Le epigrafi scomparse dell’antica Pausulae

L’antica città romana di Pausulae situata nei pressi di San Claudio di Corridonia meriterebbe una maggiore attenzione e un’ampia campagna di scavi. L’International Federation of Epigraphic Databases ha censito 34 epigrafi ritrovate a Pausulae; collocate attualmente in diversi luoghi tra Corridonia, San Claudio, Morrovalle, Macerata, Monte San Giusto, Montelupone, Appignano e una nel magazzino della Soprintendenza di Ancona, quattro sembrano effettivamente scomparse e di un paio non è ben chiara la collocazione. Tra quelle scomparse mi ha colpito una in particolare:

Agli Dei Mani di Publius Vettius Modestus. Visse XI anni, X mesi e XII giorni. Vettius Modestus e Memmia Rhodine al figlio carissimo.

L’epigrafe, per l’utilizzo della formula abbreviata “D(is) M(anibus)”, si può collocare in maniera indicativa tra il I e III secolo d.C.. L’iscrizione della lapide ci è pervenuta attraverso il famoso storico, Premio Nobel 1902 per la letteratura, Theodor Mommsen, che nel IX volume  del “Corpus Inscriptionum Latinorum” (1883), dal titolo “Inscriptiones Calabriae, Apulie, Samnii, Sabinorim, Piceni latinae”, trascrive nel capitolo “CXXVII. PAUSULAE (San Claudio prope Mont-Olmo, Hodie Pausula). Tribu Velina”, undici epigrafi attribuibili alla città di Pausulae. Non posso negare che mi ha colpito il cognomen Modestus, non certo raro nel periodo romano, ma trovato proprio a Pausulae mi ha affascinato. Modestus appartiene alla gens Vettia mentre la moglie alla gens Memmia. Della donna non è indicato come di consuetudine il praenomen; del cognomen Rhodine, più comune nella grafia senza “H”, Rodine, si trovano tracce anche in epigrafi della Dalmazia e della Spagna. Altra epigrafe scomparsa, rinvenuta come scrive il Theodor nei lavori di ristrutturazione della Chiesa di San Pietro di Corridonia (metà del XVIII secolo), è quella della liberta Helviae Nymphe.

Helviae Nymphe, liberta di Caius. Visse XXII anni. Il padre Quintus Helvius Suavis.

Il Theodor cita, a proposito di questa lapide, gli storici G. F. Lancelotti (1721-1788), B. Capmartin de Champy (1720-1798), Luigi Lanzi (1732-1810) e Giuseppe Colucci (1752-1809). In effetti il Lanzi in “Delle condizioni e del sito di Pausula, città del Piceno” (1852) scrive che la lapide era nella demolita fabbrica di San Pietro e che quella insigne Collegiata le conserva tuttavia. “Le” poiché era stata rinvenuta un’altra lapide scomparsa con la scritta: “…visse XIIX anni. Il padre pose alla figlia”

Il nome della donna non è più leggibile. Ritornando al Lanzi scrive: si potrebbe anco dal nome d’Elvia congetturare qualcosa de’ tempi di Severo; tanto più che Pausula fu confinante di Ricina, da lui cognominante Elvia. L’ipotesi mi sembra alquanto ardita tanto è che lo stesso Lanzi continua dicendo: ma non si vuol fabbricare, come dicesi, nell’arena. Difficile la datazione delle ultime due lapidi, forse tra I e III secolo come la prima di Modestus. Scrive lo storico Robert Duthoy in un suo libro che il cognomen Suavis denota l’origine greca e l’appartenenza alla classe degli schiavi, come il cognomen Nymphe, di chiara origine greca: siamo quindi davanti a due schiavi greci affrancati. Il fatto che non venga citata la madre lascia presupporre che sia defunta. Queste lapidi affascinano per la loro elegante semplicità che lascia trasparire, anche trattandosi di epitaffi molto comuni, il dolore e l’affetto di chi la pose. Non mi piace dimenticare che queste sono lapidi sepolcrali, e non semplici iscrizioni da studiare. Rappresentano il dolore di chi subì la perdita e il ricordo che vollero lasciare dei loro cari: se dopo tanti secoli leggiamo questi nomi… qualcosa di loro ancora vive.

Modestino Cacciurri

22 settembre 2019

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