Il commesso a piano terra dalla scrittura un po’… incerta

NAZZARENO – Entrato in servizio all’età di 52 anni suonati per meriti di partito, Nazzareno conservava tutta la sua elasticità fisico mentale, nonché lo scatto immediato (di intelletto e di membra) della sua giovinezza appassita. Grande narratore di barzellette, sciorinava a ogni piè sospinto le sue battute di un umorismo arcaico, fatto di ponderata  saggezza contadina; un’oralità tramandata nei secoli, assistita dalla cantilenante cadenza del Piceno e inficiata da occasionali permanenze fuori confine. Spiritosaggini che facevano ridere soltanto lui… Il Caposezione andava cercando da un pezzo il buon Nazzareno, commesso al pianoterra; sbraitando per telefono, chiedendo in giro. Nessuno ne sapeva niente e Nazzareno non compariva; per cui il superiore sbottò spazientito in un ringhioso: “Ma dove Mad… si è cacciato ‘sto colono rifatto?” – Come per incanto si udì la voce ovattata del ricercato, provenire da lontano,  presumibilmente dai bassifondi dell’archivio: “Dottò, staco quagghiù da menz’ora, a… capà le pràteche pe’ li controlli de domà…”. A “capare” le pratiche, i fascicoli, i dossier dei mutuati, quasi si trattasse di crocchianti foglie secche di granoturco o di verdure appena colte dal campo o di barbabietole destinate all’uso industriale… Qualcuno fece notare a Nazzareno che, per il disbrigo della corrispondenza, piuttosto che scrivere in maiuscolo volta per volta sulla busta, con grafia incerta e acuminata (tipo “zampe de gaijna” così per intendersi) la dicitura “RACOMANNATA R.R.”, con tanto di marchiano errore di ortografia, avrebbe potuto fare uso dell’apposito timbro, o perlomeno sforzarsi di trascrivere nella maniera esatta l’indicazione a uso delle Poste. Nazzareno, sospesa per un attimo la concettosa operazione cui era intento, alzò lo sguardo acquoso verso l’importuno e agitando la penna biro quasi fosse un minaccioso falcetto da foraggio, blaterò fuori dai denti: “E cchè agghjo pijato l’aumento, comme certi che saccio io… (occhiata penetrante di malcelata allusione) che me metto a scrìe Racomannata con li due ‘Ci’? O a marcà’ la busta co’ lu tìmbero sua?! Quessa faccenna la pòle fà sulu l’impiagati de concerto (altra occhiata significativa) che pija li sordi senza fa un c… tutto lu jornu…”. E riprese tranquillamente a compitare, ben conscio dell’errore e della materiale impossibilità a porvi rimedio, secondo il suo  personalissimo e… insindacabile giudizio. Qui è necessaria una spiegazione. In una delle molteplici stazioni del calvario economico, l’Istituto – nell’eterna rincorsa al valore dei costi di mercato – pensò bene di apportare  migliorie alle già misere retribuzioni di alcune categorie dei propri dipendenti, giocando sugli scatti di promozione. I subalterni – per questa tornata – furono esclusi da tali provvedimenti di avanzamento il che procurò un’infinità di reazioni e di proteste da parte dei diretti interessati, come si può facilmente arguire, finché, nella questione, non intervenne la “mano santa” del Sindacato. In breve lasso di tempo  (in termini di linguaggio sindacale l’aggettivo “breve” è assai elastico… circa sei mesi quando  va tutto bene!) il Sindacato curò e si prese a cuore la situazione del personale subalterno. E si venne così a creare “una solida piattaforma di rivendicazioni, al fine di agevolare lo slittamento ed evitare l’eccessivo tempo di parcheggio nella categoria di appartenenza, con un recupero immediato delle travi portanti dell’iniziativa di fatto, attraverso l’univocità e le sinergie operanti del tavolo delle trattative…”(tentativo di riproduzione di tipico linguaggio sindacalese). Nonostante tutto, mediante appunto il beneficio acquisito con le promozioni anticipate, ognuno degli impiegati ebbe a guadagnare a fine mese un qualcosina in più, al lordo delle ritenute, mentre, per le solite misteriose leggi dell’economia, la spirale dei prezzi continuava a salire, salire, salire…

Goffredo Giachini

22 maggio 2019

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