Ceriscioli continua imperterrito a distruggere quella che era la sanità diffusa nelle Marche, nonostante gli arrivino messaggi da più parti per i disagi, pesanti, che stanno patendo gli utenti. Il modello che si sta applicando a viva forza nelle Marche in Toscana è presente da tempo. Con quali risultati? Davvero pessimi! Leggete con attenzione questo articolo che ne fa una disamina limpida, precisa e circostanziata.
La “medicina territoriale”
Report, analisi ed articoli come quelli di cui ai link* sotto indicati, che affrontano tematiche e problematiche della sanità toscana, confermano il totale e grave fallimento nell’implementazione del modello di organizzazione della rete sanitaria basato sulla cosiddetta “medicina territoriale” di cui proprio la Toscana è stata regione capofila; un modello solo teoricamente incentrato su “chronical care”, aggregazioni funzionali territoriali, “bed manager”, ma che in effetti finisce per gravitare e gravare ancora una volta sui Pronto Soccorso.
Pronto Soccorso che diventano gli unici spiragli di finestra ancora aperti, attraverso cui il cittadino seppur a fatica può sperare di entrare all’interno degli ermetici meccanismi dell’assistenza sanitaria ospedaliera, le cui porte principali risultano sempre più spesso chiuse e respingenti.
Più dirigenti meno figure professionali operative
L’esperienza evidenzia la necessità di interrompere il processo già avviato nella nostra regione di ridefinizione del sistema sanitario orientato proprio lungo quelle medesime direttrici e di invertire la rotta sulla riorganizzazione delle strutture ospedaliere in case della salute, aggregazioni funzionali e medicina territoriale, che altrove appunto si è rivelata fallimentare e ha creato disfunzioni al sistema al momento non arginate né facili da correggere.
Effetti negativi di carattere funzionale ma anche economico, perché paradossalmente questo modello originariamente ispirato ai principi di efficienza e razionalizzazione, comporta in effetti, come evidente sia in Toscana dove l’implementazione è in fase molto avanzata sia nelle altre regioni che seguono a ruota tra cui le Marche, degli aggravi di costi dovuti alla moltiplicazione di figure dirigenziali, a fronte di una carenza invece di figure professionali operative.
Aumenta la spesa pubblica e aumentano i costi per i cittadini
Aumento per numero di unità e per importo delle voci di conto economico del personale dirigente per quanto concerne la spesa pubblica ed aumento di costi in carico ai cittadini utenti per quanto riguarda la spesa privata, la cui maggior incidenza va ravvisata soprattutto nei più frequenti e più lunghi spostamenti da intraprendere per visite mediche, esami, ricoveri, prestazioni, che in passato erano erogati più diffusamente sul territorio attraverso gli ospedali di polo e di rete ora declassati a Case della Salute e privati di moltissime di queste funzionalità.
Le cause dell’affollamento dei Pronto Soccorso
Le conseguenze funzionali più gravi, in ogni caso, riguardano l’affollamento dei Pronto Soccorso, fenomeno troppo spesso liquidato come conseguenza di un eccessivo e improprio ricorso a tale servizio di emergenza-urgenza da parte dei cittadini. In realtà, a ben vedere, il sovraffollamento è dovuto alla diminuzione dei Pronto Soccorso e Punti di Pronto Intervento sul territorio, alla chiusura degli ospedali, che fungevano da filtro per moltissime situazioni di urgenza non grave, e alla loro trasformazione in case della salute, sprovviste di tale funzione e inidonee a rispondere alle esigenze anche minime di pronto intervento.
I pazienti “rimpallati”
Assistiamo sovente al rimpallo del paziente da una struttura all’altra, dall’ex ospedale più vicino diventato intanto casa della salute (a cui il cittadino continua all’occorrenza a rivolgersi, spesso ignaro di tale declassamento e trasformazione, pensando di trovarvi almeno un Punto di Pronto Intervento) all’ospedale di rete, e spesso poi da questo al servizio distrettuale sul territorio per il proseguo e il continuum assistenziale cessata la fase acuta dell’urgenza. Ne consegue che da un lato un numero maggiore di casistiche di emergenza-urgenza si concentra su un numero molto inferiore di strutture ospedaliere rispetto al passato, dall’altro la presunta auspicata continuità assistenziale svolta sul territorio dai distretti e conseguenzadella precisa e dichiarata volontà di ridurre il tasso di ospedalizzazione (ex legge Balduzzi/2012 e D.M. 70/2015 Balduzzi-Lorenzin), pecca di mancanza di visione d’insieme del quadro clinico del paziente che, appunto, è stato precedentemente trattato da altri e altrove, con gravi rischi di ricadute, complicanze, strascichi imprevisti. Come recentemente dichiarato anche dall’Anaao**, infatti, è proprio tra i codici bianchi e verdi che spesso si annidano i casi clinici più delicati ed il maggior numero di contenziosi tra cittadini e Sanità pubblica.
Secondo la legge Balduzzi i Pronto Soccorso dei piccoli ospedali sono inutili
Ciò dovrebbe far riflettere sulla preoccupante prospettiva che prende sempre più corpo nelle linee programmatiche adottate dalla politica sanitaria regionale delle Marche, come di altre regioni, di affidare la gestione di tali casi alla medicina territoriale e a figure professionali di più bassa specializzazione, i cui meccanismi organizzativi, di coordinamento e di responsabilità, oltretutto, sono ancora tutti da chiarire. La narrazione indotta dalle logiche introdotte dalla legge Balduzzi secondo cui i Pronto Soccorso nei piccoli ospedali sono inutili e pericolosi, oltre che smentita dalle evidenze numeriche storicamente riscontrabili circa l’incidenza di sinistri nelle grandi e nelle medio-piccole strutture, è difficilmente compatibile con la scelta che va di pari passo, di trasferire la presa in carico di alcuni casi da parte della medicina territoriale che, dati i cui volumi evidentemente ancor più frazionati e più bassi rispetto a quelli di una struttura di emergenza – urgenza, dovrebbe seguendo la medesima logica essere ritenuta potenzialmente più pregiudizievole.
In Italia troppe ospedalizzazioni? No, in Europa sono il doppio!
Al contrario la riapertura degli ospedali di polo risolverebbe i problemi di cui sopra e ci eviterebbe di sperimentare lo spericolato modello di integrazione e interscambiabilità tra medicina intra- ed extra- ospedaliera che vorrebbe i medici ospedalieri pronti a saltar fuori dai reparti e andare a casa del paziente, creando una sovrapposizione di ruoli e mansioni con il medico di base. L’altra asserzione ricorrente da sfatare inerisce l’assunto secondo cui nel nostro Paese gli accessi ospedalieri sarebbero eccessivi e per cui sono stati giustificati negli anni sia l’introduzione del principio di “appropriatezza” sia l’obiettivo dichiarato di crescente “deospedalizzazione”.
In realtà i ricoveri per numero di abitanti sono in Europa mediamente circa un terzo di più di quelli italiani; il doppio nei paesi europei avanzati.
I “posti letto” imposti per legge
Un ribaltamento, questo, dell’equazione assurta a realtà incontrovertibile che per anni ci è stata inculcata, tra benessere e basso di tasso di ospedalizzazione. Ancora una volta il vincolo normativo sui posti letto per abitante e sui volumi minimi necessari per il mantenimento delle unità organizzativa complesse dotate di posti letto, è imposto dal d.m.70/2015 Balduzzi-Lorenzin agli artt.1-2-3-4 che, come in altri casi, diventa presupposto normativo fondato su una ratio legis fallace, che giustifica e legittima poi a livello regionale, scelte e provvedimenti dannosi per i cittadini, i quali non hanno altra scelta che rivolgersi alla sanità privata.
Beatrice Marinelli
Link e riferimenti:
**https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/cronaca/19_agosto_23/medici-gettone-nas-indaga-coop-non-specialisti-a4d9a218-c584-11e9-bc8a-8edfba023e22.shtml?fbclid=IwAR2NHyxB6E3lAZDU4ICv3gLX8DsszeVwjcqghvOWUz5zMa9e-HvNdtSB1KQ
5 novembre 2019