Un omaggio a Raffaele Vanni da chi lo ha conosciuto

Con Vanni, già Segretario Generale della Uil, ci ha lasciato non solo un uomo forte e determinato, ma un pezzo importante della storia, un dirigente sindacale appassionato (in apparenza sembrava una persona fredda) e avveduto.

Ho conosciuto – tanti anni fa, proveniente da una grande palestra politica e di vita: la Fgr (Federazione Giovanile Repubblicana) – Raffaele (affettusamente Lello), quando muovevo i primi passi nella componente repubblicana da lui diretta, e divenimmo subito amici: il suo pragmatismo, una visione mai populista e qualunquista dei problemi veri dei lavoratori e del paese, ogni proposta legata al futuro e al progresso, mi attrassero.

Di lui ricordo la linea improntata alla ricerca di una forma possibile di unità sui problemi concreti dei lavoratori, in fabbrica e nel Paese, che non può non essere l’obiettivo permanente di ogni sindacalista – anche con le difficoltà obiettive che derivavano della cortina di ferro che divideva il mondo in due e che conseguentemente le forze laiche democratiche, occidentali, europeiste diedero vita alla Uil –, e i confronti con Lama della Cgil, Storti e altri della Cisl.

Da sempre era presente in tutti noi della componente che i lavoratori fossero persone libere e non uno strumento per il raggiungimento del potere, e che era più facile migliorare la “condizione” degli stessi in azienda o per ricercare lavoro al vasto mondo dei disoccupati (le fabbriche – licenziando bruscamente i lavoratori -, prima silenziosamente, continuano a “fuggire” all’estero non solo per il minore costo del lavoro, ma per le facilitazioni economiche, la pirateria fiscale,…) investendo nel miglioramento e nella crescita di “tutto” il Paese, tanto è vero che partecipammo convintamente allo sciopero generale del 19 Novembre 1969 per il diritto alla casa, contro l’alto costo della vita, dove si mise la prima pietra per una sanità per tutti, pubblica, gratuita.

L’automia del sindacato (non era accettabile che i partiti imponessero ogni loro idea, mentre i sindacati avevano e hanno il pluralismo al loro interno) dai partiti fu una battaglia che convinse anche i più riottosi tra di noi – quelli maggiormente legati al partito -: poi questa condizione fu

accettata formalmente da Cgil-Cisl-Uil.

Fu importante l’impegno sulla politica dei redditi, di tutti i redditi, in un momento di forte tensione inflazionistica, per difendere i salari degli occupati e ricercare le risorse per dare “lavoro” ai disoccupati (quello di Vanni sui disoccupati era un discorso permanente che rifiuta il sindacato come semplice associazione di difesa degli interessi): questa politica è tipica e una costante di un sindacato Confederale.

La politica dei redditi fu accettata dalla Cgil di Lama che affermò che il salario non era una variabile indipendente (alla fine tutti accettarono questo strumento, ma nei fatti questa politica non fu applicata), comunque  tale scelta è un parente stretto dell’attuale produttività e delle compatibilità economiche.

Nei cosiddetti anni ruggenti (14/10/1980) ci fu la grande marcia dei quadri intermedi (40 mila persone e quadri della Fiat sfilarono per le vie di Torino (oggi una parte è iscritta ai sindacati), ma per noi era un’iniziativa naturale pechè ritenevamo che che i lavoratori dipendenti fossero uguali e ogni differenziazione avvenisse per merito individuale.

Una degli ultimi impegni fu quello della democrazia aziendale e la partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione delle imprese, e poi Vanni andò al lavoro nella categoria di commercio e servizi. Chi viene culturalmente dalla tradizione delle società di Mutuo soccorso, dalle leghe operaie, dalla Settimana Rossa, non può che essere dalla parte degli sfruttati contro gli sfruttatori

Giulio Lattanzi

22 settembre 2019

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