La Real Nave Calabria e l’eruzione in Martinica – 2^ puntata

Pubblichiamo le seconda puntata della vicenda narrata nel suo diario (documento unico, scritto a mano) dal comandante della Real Nave Calabria, Francesco Castiglia, riguardante la terribile eruzione nella Martinica descritta con dovizia di particolari (la prima puntata:

https://www.larucola.org/2019/11/06/la-real-nave-calabria-e-leruzione-in-martinica-1-puntata/).

 

2^ puntata

L’acqua del lago presentava l’aspetto del piombo fuso o del mercurio. Dal cratere del vulcano, che si ergeva lateralmente al bacino, a larghi fiocchi usciva denso fumo mentre ben distintamente si udiva il movimento tumultuoso di un liquido in ebollizione e una cascata d’acqua dai bordi del cratere si riversava nel lago. La temperatura dell’acqua di quest’ultima era di 37° mentre più in basso, dai fianchi della montagna, scaturivano delle sorgenti di acqua calda. Da osservazione fatta risultò che l’acqua del lago, chiusa in una bottiglia, depose una polvere impalpabile di un colore di ardesia simile alla piombagine e si constatò la presenza di gas specialmente solforosi e solfidrici. Sturando la bottiglia il tappo era spinto con forza. Si osservò che il livello del lago, malgrado la quantità di acqua che vi si rovesciava dal cratere, non aumentava mentre erasi constatato un aumento nel corso della Riviere Blanche e si concluse da ciò che questa doveva essere in sotterranea comunicazione col fondo del lago. Nessuna traccia di lava o di lapilli fu ritrovata. Nei giorni successivi la colonna di fumo, di vapori e di cenere si elevò progressivamente fino a 1000 metri allargandosi fino a circa 100 metri di diametro e ricadendo poscia al suolo in polvere finissima esalando leggiera emanazione solforosa, dopo essere rimasta sospesa nell’atmosfera in balia dei venti, delle regioni superiori. I numerosi corsi d’acqua della costa trascinavano nel loro corso un liquido nerastro e ad intervalli scrosci di pioggia fangosa cadevano al suolo crepitando in grani sferici formati dall’agglomerarsi della polvere col vapore acqueo. Nella notte il cratere si illuminava di luce rossastra e ad intervalli lingue di fuoco ne uscivano arrossando le nubi compatte, dei lampi solcavano il cielo nella notte oscura mentre il tuono rumoreggiava lontano. Però nessuna violenta trepidazione del suolo accompagnava queste manifestazioni vulcaniche, tranne qualche leggiera ondulazione orizzontale avvenuta la mattina del 30 aprile. Nella notte dal 2 al 3 maggio la pioggia di cenere si fece assai più intensa avvolgendo S. Pierre in un largo e spesso mantello che, giorno fatto, non permetteva di vedere oltre 10 metri. Il vento soffiava a refoli violenti facendo cadere dagli alberi goccie solide di polvera nera simile alle prime goccie di pioggia, mentre dal vulcano profondi rumoreggiamenti si udivano e di quando in quando forti detonazioni dell’eruzione. Questi sintomi minacciati gettarono lo spavento fra gli abitanti delle borgate e nella popolazione di S. Pierre, mentre numerosi fuggiaschi dalle campagne e dai borghi vicini affluirono alla città per cercarvi un rifugio. La mattina del 5 maggio, poco dopo il mezzogiorno, una massa enorme di acqua bollente, di ceneri e di fango si abbatté con urto formidabile, trascinando nel suo vertiginoso cammino tutti gli ostacoli che incontrava, sopra lo stabilimento Guerin (grande raffineria di zucchero a circa 2000 metri dalla estremità N. W. della città) situato fra i due piccoli fiumi Riviere Blanche e Riviere Seche, ed in meno che non si dica tutta quella vasta officina ed i fiumi stessi furono sepolti sotto la mostruosa valanga ridotta un immenso campo di fango fumante. Due piccoli yacht, il “Carbot” ed il “Préscheur”, quest’ultimo ancorato a circa 150 metri al largo, furono affondati. Secondo il professore Landed del liceo di S. Pierre il fenomeno accaduto è unico nella storia dei vulcani perché, pur essendo vero che le lave fangose si producono con grande rapidità, riteneva che la catastrofe era piuttosto dovuta ad una valanga che ad un corso di lava fangosa. Secondo lui il contenuto dell’Estang Sec si era rovesciato da circa 700 metri di altezza nella vallata sottostante. É degno di nota il fatto che fino dalla sera precedente la corrente della Riviere Blanche si era fatta più forte ed al mattino del 5 era divenuta impetuosa trascinando seco alberi e blocchi di sasso raggiungendo un livello che destava seria apprensione per la sicurezza dello stabilimento. Il panico prodotto da questo disastro, che disgraziatamente non doveva essere che un incidente senza importanza, fu immenso nelle popolazioni delle borgate del Précheur, S.te Philoméne, Pavillot, Morne, St. Martin, Riviére Blanche etc fino a S. Pierre e torme di fuggitivi si rovesciarono sulla città ove gli abitanti veduto l’immenso fumo biancastro che si elevava dalla località colpita avevano già affollate le strade e le piazze ed in preda allo spavento fuggiva d’ogni lato per raggiungere le alture. Il Governatore della colonia, signor Mouttet, informato telegraficamente dell’accaduto si rese subito a S. Pierre ed al Précheur e la sua presenza valse a rianimare quelle popolazioni ed a far ritornare un po’ di calma e di coraggio. Oltre allo straripamento della Riviére Blanche si ebbero anche nello stesso giorno e nei successivi quelli del Précheur, del Péres, della Roxelane (che attraversava S. Pierre) della Grande Riviére, della Basse Pointe e della Capot; quest’ultime tre sul lato N. E. dell’isola, tutti più o meno trascinanti nelle acque nerastre grande quantità di bambous, alberi e grossi massi di pietra. All’imboccatura di tutti questi fiumi si è constatata una grande quantità di pesci morti. Malgrado (fortunatamente!) gli sforzi fatti dal Sindaco di S. Pierre, dal Governatore signor Mouttet e da altri personaggi che cercavano di infondere la tranquillità nello spirito della cittadinanza, l’emigrazione di S. Pierre, iniziata già da parecchi giorni, si fece, dopo la distruzione dell’Usine Guerin, con febbrile intensità: ma purtroppo se molti furono quelli che abbandonarono la città non furono meno quelli che vi si rifugiarono dalla campagna e dai paesi circonvicini. La mattina del 6 il signor Mouttet nominò una commissione scientifica per studiare i caratteri dell’eruzione vulcanica della montagna Pelée. La commissione, riunitasi d’urgenza, dopo l’esame dei fatti constatati successivamente dal principio dell’eruzione venne alle seguenti conclusioni che, per ironia della sorte, furono pubblicate la mattina stessa della tremenda catastrofe: 1° – Che i fenomeni fino a quel giorno verificati non avevano nulla di anormale e che anzi erano identici a quelli osservati in tutti gli altri vulcani. 2°- Che i crateri del vulcano essendo assai larghi l’espansione dei vapori e del fango doveva continuare, come si era fin allora prodotta, senza provocare dei terremoti né delle proiezioni di masse rocciose. 3°- Che le numerose detonazioni che si sentivano erano prodotte da esplosioni di vapori localizzati nel cono del vulcano e che esse non erano dovute a frane interne. 4°- Che le coulées di fango e di acqua bollente erano localizzate nella vallata della Riviére Blanche. 5°- Che la posizione relativa dei crateri e delle vallate dirette verso mare permetteva di affermare che la sicurezza di S. Pierre non era minacciata. 6°- Che le acque nerastre trascinate dalla corrente dei corsi d’acqua di Peres, di Basse Pointe e del Precheur serbavano la loro temperatura ordinaria e che il loro colore era dovuto alle ceneri che trasportavano. Durante il giorno e la sera del 7 il Governatore fu ripetutamente chiamato al telefono dal Sindaco di S. Pierre che l’informava che minacciose detonazioni si udivano dal lato della montagna Pelée, che il fiume Roselane, che attraversava la città, straripava trascinando delle acque nerastre, che tutti i negozi si chiudevano, che il panico era immenso e che temeva un tumulto popolare per la difficoltà della distribuzione degli alimenti e domandava perciò un invio di truppa per rinforzare la polizia. Il Governatore, ravvisando in queste notizie i segni di un turbamento non giustificato dalle circostanze, rispose che si sarebbe subito recato a S. Pierre con sua moglie, col colonnello Gerbault, presidente della commissione scientifica anzidetta, con la signora Gerbault e col signor Husson consigliere privato. Questa prova di tranquillità e di benevolenza ricondusse la calma nella città. Ma durante l’intera notte gli animi della cittadinanza furono ben lungi dalla quiete. La montagna Pelée coi suoi continui boati, simili al rumoreggiare lontano del tuono, tenne tutti desti in angosciosa attesa dei primi albori, che purtroppo dovevano essere gli ultimi che si offrivano alla vista di quei miseri. Spuntò finalmente il giorno, che era quello dell’Ascensione, il sole illuminò la città, mentre al Nord il vulcano continuava a gettare colonne di fumo che il vento trasportava all’Ovest oscurando il cielo in quella direzione. Fra le sei e mezzo e le sette altre colonne di fumo pregne di vapori biancastri, lanosi, furono lanciate al cielo dalla sommità della montagna. Un panico generale invase allora la città intera e tutta la popolazione si riversò per le strade e per le piazze. Alle 7.55 un formidabile boato si udì e dal fianco della montagna come se uscisse da una mostruosa squarciatura, dall’alto al basso di essa, si vide, avvolta da immensa nube di fumo nero impenetrabile, una massa gigantesca, informe, imprecisa, che con fulminea rapidità e inconcepibile violenza venne ad abbattersi ruggendo sulla vallata, ingoiando con orribile esplosione e seppellendo sotto le ruine S. Pierre tutta intiera, da St. Philomene alla Petite Hance du Corbet! Le navi ancorate nella rada avvolte anch’esse dalla sterminatrice tormenta, con scricchiolio sinistro dello scafo si sollevarono sulle ancore ed affondarono bruscamente le une con la prua le altre con la poppa, mentre gli alberi ed i fumaioli abbattuti e divelti erano strappati in uno alle frantumate soprastrutture. Solamente 4 di esse, di cui due a vapore, ma con l’incendio a bordo, poterono resistere all’urto, ma dei loro equipaggi fulminati dai gas asfissianti o carbonizzati non sopravvissero che pochi uomini, che furono salvi per miracolo, per essersi precipitati nelle stive o in mare prima che la meteora li raggiungesse. Si assicura che cinque uomini della goletta “Gabrielle” che dovettero la vita all’essersi precipitati in mare, ebbero il corpo scottato dal calore dell’acqua.

continua

Simonetta Borgiani

S. Pierre prima della eruzione del monte Pelée
S. Pierre dopo l’eruzione
Rue Victor Hugo prima e dopo l’eruzione

 

S. Pierre piazza “Du mouillage” (dell’ormeggio)

16 dicembre 2019

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