La storia – Oggi Pitino è un luogo ricco di suggestioni sia per la felice posizione elevata, che permette una visione totale del territorio, dai monti al mare, sia per la presenza dei ruderi del castello. La posizione difficile da raggiungere e così isolata non deve trarre in inganno perché Pitino è stato abitato fin da epoche remotissime, probabilmente ben prima di quanto testimoniano i reperti archeologici rinvenuti. Per cui, affidandoci ai ritrovamenti ufficiali, possiamo affermare che già fin dal VII secolo a. C. qui viveva un ricchissimo insediamento piceno, uno dei più importanti. Successivamente la popolazione scese a valle (Septempeda) ma quassù ci sono i ruderi di una villa romana, segno che il luogo era ancora frequentato. C’è poi una terza fase in cui a Pitino ritorna una vita più intensa. Infatti i ruderi del castello che oggi i turisti possono ammirare risalgono al periodo medievale, molto probabilmente eretto dal settempedano Marco Petilio per via della posizione strategica di controllo sulla via septempedana, strada che conduceva al litorale adriatico e agli appennini. Tra la fine del 1100 e il 1200 il castello, data la sua rilevanza strategica, fu conteso con le armi da San Severino, Montecchio (Treia), Cingoli, Tolentino e perfino da Camerino. Il castello fu soggetto a varie protezioni fino a quando Federico II lo cedette al Comune di San Severino, che ne conservò la proprietà anche sotto il dominio papale e lo ricostruì nell’impianto che ancora oggi possiamo osservare. Ci fu anche una ultima battaglia a Pitino, e fu quando, nell’estate del 1426, subì un assedio da parte delle truppe pontificie in lotta contro gli Smeducci, che vi tentarono l’estrema difesa della loro signoria.
La storia più recente
Il castello negli ultimi secoli cadde in continuo e forte degrado, tanto che nel 1957, come ultimo danno, crollò pure la già pericolante porta di accesso a causa dei forti venti. Arriviamo così al 1958 anno in cui la Soprintendenza procedette al restauro della torre, e successivamente, negli anni ’70, fece restaurare anche la porta. Pitino è stato sede parrocchiale fino all’anno 1969 quando la parrocchia traslocò ai piedi del castello, in una nuova chiesa. Nel 1974 la Curia diocesana cedette il complesso, troppo costoso da mantenere, alla società Pitino che s’impegnava a conservare la struttura. Nello stesso anno la zona fu vincolata come sito di notevole interesse storico e artistico. Sarà il Comune di San Severino nel 1988 ad acquistare il castello Iniziò l’anno successivo il restauro della ex chiesa parrocchiale a cura della Soprintendenza.
Caratteristiche architettoniche
L’elemento più vistoso è senza dubbio la torre, attualmente alta 23 metri ma in passato elevata almeno di un piano in più. Le mura, delle quali restano solo pochi tratti, si sviluppavano per circa 400 metri e come ingresso resta solo una porta. La piccola chiesa di Sant’Antonio, prossima alla torre, risale al 1400 mentre l’edificio sacro maggiore, dedicato a Santa Maria della Pietà, è stato eretto nel 1700 su una struttura preesistente risalente alla fine del 1200 che era soggetta all’abazia di Sant’Eustachio in Domora (oggi in completo stato di abbandono e ormai fatiscente: un vero peccato!). Come è un vero peccato lo stato in cui versa la chiesa di Santa Maria della Pietà, fuori bella ma dentro completamente devastata, tanto che degli affreschi è rimasta ben poca traccia. Qualche affresco cinquecentesco ancora resta nell’altra chiesa, quella di Sant’Antonio. Entro la fortificazione sono presenti cunicoli sotterranei che collegavano le strutture con la torre.
Curiosando in giro
Fin qui, più o meno, quello che sanno tutti, motivo per cui, scattate un po’ di foto, abbiamo lasciato i resti del castello e ci siamo addentrati a esplorare il territorio circostante, vale a dire la estesa spianata su cui sorgono le vestigia medievali. Le sorprese non sono mancate e tutte testimoniano origini antichissime, più del VI secolo a.C. come comunemente accettato. Dai risultati emersi dagli scavi della necropoli sappiamo che chi abitava qui era ricchissimo e aveva buon gusto, infatti era a Pitino il famoso “uovo di struzzo” che ha girato per i musei di mezzo mondo, come pure bronzetti di squisita fattura, elmi e quanto altro. Persone così ricche potevano accontentarsi di un piccolo spazio come quello occupato oggi dal castello? Crediamo di no e, infatti, un vastissimo perimetro era circondato da muri (muraglie o muri di contenimento? Forse ambedue) le cui evidenze ancora sono presenti, seppure a tratti, e determinano l’ampiezza della zona. Ne sono rimaste poche tracce perché in epoca medievale i “pietroni” sono stati utilizzati per erigere il castello, opportunamente lavorati per dare loro una dimensione più ridotta. Di quelle grandi pietre ne restano ancora molte e testimoniano come i piceni (chiamiamoli così) usassero una tecnica costruttiva assai più vecchia del VI secolo a.C., almeno di un migliaio di anni, simile a quella usata per costruire le mura di Septempeda anche queste realizzate con grosse pietre di arenaria. In un punto panoramico, molto distante dall’odierno castello ci sono i resti di una villa romana. Ancora più in basso, in mezzo a un campo c’è un pozzo e ci è stato riferito che quella zona fino a pochi anni fa è stata molto frequentata da ricercatori armati di cercametalli. Queste persone intorno a quello che oggi è un pozzo hanno rinvenuto moltissime monete di epoca medievale, romana e pure di epoche precedenti, come se questo punto fosse un po’ la “Fontana di Trevi” ante litteram, dove si gettano monetine per poter ritornare. Qui probabilmente c’erano delle acque ritenute sacre e le monete venivano gettate (non nel pozzo ma in una fontana a quel tempo esistente) per ingraziarsi qualche ninfa delle acque.
La locanda del castello
A Pitino non c’è solo storia e paesaggio per cui, dopo aver tanto camminato, ci dirigiamo di nuovo al castello nei cui pressi sorge, accogliente, la “Locanda del Castello” dove siamo accolti da una vecchia e cara conoscenza, il signor Pacifico Fattobene che su queste pagine abbiamo ospitato diverse volte con i suoi scritti e con la recensione dei suoi libri. La locanda dispone sia di una sala esterna che interna e, in questa, con nostra piacevole sorpresa abbiamo trovato appese alle pareti, ben incorniciate, la pagine de “La rucola”. Il ristorante offre una cucina locale, con sapori genuini e gustosi, realizzata usando rigorosamente prodotti fatti in casa come olio, insaccati, vino e formaggi. L’ambiente interno è intimo ma fuori la veduta è straordinaria, dall’alba fino al tramonto e l’aria buona non manca.
Servizio e foto di Fernando Pallocchini
16 settembre 2019