinzione fu il frutto dell’insegnamento impartitogli da Ugo Ojetti: “Ma tu non hai ancora capito che l’Italia è un Paese di contemporanei, senza antenati né posteri; perché senza memoria”. Con il passare del tempo si convinse che Ojetti aveva assolutamente ragione: l’Italia “è un Paese che non ama la Storia… ha una storia straordinaria, ma non la studia, non la sa. È un Paese assolutamente ignaro di se stesso”.
A Montanelli va dato il merito di aver divulgato la storia d’Italia “in maniera più semplice e cordiale, in uno stile più piano e facilmente accettabile…”, senza l’indisponente pedanteria degli storici di professione. Va però anche ricordato che quel grande giornalista, nelle decine di volumi delle Storie d’Italia non fa riferimento alle civiltà Italiche preromane. Nella Storia di Roma un solo e breve capitolo è dedicato ai “Poveri Etruschi”. Ma non è colpa di Montanelli se, per la quasi totalità degli italiani, le nostre antichità sono solo Romane o Etrusche.
I “paletti” contro la conoscenza
Caro Indro, posso assicurarti che per approfondire lo studio della Storia, occorrono molta costanza e una pazienza certosina:
1 – i reperti sono numerosi, la maggior parte di essi, celati al pubblico, sono accantonati nei magazzini dei musei dove, “a volte”, vengono smarriti;
2 – i luoghi del rinvenimento sono molto lontani dai nobili musei, rendendo improbabile la contestualizzazione;
3 – mancano guide illustrative, di facile comprensione per gli inesperti; se hai la spudoratezza di chiederne copia ti commiserano: “questo è un museo non è una libreria”.
Consultare i volumi antichi
Non resta altro che cercare informazioni sui libri antichi, in particolare da autori del 1600/1700, meno spocchiosi e meno condizionati dal potere politico e accademico. Ci sono anche rare, rarissime eccezioni. Il giorno 8 novembre 2018, ho acquistato la “Guida illustrata del Museo di Ancona – Innocenzo Dell’Osso – 1905”. Chiara, semplice, è completa l’illustrazione dell’etnologia dei Piceni, dove si descrive gli stretti rapporti con i popoli Preellenici. La cosa mi ha confortato perché in vari precedenti articoli apparsi su La rucola e su www.larucola.org avevo supposto scambi commerciali e culturali tra Piceni e Pelasgi (civiltà preellenica).
I 500 reperti di Montegiorgio finiti in Germania
Più recentemente ho potuto consultare a lungo “Peter Ettel / Alessandro Naso – Montegiorgio Die Sammlung Compagnoni Natali in Jena – Universitad Jena 2006”. In questo volume eccezionale, scritto in tedesco e in italiano, è descritta la storia dei 500 reperti, rinvenuti (in 49 tombe tra la fine del 1880 e i primissimi anni del 1900) nel comune di Montegiorgio (FM) da Giambattista Compagnoni Natale. Questo nobile e dimenticato personaggio, già sindaco di Montegiorgio, nella sua tarda età (in difficoltà economiche) fu costretto a privarsi della sua collezione.
Propose l’acquisto agli enti museali italiani, i quali considerando i reperti di scarsa importanza, respinsero l’offerta e autorizzarono la vendita all’estero.
Il dr. Otto Scott li acquistò e ne fece dono alla città di Jena1. Per la storia e per la conoscenza dei Piceni fu una grande fortuna. I 500 reperti sono tutti “reperibili” e nel catalogo di cui sopra sono tutti descritti e riprodotti in scala, nelle 73 tabelle a piena pagina.
La spada tipo “Montegiorgio”
In questa trattazione sembra utile attenzionare la “tomba 22”, in particolare il reperto 8062, secondo la classificazione redatta nel 1902 dallo stesso Compagnoni: Spada in bronzo, a sezione romboidale, schiacciata, punta e lame affilate. Sulla lama sono evidenti due linee doppie. La lunghezza è da valutarsi di poco superiore ai 44 cm, impugnatura compresa. Questa spada in bronzo, è universalmente nota come “tipo Montegiorgio”; di spade simili, nell’antico Piceno e non solo, sembra ce siano almeno una decina. Non si può essere più precisi perché la documentazione è difficoltosa e perché spesso “i diritti sono riservati” (viva la cultura e il diritto di informarsi e di essere informati!).
La datazione della spada di bronzo di Codroipo
Sono riuscito a trovare la spada di Codroipo (UD) – (Patrimonio Culturale Friuli Venezia Giulia. Scheda… Id Scheda 1025) – “oggetto: spada – bronzo/ fusione/ martellatura – Ambito culturale: Bronzo recente dell’Italia nordorientale – Datazione: Età del Bronzo recente (1350 a.C. – 1200 a.C.) – Luogo di provenienza: Codroipo (UD), Rividischia. – Luogo di conservazione: Museo archeologico di Codroipo. Esauriente la descrizione dell’oggetto: “…, la lama, a lati sub rettilinei convergenti, sezione romboidale, decorata lungo i margini da due sottili scanalature congiungentisi presso l’estremità, può essere accostata ai tipi Montegiorgio (Bronzo medio tardo – Bronzo recente iniziale), Cetona (Bronzo recente), Allerona (Bronzo recente – Bronzo finale iniziale) della Bianco Peroni (1970)…”. Dal 19° secolo si conviene che per indicare le età del Rame (o eneolitica o calcolitica, si sia tra il 3500-2300 a.C.
I periodi dell’Età del Bronzo e la “discrasìa temporale” per le armi picene
Nell’ambito dell’Età del Bronzo si possono distinguere i periodi antico (2300-1700 a.C.), medio (1700-1350 a.C.), recente (1350-1200 a.C.) e finale (1200-700 a.C.); per la cronologia italiana l’Età del Bronzo cessa intorno al 1000 a.C., per quella egea intorno al 1100 a. C. (da enciclopediaTreccani). Per cui la spada di Montegiorgio, la più antica, andrebbe correttamente datata intorno al 1350 a.C. (se non prima), anche se quasi tutti gli “storici” sostengono che i Bronzi Piceni siano collocabili nel Piceno IV/VI (modo dotto per dire 500/268 a.C. – quasi un millennio di differenza!), quando già Roma spadroneggiava da tempo. Tutti convengono che i Piceni erano grandi guerrieri e/o mercenari di professione. Per combattere, vincere e sopravvivere è indispensabile disporre di armi efficienti: la guerra è una cosa seria. Non è ipotizzabile che i Piceni fossero così scemi da utilizzare spade di bronzo meno efficaci e più pesanti di quelle di acciaio. Sarebbe stato come se ai nostri giorni, qualcuno pensasse di utilizzare gli archibugi contro missili e carri armati. Il professor Alessandro Naso va considerato come il più profondo conoscitore dei Piceni, a lui dobbiamo l’immagine e la didascalia “nel corso del tempo le componenti dell’armamento vennero costantemente modificate nel Piceno, che possiede la più vasta gamma di armi dell’intera penisola italica in epoca preromana”.
Il Gladio Romano
Dai numerosissimi reperti piceni rinvenuti si deve convenire con il professor Alessandro Naso. La struttura e la lunghezza della Spada in bronzo “tipo Montegiorgio” sono sovrapponibili a quelle del gladio romano; probabilmente fu il frutto del progresso tecnologico, messo in atto da evoluti artigiani o da una primordiale industria bellica (nihil sub sole novum). Per gladio si intende una spada a lama larga e corta, a doppio taglio e punta tagliente, con la guardia appena accennata. Secondo alcuni avrebbe origine dalla spada corta usata dai Sanniti e dagli Iberici. Secondo una leggenda Scipione l’Africano, durante la campagna in Spagna, dopo aver conquistato Carthago Nova (Cartagena) in cambio della salvezza della città chiese ai fabbri, famosi in tutta l’Hiberia2, di costruirgli 100.000 gladii per equipaggiare le sue legioni (noti poi come gladii hispanici)”. Questa descrizione non sembra appropriata: Scipione Africano (236 a.C. – 183 a. C.) vive un millennio dopo la fabbricazione del “tipo Montegiorgio”.
Oggi “Gladio”… è un’altra cosa
Non si hanno descrizioni delle spade sannitiche e i gladi Ispanici erano più lunghi di quelli classici. La loro lunghezza (intorno ai 75 cm) li rendeva più pesanti, sbilanciati, difficili a manovrarsi, più complicati a sfoderarsi in caso di necessità e poco adatti al trasporto nelle lunghe marce. Il gladio doveva essere robusto, piccolo e leggero, gli antichi Romani preferivano il corpo a corpo, serrati e protetti dagli scudi: una spada lunga non procurava vantaggi. Una certa importanza in età imperiale raggiunse il tipo “Magonza” più robusto, con lame intorno ai 45 cm, e il gladio era oltretutto una delle armi più usate nei combattimenti-spettacolo organizzati negli anfiteatri. I duellanti presero quindi dalla loro arma più comune il celeberrimo nome di gladiatori. Nello stesso periodo era in auge anche il “tipo Pompei” più bilanciato, più corto, da 42 cm a 55 cm, meno pesante. Tranquilli, se sulla rete digitate “Gladio” in dizionario storico – Treccani – vedrete apparire “Gladio Denominazione con cui è nota un’organizzazione militare segreta italiana, collegata con una struttura (chiamata Stay behind) alla quale partecipavano Paesi del blocco occidentale, e operante a partire dal secondo dopoguerra”. Il mercato si adegua, si adegua sempre: la maggior parte degli utenti non vogliono ricordare che il gladio fu quell’arma (forse di origine Picena) che consentì ai Romani di conquistare il mondo; ma ricordano di aver visto il gladiatore (film).
Caro Indro e caro Ugo debbo darvi ragione.
Nota 1 – Jena Città della Germania (102.752 ab. nel 2007), nel Land della Turingia, 70 km circa a SO di Lipsia, a 157 m s.l.m. sul fiume Saale. Importante centro industriale attivo nei settori chimico, farmaceutico, poligrafico, del legno e del vetro, è conosciuta per gli strumenti ottici e di precisione delle fabbriche Zeiss (Treccani).
Nota 2 – molti sostengono che gli Hiberici siano originati dai liguri: “coincidenze” tra essi vissero a lungo i salassi (salii), resistettero anni alle legioni romane, si espansero in tutta la Provenza, fondarono città (Saluzzo, Vercelli, Pollentia -attuale Pollenzo e, coincidenza, Pollença esiste ancora nelle Baleari)… pure queste sono fortuite coincidenze?
https://www.larucola.org/2017/04/15/salii-in-provenza-nel-ii-secolo-a-c/
Nazzareno Graziosi
19 dicembre 2019